martedì 22 dicembre 2009

Caro Babbo Natale


Caro Babbo Natale,
come ogni anno a pochi giorni dal 25 Dicembre, scrivo la mia letterina per chiederti un po' di regali. Non so se sono stato buono abbastanza, mi sono impegnato, ma a decidere se realizzare o meno i miei desideri puoi essere soltanto tu.
L'unica cosa che posso fare è iniziare a scrivere di seguito la mia personalissima lista:
-vorrei un po' meno freddo, perché altrimenti nei tg delle nostre televisioni hanno una buona scusa per non raccontarci le notizie vere, quelle importanti;
-vorrei che quel signore col neo in faccia smettesse di occupare la rete nazionale 1 con le agghiaccianti descrizioni dei delitti più brutali degli ultimi anni, perché poi faccio fatica da addormentarmi;
-vorrei che quel politico coi baffetti che ogni tre mesi si sveglia dal letargo e interviene nel dibattito parlando di scalate, inciuci, ammortizzatori sociali e necessità impellenti dell'Italia se ne stesse in disparte, una volta per tutte;
-vorrei che quel signore che hanno picchiato con la statuetta del Duomo di Milano tornasse presto in forma, così i miei amici potranno tornare a prenderlo in giro e criticarlo per le cose brutte che dice e che fa, come se nulla fosse accaduto;
-vorrei che esistesse nel nostro mondo qualcuno da sostenere con convinzione, energia, stima, fiducia, qualcuno in cui credere veramente, a parte mamma e papà;
-vorrei poter vedere ogni giorno in televisione personaggi come Benigni, Beppe Grillo, Dario Fo, Pieraccioni, Celentano, Luttazzi.. e non Fede, Vespa, la Marcuzzi e Maicol (ma non lo sanno che si scrive Michael!)
-vorrei che nel mio paese fosse possibile vivere con la maggiore serenità possibile le situazioni importanti di ogni giorno e vorrei che i nostri rappresentanti non fossero prigionieri dei moti di contrapposizione che caratterizzano il clima nazionale;
Caro Babbo Natale, so che ci sono bambini che hanno bisogno dei tuoi doni più di me, ma se ti avanzano 5 minuti, leggi la mia lista e vedi se puoi fare qualcosa.
Se poi tutte queste cose non è possibile averle.. Béh! almeno portami un trenino nuovo, un orsetto di peluche e un giocattolo dei Transformers!
Emmanuele

martedì 15 dicembre 2009

Terranuova e la valorizzazione del centro storico


Evitare di ritrovarsi paesi con centri storici sempre più vuoti, desolati e pericolosi, con attività e proposte culturali risucchiate esclusivamente dall’offerta dei centri commerciali sta diventando uno degli obiettivi principali delle amministrazioni di molte città italiane.

Un paese con un centro storico spopolato è un paese morto. Da qui l’esigenza di farli rivivere attraverso investimenti importanti e iniziative mirate.

Anche i paesi del nostro Valdarno, con contesti e sviluppi molto diversi tra loro, hanno avuto negli ultimi anni a che fare con la questione “rivalutazione del centro storico”.

Sangiovanni ha da sempre un centro piuttosto vivace, soprattutto commercialmente. Il Corso Italia è vetrina di negozi che riescono ancora ad attrarre molti valdarnesi. Non a caso è l’unico paese con la forza di poter offrire un’iniziativa di successo come la “notte bianca”.

La Via Roma montevarchina invece, che fino a una decina di anni fa riusciva a reggere il confronto con il Corso di Sangiovanni, ha perso molto del suo appeal rispetto a qualche anno fa.

Il cuore culturale e commerciale della città di Montevarchi sembra essersi spostato definitivamente in zona Ipercoop. Ed è piuttosto evidente come la maggior parte degli investimenti siano stati fatti vicino alla riva dell’Arno: Ipercoop, Obi, Cine8, contribuendo ad un progressivo svuotamento del centro. La popolazione lamenta spesso il degrado del centro e sebbene l’amministrazione punti molto sulla rivalutazione della nuova piazza delle logge e sull’imminente riapertura del teatro comunale, ad oggi il centro storico di Montevarchi non può certo vantare un alto stato di vitalità.

Dei tre paesi della vallata Terranuova è quello più piccolo e il suo centro storico non ha mai rappresentato un’attrazione commerciale per gli abitanti degli altri paesi del Valdarno. E’ l’unico con la via principale aperta al traffico e la maggior parte dei negozi sono quelli dove ancora oggi, nonostante i centri commerciali, si fa la “spesa giornaliera”.

Terranuova si presenta come un paese diverso rispetto agli altri non solo per la sua dimensione ma anche per il fatto che in qualche modo si è quasi “obbligati” a frequentare il centro città. E questo, probabilmente, contribuisce positivamente alla sua vitalità.

Le farmacie ancora oggi si possono trovare solo ed esclusivamente in via Roma (tra pochi giorni una si sposterà ed un’altra verrà aperta alla Penna), così come la quasi totalità delle banche.

Le scuole elementari e medie sono in pieno centro, così come l’Oratorio e il suo asilo si trovano a venti metri dalla Piazza centrale; stesso discorso vale per il Palazzetto dello Sport. Le rispettive strutture di Montevarchi e Sangiovanni, ad esempio, sono sicuramente molto più decentrate rispetto al centro storico.

Insomma, se si facesse uno studio su chi, fra terranuovesi, montevarchini e sangiovannesi, passa più spesso dalla piazza del proprio paese probabilmente vincerebbero gli abitanti di Terranuova.

Positivo? Negativo? Marginale?

Sicuramente è preferibile un centro storico frequentato che uno abbandonato. E la politica del decentramento adottata a Montevarchi sembrerebbe più da evitare che da imitare…

Certamente però ci sono cose che potrebbero essere migliorate e vi invitiamo a fare le vostre riflessioni e proposte.

Provo a farne una io:

Il traffico automobilistico in via Roma in costante aumento, per esempio, non può certo essere considerato come un aspetto positivo.

E via Roma è forse più trafficata di quanto dovrebbe: il numero di macchine in via Roma è molto alto anche perché si passa dalla via principale per attraversare il paese e non solo per fermarcisi. In questa situazione pedoni e ciclisti sono ingiustamente penalizzati.

Si può disincentivare il passaggio da una strada non solo chiudendola completamente al traffico ma incanalando quest’ultimo (soprattutto quello di passaggio, quello che non si ferma) su altre strade con qualche semplice ritocchino alla segnaletica. Un cambio di senso di marcia al posto giusto e probabilmente molti di quelli che attraversano via Roma per andare verso Loro passerebbero da Viale Europa…

Meno macchine che passano dal centro non significherebbe svuotarlo ma migliorarne la fruibilità per chi il paese lo vive su due piedi e non su quattro ruote.

Francesco

martedì 8 dicembre 2009

Firenze: La Lega c'è.

La Lega sbarca anche a Firenze. Non è certo una novità, già dalle scorse elezioni politiche la formazione padana ha conquistato terreno sotto il Po. Allora riuscì ad eleggere Luca Paolini, mentre alle europee di un anno fa ha eletto sempre in Toscana Claudio Morganti, attuale segretario regionale.
Ma anche a livello locale se la cava bene. La presenza degli uomini del Carroccio nelle amministrazioni locali sta diventando una costante in Toscana. Nelle province la Lega ha due rappresentanti a Pisa e uno a Prato, Livorno, Siena, Pistoia e Arezzo, oltre a Firenze. Nei Comuni, uno a Pistoia (un ex eletto in Forza Italia) e tre a Prato: nella città laniera il leghista Leonardo Sodi è destinato a diventare assessore alle politiche giovanili e sport, lasciando così un seggio in Consiglio che sarà occupato da un altro esponente del partito di Bossi che così finirà per avere quattro rappresentanti.
Adesso è toccato adeguarsi pure al Comune di Firenze. Il Signor NoTramvia per eccellenza, il consigliere Mario Razzanelli, proprio in questi giorni è entrato tutt'intero nel partito padano dichiarando "Ho trovato una casa dopo un percorso che è iniziato nel giugno scorso. C'é reciproca fiducia tra me e la Lega ed io avevo bisogno di un partito concreto con forti radici nel territorio. La Lega Nord è un partito dei cittadini per i cittadini". Da "Firenze c'è" a Firence c'è la Padania. Intesa non in senso geografico ma da buon leghista in senso politico.
Insomma Razzanelli, quello dei No, ha trovato una nuova casa politica. Negli ultimi sei mesi ha cambiato tre partiti, dall'Udc a Firenze c'è da quest'ultimo alla Lega Nord.
C'è solo da sperare che non inizi con i discorsi sul celodurismo che poco si attaglierebbero ad un'indole pacata e mite come la sua.
Scherzi a parte questa mossa non è da prendere sotto gamba. La Lega non è una forza qualsiasi. E' portatrice di una miscela populista esplosiva che aggiunge all'ancestrale identità padana, razzismo, xenofobia, sessismo. La sua ascesa anche in Toscana è preoccupante, evidenzia come la società sia cambiata da un decennio a questa parte e come la domanda sociale di sicurezza e ordine trovi risposte in una forza politica sfrontatamente non democratica.
Gli scenari che si potrebbero prospettare in Consiglio comunale da qui in avanti sono i più svariati, e fondamentalmente non sarebbero lontani da quelle proposte choc che la Lega attua in molti paesi e città del Nord dove è al governo. Dalle ronde alle operazioni White Christmas, alle manifestazioni contro l'etnia di turno. Un clima di intolleranza che a Firenze e in Toscana se c'è fino a ieri era lantente, ma da oggi potrebbe deflagrare per mezzo di un'offerta politica prima inesistente. La Lega Nord.
Giacomo

martedì 1 dicembre 2009

Ancora Fornaci: la posizione della maggioranza

Dopo una settimana che ha fatto registrare al blog il record di contatti, segno evidente dell'interesse intorno alla questione, pubblichiamo la risposta del gruppo del Centro Sinistra per Terranuova alle critiche e alle perplessità venute a galla dopo il nostro articolo e quello di Lucia Francalanci (PdL) relativo alle Istituzione Le Fornaci.

La Voce del Martedì cerca sempre di proporsi come voce autonoma rispetto a quelli che sono gli schieramenti politici ma è molto lieta di ospitare all'interno del blog le posizioni di tutti. Saremmo felici se questo blog riuscisse a diventare un'opportunità per l’incontro di idee e proposte per il nostro territorio, un piccolo spazio virtuale attraverso cui costruire quel "confronto costruttivo" di cui tutti parlano ma che ancora rimane un esercizio sostanzialmente sconosciuto.

Fatta la nostra speranzosa-premessa non aggiungiamo altro sul tema Fornaci (avendo già scritto la scorsa settimana) lasciando ai lettori la possibilità di leggere la posizione del Centro Sinistra per Terranuova sulla questione.



Il Centro Sinistra per Terranuova ha detto...

L'istituzione è uno strumento di gestione flessibile dei servizi alla persona che il Comune di Terranuova ha deciso di adottare nella precedente legislatura Amerighi da una parte per opportunità di bilancio dall'altra per ragioni di efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa.

Infatti, essendo l'Istituzione dotata di un bilancio economico a se stante e di un CdA con potere deliberante, riesce a garantire una velocità di risposta maggiore.

Questo significa che se il CdA decide ad esempio l'erogazione di un contributo questo non deve passare da tutta i passaggi che servono "normalmente".

L'Istituzione lavora su indirizzo politico della Giunta e propone alla Giunta gli indirizzi sui temi del Sociale, della Scuola, dello Sport, delle Politiche Giovanili e della Cultura: pertanto, il lavoro dell'Istituzione, trattandosi di una parte del Comune che lavora a stretto contatto con la Giunta è di per sè controllata dal Consiglio comunale.

Il centrosinistra per Terranuova ritiene perciò questo uno strumento utilissimo ed insostituibile. Strumento che ci ha consentito di raggiungere i livelli di eccellenza in tutti e quattro i settori di competenza dell’istituzione: la scuola vanto di Terranuova in tutta la provincia di Arezzo; il sociale per cui Terranuova è portata come esempio di eccellenza in tutta la toscana ed è ad oggi comune capofila nel Valdarno per la gestione dei servizi sociali associati; lo sport con tantissime società e tanti giovani che si sono detti felicissimi e soddisfatti del nuovo regolamento degli impianti sportivi approvato proprio in questi giorni; la cultura come testimoniano le numerosissime iniziative che si svolgono a Terranuova praticamente ogni settimana.

La nostra ambizione e le nostre idee sono quelle di mantenere lo standard raggiunto fino a questo momento, che, a differenza di quanto dicono le nostre opposizioni, è di assoluta eccellenza. Questo compito sarà arduo nell’attuale crisi economica che il paese sta attraversando ma sarà anche ciò che ci impegneremo a fare nei prossimi 5 anni. Riteniamo perciò gli attacchi, che le opposizioni cercano di muovere, sterili, assurdi e strumentali. Difficilmente si risulta credibili quando si critica uno strumento che funziona in maniera impeccabili e con risultati ineccepibili.

Centrosinistra Per Terranuova



martedì 24 novembre 2009

Le Fornaci e la cottura degli stracotti

Famosi erano i fornaciai, o fornacini, dell’Impruneta che nel 1500 inventarono il piatto povero per eccellenza: il peposo alla fornacina. In quest’occasione si scrive dell’Istituzione Le Fornaci eppure la piccantentezza del tema mi sembra pari a quella del rinomato piatto tanto declamato anche dal Brunelleschi. Ad un primo sguardo si nota come Le Fornaci sia un’istituzione fortemente voluta dalla prima giunta Amerighi, un cordone ombelicale che la lega a questa amministrazione e ne ha caratterizzato il cammino durante questi sei anni di governo. Tuttavia, sebbene sia già iniziato il secondo mandato, ancora non è chiara la sua collocazione nello scacchiere politico amministrativo. Le nebbie sono molte e con l’andar del tempo invece di diradarsi sembrano peggiorare ulteriormente la visibilità. La fonte giuridica è l’art. 114 del Tuel (L'istituzione è organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale) come recepito dall’Art. 66 dello Statuto del Comune di Terranuova B.ni (L'Istituzione costituisce organismo di gestione di Servizi sociali, dotato di autonomia gestionale, operante in settori quali la sicurezza sociale, sport, cultura, pubblica istruzione). Di diritto Le Fornaci è un organismo di gestione e non di rappresentanza. In parole povere questa Istituzione non rappresenta ma gestisce. Gli organi dell’Istituzione sono il Consiglio d’amministrazione, il Presidente e il Direttore. L’elencazione, che segue un ordine d’importanza crescente, può aiutare a capire come vengono strutturati i lavori al proprio interno (Statuto del Comune, Art. 66 Il Consiglio di amministrazione è composto da un numero di Consiglieri non superiore a sette, compreso il Presidente, definito dal Regolamento per il funzionamento e la gestione. Il Direttore dell'Istituzione è l'organo al quale compete la direzione gestionale dell'Istituzione, con la conseguente responsabilità E' nominato dal Sindaco fra soggetti in possesso della specifica professionalità. Il Direttore raccorda la propria azione amministrativa al Dirigente comunale responsabile di Area funzionale nella cui sfera di competenza è collocata l'Istituzione). Analizzando i singoli organi si desume che il Cda è formato da un numero di consiglieri non superiore a sette membri e uno di questi ricopre la carica di consigliere. In termini economici la macchina costa un gettone di presenza a Cda per ogni singolo consigliere, che è equiparato a quello dei consiglieri comunali e l’indennità del Presidente che è pari al 50% di quella di un assessore (Regolamento Le Fornaci, art. 18). Fino ad oggi Le Fornaci ha avuto tre presidenze: Riboletti, Centi e l’attuale presidenza Gori. Descrivere il ruolo del Presidente non è un argomento semplice poiché non mai elegante dover raccontare di colui che deve presiedere un tavolo pieno di decisioni prese da altri. Il vero scopo di questa istituzione sta nella semplificazione di una parte del bilancio comunale e in uno snellimento delle voci di spesa, pertanto appena si capì che Le Fornaci non era solo un carrello, bensì sarebbe potuto essere anche un locomotore capace di trainare altri vagoni, si è voluto inserirci tutto quello che era possibile, pertanto dai soli servizi culturali, come fu pensato all’inizio, adesso questa Istituzione gestisce tutto il comparto sociale e lavora su un bilancio estremamente importante. Ma allora cosa decide Le Fornaci. Il Cda determina su tutto ciò che è stato determinato in giunta e i margini di autonomia decisionale, che pur ci sono, si limitano alla scelta degli eventi e a poco altro. E’ sufficiente dare un’occhiata al Regolamento per capire a chi spetti il governo dell’Istituzione: la responsabilità gestionale è di esclusiva competenza del Direttore. Durante il primo mandato Amerighi, le presidenze che si sono succedute hanno lavorato con grande impegno e passione ma in più di una circostanza hanno dovuto denunciare l’assenza di comunicazione tra Giunta e Cda, proprio perché nelle riunioni degli assessori si decidevano le sorti de Le Fornaci senza che questa venisse minimamente interpellata. Per avviarci alla conclusione ritengo che Le Fornaci, per come fu pensata inizialmente (gestione dei servizi culturali), poteva essere un’opportunità di partecipazione, di allargamento decisionale e di un maggiore coinvolgimento delle forze politiche e sociali presenti nel paese (si ricordi che durante il primo mandato tre membri del Cda provenivano dall’area della maggioranza, uno dal centrodestra e uno dalla Lista civica di centrosinistra) poiché vi erano tutte quelle condizioni per favorire un dibattito sereno e costruttivo in sede di Cda, ma con l’andar del tempo e con la mania di farsi prendere per la gola Le Fornaci ha imbarcato tutto e l’ingerenza delle legittime linee politiche adottate dalla Giunta si sono fatte sempre più vincolanti, comportando uno scenario di dubbia legittimità democratica: se Le Fornaci sono un parlamentino dove si adottano provvedimenti importanti ed esclusivi si può pensare che non vi siano rappresentanti delle opposizioni? Ma se Le Fornaci è il settore giovanile della Giunta e quindi una sua fotocopia, che senso ha questa Istituzione? ….Io lo dicevo che c’era tanto pepe in questo piatto….

Tommaso

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Avevamo chiesto ad alcuni rappresentanti della Maggioranza e delle due opposizioni di darci un contributo di riflessione sull'argomento. Non siamo riusciti a raccogliere tutti i punti di vista e ce ne scusiamo.Nelle prossime ore contiamo comunque di aggiornare questo articolo con i contributi di tutte le parti politiche. Intanto pubblichiamo quello gentilmente e tempestivamente inviato da Lucia Francalanci, reppresentante del PDL di Terranuova in Consiglio Comunale.


Secondo Lucia Francalanci...

"L'Istituzione nasce con l'intento di dare autonomia gestionale al settore dei servizi alla persona secondo i criteri di efficacia, efficienza ed economicità. Si tratta cioè di un “distaccamento” di un intero ambito, e del bilancio ad esso legato, dalle funzioni dirette dell'Amministrazione. E' chiaro che la vera necessità a cui risponde è quella di uscire dal patto di stabilità e non certo l'efficienza. Comporta inoltre conseguenze importanti dal punto di vista amministrativo e politico perché un intero settore, che equivale a circa ¼ del bilancio comunale, viene tolto dal controllo diretto del Consiglio Comunale. Nel concreto non ci risulta che i cittadini siano agevolati dalla gestione “Le Fornaci” rispetto a quella comunale; piuttosto la macchina comunale si è con essa complicata e appesantita. Queste sono perplessità di carattere generale. La situazione attuale ci appare inoltre particolarmente critica perché:
1.Il CdA nominato nel mese di Agosto non include rappresentanti delle minoranze. Essendo l'istituzione un organismo strumentale al Comune sarebbe stato auspicabile che le componenti del Consiglio Comunale fossero totalmente rispecchiate nel CdA (come nel primo mandato). Ma, appurato che l'Istituzione è diventata di fatto il 7° assessorato (a dispetto di quanto previsto dal Tuel), e dato che noi per ora siamo all'opposizione, non abbiamo velleità di entrare a far parte della giunta e di renderci corresponsabili dei guasti di questa Amministrazione.
2.Ad oggi non sono state illustrate in Consiglio Comunale le attività dell'istituzione (cosa prevista entro il 15 settembre) né abbiamo ricevuto il piano programma per il prossimo anno (che dovrebbe essere stato approvato entro il 15/10) e questo ci lascia perplessi sia sulla volontà di tenere al corrente il Consiglio Comunale sia sulla efficienza del CdA
3.Ci risulta che il CdA, a parte il presidente, sia dimissionario a meno di 3 mesi dal suo insediamento. E' un fatto grave che, oltre a contraddire le dichiarazioni pubbliche della maggioranza in merito a Le Fornaci, denota una situazione critica e di stallo che inficia l'operatività dell'Istituzione
Per quanto riguarda il settore cultura riconosciamo che le iniziative nel nostro paese sono tante e di vario genere (musica, letteratura, spettacolo...) D'altra parte la stragrande maggioranza delle iniziative sembrano far capo sempre ai soliti gruppi, autori, categorie senza dare merito alla totalità delle proposte presenti sul “mercato” della cultura.
Il rapporto cultura-scuola a mio avviso richiederebbe ancora maggiori investimenti, anche a scapito di altre iniziative in ambito culturale. Ovviamente si tratta di scelte e chi amministra ha il diritto/dovere di dettare gli indirizzi. Personalmente io punterei a potenziare fortemente le attività di sostegno alla genitorialità per tutte le fasce di età e in collaborazione con tutti gli ordini di scuola. Sono attività già presenti nella fascia del nido perché accompagnano “naturalmente” il servizio comunale dell'asilo. Queste dovrebbero proseguire con regolarità anche negli stadi successivi, dove la necessità è forse maggiore. Oltre a soddisfare un'esigenza reale, queste attività avrebbero un riscontro molto positivo con ritorni importanti anche sulla partecipazione della cittadinanza ad altri tipi di iniziative."

Lucia Francalanci - Consigliere Comunale Pdl Terranuova



martedì 17 novembre 2009

OSTRUZIONISMO AL CONSIGLIO COMUNALE DI TERRANUOVA. Ma si può fare sempre?


Nessun giudizio politico, solo una questione tecnica.

Giovedì 12 Novembre, Consiglio Comunale di Terranuova Bracciolini:
La votazione per la mozione presentata dalla maggioranza sulla discarica viene rinviata a causa della mancanza del numero legale dei consiglieri.
La mozione presentata dal Centrosinistra prevedeva la costituzione di un Osservatorio Permanente sulla discarica come garanzia di trasparenza del funzionamento dell’impianto e un impegno sulla sostanziale risoluzione dei problemi legati agli odori in tempi rapidi.
Il Comitato di Riofi e Fossato avrebbe voluto anche la sospensione della procedura di ampliamento fino alla risoluzione del problema “odori” – secondo la maggioranza richiesta impossibile da accontentare non essendo nelle facoltà del Comune intervenire in questo senso - ma a rimandare una decisione in merito alla discarica è stata la scelta delle due opposizioni (PDL e Lista Pasquini) che hanno abbandonato l’aula prima del voto contribuendo al mancato raggiungimento del numero legale di consiglieri per validare la votazione del consiglio comunale.

Scriviamo “contribuendo” e non “causando il mancato raggiungimento del numero legale” perché è giusto ricordare che se anche tutti i consiglieri di opposizione non fossero in aula al momento di una votazione, la presenza di almeno 11 consiglieri (sui 20 che compongono il Consiglio), anche tutti di maggioranza (che ricordiamo sono 13), sarebbe sufficiente per validare l’operazione e quindi “decidere” (art. 36 commi 3-5 del regolamento del Consiglio Comunale di Terranuova B.ni).

Il giochetto dell’ostruzionismo tecnico messo in campo dall’opposizione quindi, per essere efficace, ha bisogno di un assist da parte della maggioranza. E chiaramente non si può fare sempre.
Nel caso specifico di giovedì scorso erano 3 i consiglieri della maggioranza che al momento del voto risultavano assenti, un numero sufficiente, quindi, per far funzionare la tattica ostruzionistica dell’opposizione.

Al di là di un giudizio sull’eleganza o meno dell’utilizzo della politica ostruzionistica ci premeva sottolineare questo “tecnicismo” fondamentale per permettere a tutti di poter valutare la situazione e i comportamenti delle parti in gioco.

La febbre sulla questione discarica sembra essere ancora piuttosto alta a Terranuova. Il nostro intento rimane quello di fornire piccole riflessioni tecniche sul funzionamento della nostra macchina democratica, senza lasciare che, anche in questo blog, tutte le discussioni cadano nel calderone della polemica politica.
LA REDAZIONE

mercoledì 11 novembre 2009

A passo Duomo.


Alla fine Piazza del Duomo è stata pedonalizzata. Niente Tramvia quindi, niente più autobus, taxi, auto, motorini.
L'amministrazione comunale e il Sindaco Renzi hanno scelto una terza via rispetto al progetto iniziale e alla conservazione dello stato di cose esistente. Non c'è dubbio qualcosa è cambiato. Da due settimane circa piazza del Duomo, orgoglio del sottoscritto e di tanti fiorentini, torna a respirare, torna a vivere i ritmi del pedone senza ingombranti dinosauri meccanici che in una coda infinita passavano proprio davanti al Duomo tutti i giorni. Certo la Tramvia sarebbe stata la soluzione di mezzo, non inquinante, non rumorosa, ma si è preferito mettere a tacere le critiche ed in un certo modo conciliare tutti.
A questo punto però come si mette per quelle opposizioni che hanno realizzato le loro fortune politiche solo in virtù di una petulante polemica contro la Tramvia in piazza Duomo? Che senso ha la loro permanenza nel consiglio?
Come avviene a livello nazionale anche a quello locale, posizioni oltranziste e per niente costruttive vengono sconfitte in occasioni del genere. Di fatto Renzi con la pedonalizzazione del Duomo le ha neutralizzate. Di più, in un solo giorno ha con un colpo di spugna cancellato le controversie, probabilmente recuperando consensi anche tra i no tramvia.
Adesso il compito della liberazione delle piazze deve continuare. Deve procedere spingendosi oltre. Non basta modificare l'urbanistica di una piazza. Firenze ha bisogno di provvedimenti sostanziali. Mi riferisco a misure che tornino a far vivere le piazze. Non è possibile che il centro sia solo visitato e non vissuto. Il turista che fotografa e compra ricordi passivamente dovrebbe convivere con degli spazi meravigliosi in cui emerge una cittadinanza attiva. In cui giovani, anziani, famiglie, possano incontrarsi, socializzare, fare comunità. E questo deve avvenire non solo in centro ma anche nell'estrema periferia.

martedì 3 novembre 2009

COSA CAMBIA CON BERSANI

Il Partito Democratico è, quasi per vocazione, alla continua ricerca della propria dimensione. Non è una colpa: è semplicemente la diretta conseguenza di una serie di delusioni in termini di efficacia politica e di risultati elettorali. E così la parola d’ordine rimane sempre la stessa: “cambiare strategia!”

Negli ultimi due anni, infatti, non si sono susseguiti solo tre segretari di partito, ma con loro si è evoluto anche il modo di intendere questo “partito-cantiere”.

Dopo le primarie dove fu incoronato segretario Walter Veltroni la prima rilevante conseguenza politica del nuovo partito fu la caduta del governo Prodi. E per un partito che per sua stessa ammissione rimane figlio dell’Ulivo non è proprio il massimo.

È vero: gli assassini di quel governo furono anche altri (una legge elettorale porcata e un gruppetto di alleati poco fedeli) ma sicuramente il nascente PD ci mise del suo a chiudere quella faticosa esperienza di governo.

Chiaramente si cercò di cambiare strategia rispetto a quella ulivista. La forza dei 3 milioni e mezzo di elettori delle primarie e il discreto appeal dell’ex sindaco di Roma fecero pensare che esisteva una qualche possibilità che questo nuovo partito potesse vincere le elezioni “quasi” da sola contro una corazzata formata da LEGA + AN + FI (questi ultimi due partiti fusi in tutta fretta e divenuti PDL).

La parola d’ordine era: VOCAZIONE MAGGIORITARIA. Basta alleati e piccoli partitini satellite. La speranza era che gli elettori di questi partitini capissero l’opportunità, scegliessero il voto utile, sotterrassero il proprio partitino lasciandolo fuori dal parlamento e contribuissero alla vittoria di Veltroni.

Questa strategia era unita ad altre due: quella di avere una LEADERSHIP CARISMATICA (rafforzata dal plebiscito alle primarie) e alla scelta dell’ABBANDONO DELLA STRATEGIA DELL’ANTIBERLUSCONISMO. Berlusconi era diventato il “principale esponente dello schieramento a noi avverso” o qualcosa del genere e comunque un semplice avversario politico con cui non era impossibile il dialogo.

Le tre scelte non portarono i loro frutti e la corazzata di centrodestra vinse.

Poi venne Franceschini, dopo le dimissioni di un Veltroni stanco di combattere più con i suoi “baroni” che contro il suo avversario.

Il vice di Veltroni diventato segretario-traghettatore cambia ancora strategia tornando all’ANTIBRLUSCONISMO. Utilizzandolo quasi come una terapia salvavita su un partito che sembrava agonizzante. Nel frattempo i sondaggi e le elezioni europee sembravano mostrare un PD in leggerissima ripresa.

Poi, e sono fatti recentissimi, tornano le primarie e torna un nuovo successo di partecipazione a quella che sembra essere la novità più importante che abbia portato il PD. Vince Bersani che rispetto ai predecessori sembra intenzionato a cambiare ancora: vorrebbe un PARTITO CHE RAPPRESENTI E SIA VOTATO DALLE VITTIME DELLA CRISI ECONOMICA e sembrerebbe intenzionato ad un ritorno alla POLITICA DELLE ALLEANZE, abbandonando l’idea che un partito che prende il 25% non possa aspirare alla vocazione maggioritaria.

Intanto però il partito perde alcuni pezzi: i rutelliani, annusando l’affare, confluiranno in quel centro che probabilmente accrescerà non poco i propri consensi quando il PDL dovrà affrontare l’obbligatoria fase del dopo-Berlusconi.

E a Bersani sorgerà un dubbio: strizzare l’occhio alla Sinistra extraparlamentare o al Centro? Giocarsi tutto con Vendola e Di Liberto, recuperando i voti che giocoforza perderà Di Pietro quando non ci sarà più Berlusconi, o tagliare fuori le sinistre e puntare a Casini e Rutelli?

È presto per pensarci? Forse no. Perché se il Centro decidesse di non correre più da solo e si alleasse con Fini ( o comunque col futuro leader del PDL) sarebbe impossibile per Bersani vincere le prossime elezioni. Insomma, per Bersani è già tempo di scegliere una nuova strategia.

martedì 27 ottobre 2009

Il Sinodo per l'Africa


Dal 4 al 25 ottobre si è svolta a Roma la seconda assemblea sinodale speciale per l’Africa. La scelta del tema è stata il frutto di un meticoloso lavoro delle chiese locali in Africa: La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. L’importanza dell’evento ci obbliga a soffermarci su quest’appuntamento. Un continente ricchissimo in quanto a materie prime, nonostante rappresenti soltanto l’1% del prodotto mondiale lordo, un’area vastissima d’innumerevoli terre agricole che potrebbero sfamare il mondo e invece è proprio l’Africa a morire di fame, sono le dovute premesse che ci chiedono di proporre un discorso capace di parlare a tutta la famiglia umana e a riflettere sul grado d’interdipendenza tra i diversi e apparentemente lontani attori sociali. Per dirla in breve: perché a tanto benessere, tanta povertà? La domanda scavalca i secoli e con il passo delle lunghe falcate giunge a interrogare le nostre coscienze. I popoli della fame interpellano, oggi in maniera drammatica, i popoli dell’opulenza.

Dopo un passato coloniale alla spietata ricerca di rispolverare dalla patina di storia i fasti dell’Impero, quale politica estera italiana nei confronti dell’Africa in questo inizio di Terzo Millennio?

Siamo diventati gli amici dei peggiori dittatori, da Gheddafi (Libia) ad Aferworki (Eritrea), da Bashir (Sudan) a Ben Ali (Tunisia) e al primo posto nella nostra agenda politica ci sono sempre gli affari commerciali da soddisfare. Un esempio paradigmatico è la vicenda Eni, che sta provocando un disastro ecologico nel Delta del Niger. L’Eni estrae 152.000 barili di petrolio al giorno (settemilioni di euro al giorno) e poi ricorre al gas flaring (bruciare a cielo aperto gas naturale collegato all’estrazione di petrolio) rendendo la Nigeria il primo Paese al mondo per emissioni di CO2 . Davanti a questa politica di depredazione e non di cooperazione si sono sollevate innumerevoli proteste e durante il governo Prodi fu chiesto con insistenza che una delegazione interpartitica visitasse quella regione affinché ci potesse essere una maggiore consapevolezza di quella violazione dei diritti umani ed economici. Blocco da parte della Farnesina (Padre Alex Zanotelli, Adista, documento n. 103). A ben guardare l’aspetto più preoccupante è l’accresciuto disinteresse verso la cooperazione internazionale. L’ultima finanziaria ha ulteriormente tagliato i fondi destinati al sostegno delle iniziative contro la povertà, portandoli allo 0,1% del Pil che, cifre alla mano, corrispondono a una giornata di guerra in Iraq per le truppe americane. Inoltre, sempre in campo economico è gravissima la scelta politica italiana in favore dei biocarburanti e degli Ogm. Decisioni politiche prese dai paesi industrializzati senza alcuna distinzione tra destra e sinistra per ottenere etanolo dai prodotti agricoli (mais, soia, e olio di palma). Insomma, si muore di fame e noi adottiamo misure che provochino una diminuzione del cibo disponibile e un aumento dei prezzi. L’altra politica sbagliata in campo agricolo è quella di promuovere i cosiddetti Ogm, con l’atroce inganno che questi possano risolvere il problema della fame. Anche su questa questione nel 2000 la Conferenza Episcopale Sudafricana si era espressa nettamente contro l’adozione di questa tecniche di bioingegneria e lo ha ribadito durante l’assemblea sinodale: Questa tecnica rischia di rovinare i piccoli coltivatori e di sopprimere le loro semine tradizionali, rendendoli dipendenti dalle società produttrici di Ogm. (Instrumentum Laboris, n. 58). Tuttavia, la vicenda è molto più intricata di quanto possa apparire e alzando il tiro, si può sostenere come questa rotta trovi le sue coordinate nei luoghi decisionali delle rispettive macroaree. L’Europa in questa partita sta giocando un ruolo tristissimo e con gli Accordi di Partenariato del novembre del 1995 e successivamente con la loro involuzione in Politica di vicinato sancita nel 2005, si è dimostrato come intorno alle richieste di aggiustamenti strutturali e all’adozione del principio di condizionalità positiva, si celi il ricatto etnocentrico di far rinunciare ai paesi africani sia i dazi sia le tariffe doganali (gli unici proventi dei paesi impoveriti) per consentire al mercato europeo un più agevolato inserimento nei paesi africani, senza alcuna valutazione sull’impossibilità per contadini dell’Africa (70% del tessuto economico) di competere con i prezzi degli agricoltori europei. E sarà ancora più fame!

L’augurio è che da quest’ assemblea si manifesti una nuova germinazione che sappia riconoscere le storture dell’Occidente e che contribuisca a rendere il “cattivo samaritano” un attore mondiale attento ai diritti umani ed economici di tutti.

Tommaso C.

martedì 20 ottobre 2009

Deliri di menti pericolose


Oggi voglio parlare di alcune leggi partorite da questo governo: il decreto antistupri (quello con le ronde notturne), il lodo Alfano (recentemente bocciato dalla Consulta), il reato di clandestinità, lo scudo fiscale. Vado a braccio, al momento mi vengono in mente queste. Sono sicuro che tra le decine e decine di decretazioni d'urgenza (prassi tutta italiana) del governo Berlusconi ce ne sono altre molto interessanti (basta cliccare su google e cercare). A voi l’onere, se vi va, di completare la raccolta di informazioni, io mi limiterò a brevi riflessioni sul piccolo ma significativo elenco.

Vi siete mai chiesti come le leggi nazionali influenzano, in maniera più o meno marcata, la vita quotidiana nei singoli territori? Ad esempio, in Valdarno avete recepito l’effetto di queste nuove norme, partorite con sofferenza e lacerazione d’animo dal peggior parlamento della storia italiana (70 tra condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio)?

Vediamo..

Di ronde da noi non si sente parlare molto, sarà che i Valdarnesi hanno ancora la testa ben salda sulle spalle e di notte preferiscono starsene a letto tra le mura domestiche accanto a mogli, figli e perché no.. cani e gatti!

Il lodo è evidente che non ci tocca da vicino, avremmo preferito un lodo autovelox o un lodo parchimetro (o parcometro?), magari ci risparmiavamo qualche foglio da cento euro e qualche punto nella patente. Ma a noi, che le “quattro più alte cariche dello Stato” (poi qualcuno mi spieghi il profilo costituzionale che lega Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Presidente del Senato e Presidente della Camera) se ne possano eventualmente stare a delinquere (o meno) in santa pace protette da un’immunità auto-assegnata, interessa il giusto. O meglio, interesserebbe che tutti i cittadini fossero uguali di fronte alla legge, ma questo è un altro discorso..

Il reato di clandestinità: di extra-comunitari se ne vedono come prima, più di prima. Tutte le mattine ne incontro due o tre che ormai devono aver capito a che ora vado a fare la mia pausa caffè, perché sembra che stiano dietro l’angolo del bar ad aspettare il mio resto in spiccioli. Praticamente il caffè mi costa 2 euro ogni volta. In giro per le strade dei nostri paesi si vedono abitualmente extra-comunitari, sinceramente è difficile stabilire se siano tutti “regolari” o meno, quindi..

Leggo adesso sul blog voglioscendere che da quando la legge è entrata in vigore ci sono state poche decine di arresti in più rispetto allo stesso periodo del 2008, ma pochissimi sono stati rimpatriati (costa una cifra allo Stato e i loro Paesi non li rivogliono). Molti invece girano costantemente per paesi e città (visto che i soldi per pagare l’ammenda prevista dal disegno di legge non li hanno) passando di tanto in tanto qualche ora nelle questure e qualche notte in cella. Quindi, l'ingresso e il soggiorno illegale nel nostro Paese di fatto restano pratiche diffuse e facilmente percorribili per chi non ha nessuna speranza di futuro in patria, documenti regolari per poter vivere in uno Stato straniero, denaro per pagare una multa salata e acquistare un biglietto aereo di sola andata verso una terra che non ti vuole più.

E se non c’è due senza tre e il quattro vien da sé, dulcis in fundo, the last but not the least (rullo di tamburi).. lo scudo fiscale!

Si, avete capito bene! Potete far rientrare tranquilli i vostri capitali fino ad oggi tenuti ben nascosti in conti esteri! Non cadete dalle nuvole adesso, so che la maggior parte di voi non vede l’ora di spostare quei bei milioni nelle banche di casa nostra.

C’è da dire che abbiamo avuto una bella fortuna, non è che potrà sempre andarci così bene! Certi governi capitano una sola volta nella vita. Del resto, perché pensare che chi ha messo i soldi all’estero ha agito così perché forse aveva qualcosa da nascondere, perché credere che la mafia possa trarre vantaggio da questa legge “stra-porcata”, perché sottolineare il fatto che il furfante se la cava sempre e il cittadino onesto fa la figura del fesso. Perché insomma stare sempre a criticare, criticare e criticare, quando è evidente come i nostri deputati e senatori si stiano sbattendo in lungo e in largo per mantenere intatti i gli interessi degli italiani!?

Di una parte degli italiani..

Di un po’ di italiani..

Di pochi, pochissimi italiani..

945 (!) circa..

Meglio di niente!

E.B.

Approfondimenti:

http://www.corriereromano.it/news/5070/tuttenews/Dl-Cdm-ecco-il-decreto-contro-gli-stupri.html

http://it.wikipedia.org/wiki/Lodo_Alfano

http://www.giornalettismo.com/archives/37300/dove-fa-flop-il-reato-di-clandestinita/

http://www.prestitifinanziari.net/2009/08/05/scudo-fiscale-2009-2010/



martedì 13 ottobre 2009

Un nuovo modello contrattuale.


In Italia ormai da quasi un anno è in vigore un nuovo modello contrattuale che stabilisce nuove modalità di negoziazione tra imprese e sindacati.

Come è noto l’accordo, frutto di un ben più lungo dibattito, ha trovato il consenso dei sindacati Cisl, Uil e Ugl. Noterete tra le sigle l’assenza della Cgil. Ebbene il sindacato di corso Italia non ha accettato il blitz sul testo del governo motivando le ragioni del no con due punti: 1) le retribuzioni, viene criticato il fatto di tenere fuori i prezzi dei prodotti energetici importati nell’adeguamento dei minimi tabellari (la stessa Banca centrale europea ha sempre cercato di dissuadere i Paesi membri dall’adottare forme di indicizzazione di questo tipo), 2) la contrattazione decentrata e gli enti bilaterali.

Entrambi tematiche che saranno approfondite in un secondo tempo. E’ meglio invece approfondire il comportamento degli attori di fronte ad una svolta così importante per le relazioni industriali italiane.

Da tempo si è conclusa la stagione della concertazione italiana che aveva prodotto importanti patti sociali e accordi tra le parti negli anni ’90. Da allora sono avanzate due forze che hanno deteriorato il sistema, da un lato il processo di decentramento spinto verso livelli aziendali e territoriali, dall’altro si è diffusa la pratica degli “accordi separati” sia al centro che alla periferia, firmati solo da alcuni attori con l’esclusione di quelli più rappresentativi (sempre la Cgil). Pratica quest’ultima che sembra destinata ad intensificarsi con l’esecuzione delle nuove regole del modello contrattuale.

Una fase che si apre nel 2000 con il Patto per il lavoro di Milano e giunge nel tempo alla sua tappa più significativa nel 2002 quella del Patto per l’Italia (che riprendeva numerosi temi del Libro Bianco) al quale manca la firma della Cgil.

Un’onda lunga che viene da lontano, che non presenta come un caso atipico la situazione difficile di questi ultimi tempi delle relazioni industriali nel nostro paese. Viceversa evidenzia un trend. Infatti con l’arrivo di governi di centrodestra poco favorevoli al confronto con le parti sociali, soprattutto se distanzi dalla propria cultura politica, il clima del confronto ha subito una netta sterzata verso comportamenti tutt’altro che cooperativi.

Riguardo proprio al nuovo modello contrattuale lo spirito delle relazioni tra governo e parti sociali lo si può dedurre da una dichiarazione di Epifani ad accordo concluso: E' un testo immodificabile, un prendere o lasciare che non abbiamo voluto firmare". In effetti il governo in questo caso non ha rispettato i tempi della contrattazione tra capitale e lavoro, intromettendosi né come mediatore, né come attore attivo del negoziato. Si è intromesso in maniera ideologica, precludendo un’agire razionale all’interno dei rapporti, adottando un comportamento mirato a togliere potere contrattuale e a delegittimare una determinata organizzazione degli interessi, quella che ha sempre attaccato direttamente, che evidentemente è la più lontana dalla sua cultura politica, la Cgil. Una brutta piega che allontana la fiducia dalle relazioni industriali, trasferendo i comportamenti dei rappresentanti del capitale e del lavoro da un terreno di cooperazione ad uno di alta conflittualità controproducente. Viene meno quello “scambio politico generalizzato” (Marin 1990) che tramite un alto numero di transazione che abbracciano un’ampia gamma di materia fa assumere responsabilità ai grandi interessi coinvolti a livello nazionale.

Questa situazione mina alle fondamenta la possibilità di sviluppare una cooperazione ed un coordinamento dei vari livelli della contrattazione, sfavorendo per primi gli interessi delle imprese e dei lavoratori, con il rischio di innescare forme anche aspre di conflittualità sociale e sui luoghi di lavoro.

Giacomo Scarpelli

martedì 6 ottobre 2009

Il lavoro part-time: un'opportunità per aumentare l'occupazione


Negli ultimi dieci anni le istituzioni europee hanno espresso posizioni molto chiare riguardo alle strategie da adottare per rispondere alle sfide globali del XXI secolo.
L’Unione, durante il consiglio europeo tenutosi a Lisbona nel marzo del 2000, ha posto come proprio obiettivo strategico quello di “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggior coesione sociale” e un ruolo cruciale all’interno di questa strategia è affidato sicuramente alla riorganizzazione del lavoro in chiave moderna e allo sviluppo di nuove politiche del lavoro.
Infatti, se tra gli obiettivi fissati dalla Commissione da raggiungere entro il 2010 compaiono, tra gli altri, un tasso di occupazione totale del 70% e un tasso di occupazione femminile del 60% rimane difficile immaginare di ottenere questi risultati senza rinnovare la concezione classica del lavoro dipendente. L’Italia, come è facile immaginarsi, è ancora molto lontana dal raggiungimento di questi obiettivi e la crisi dell’ultimo anno ha complicato ancor di più la situazione.
L’Europa comunque la strada l’ha indicata e si chiama flexicurity: un mix vincente di flessibilità (del lavoro) e sicurezza (del posto di lavoro).
Quando si parla di flessibilità occorre però chiarirne il concetto che può essere declinato almeno lungo tre dimensioni tra loro molto diverse:
per flessibilità esterna, si intende infatti la facilità per un’impresa di assumere e di licenziare i propri lavoratori;
con flessibilità interna si intende invece la facilità di modificare la quantità di lavoro impiegata nell’impresa senza ricorso ad assunzioni o licenziamenti ma tramite, ad esempio, la variazione dell’orario lavorativo o il ricorso a part-time e straordinari;
infine, con il termine flessibilità funzionale, si intende la possibilità per le imprese di spostare i lavoratori da una mansione all’altra (prevede formazione ma non incide, ad esempio, sulla precarietà dei lavoratori);
La nozione di flessibilità, quindi, non rappresenta obbligatoriamente un “costo” per i lavoratori. Non significa obbligatoriamente libertà di licenziare!
Le richieste di flessibilità, infatti, possono essere anche soddisfatte internamente all’azienda e questa “flessibilità interna” può avere caratteristiche qualitative o quantitative.
Forme quantitative di flessibilità interna si riferiscono a diversi tipi di contratti dell’orario di lavoro, come l’uso dello straordinario, del part-time, del lavoro nel fine settimana, o l’implementazione di schemi di orario di lavoro flessibile.
Forme qualitative di flessibilità interna si riferiscono all’adozione di metodi di organizzazione del lavoro che accrescano l’adattabilità al cambiamento compreso politiche come, ad esempio, la rotazione del lavoratori (programmi di job rotation).
Il part-time, ad esempio, può essere uno strumento agile e flessibile per il raggiungimento degli obiettivi fissati otto anni fa in Portogallo, garantendo un contributo importante all’aumento della partecipazione al lavoro e dell’occupazione dei giovani e delle donne. Il lavoro a tempo parziale può infatti aumentare l’occupazione senza accrescere la precarietà e può essere vantaggioso anche per le imprese, in termini di redditività e maggior formazione della propria forza lavoro.
Attraverso queste poche pagine osserveremo come il lavoro a tempo parziale possa rappresentare una delle risposte alle sfide lanciate a Lisbona dando un sostegno e un contributo importante specialmente sotto tre aspetti:
• Incentivo all’occupazione, in particolare quella femminile, perché riesce a garantire la conciliazione tra lavoro e vita familiare, ma più in generale può essere un sostegno all’incremento dell’occupazione per quelle fasce di lavoratori ritenute più deboli: giovani (per conciliare studi e lavoro) e anziani (per sfruttare alcuni interessanti programmi di pensionamento part-time).
• Incentivo al Life long learning, permettendo di abbinare lavoro e formazione lungo una parte della vita lavorativa, aspetto che dovrebbe interessare soprattutto quelle imprese che puntano alla qualità del lavoro e credono nelle potenzialità dell’innovazione;
• Attenuazione dell’effetto di esclusione sociale che si accompagna ad uno stato di disoccupazione.
Ma quanto piace il part-time alle imprese?
È ampiamente dimostrato che in sei ore di lavoro si è proporzionalmente più produttivi che in otto; ed anche che il part-time diminuisce sensibilmente l’assenteismo (soprattutto femminile) e permette con più facilità di partecipare a programmi di formazione e aggiornamento. Ma se guardiamo le statistiche di un paese come l’Italia sembra proprio che la maggior parte delle imprese, specialmente quelle organizzate sulle classiche otto ore giornaliere, non nutra una grande simpatia verso questo istituto perché evidentemente non soddisfa le loro esigenze organizzative, ed anzi produce, laddove adottato, complicazioni maggiori: gestire un ufficio con due addetti a part-time è di massima meno efficiente che affidarlo ad un unico addetto a tempo pieno. Ciò, fatte salve quelle situazioni nelle quali il part-time rappresenta una via di fuga per ridurre i costi e magari per evitare licenziamenti.
In quei settori invece (ristorazione, distribuzione commerciale e agricoltura) dove il part-time è più attraente (e quindi più utilizzato) l’esigenza è spesso quella di poter “aggiustare” la lunghezza dell’orario in base ai flussi di attività.
Nonostante questo però altri dati ci rivelano che queste posizioni, specialmente se supportate da incentivi mirati, possono essere quantomeno riviste. Esistono esempi virtuosi, non solo negli altri paesi (in Olanda quasi una persona su due ha un lavoro part-time) ma anche in Italia.
In realtà i fattori che impediscono al part-time di diventare uno strumento di crescita occupazionale del nostro paese sembrano operare sia dal lato dell'offerta che della domanda di lavoro. Manca insomma qualcosa, sia alle aziende che ai lavoratori, per poter sfruttare al meglio le potenzialità di questo strumento.
Per i lavoratori, infatti, è vero che il part-time può essere una grossa opportunità ma ha anche dei “costi”, come la riduzione del reddito e le pochissime possibilità di carriera che questo in molti casi comporta. Persone con un reddito basso (e la media delle retribuzioni italiane è tra le più basse d’Europa) a volte non possono permettersi il lusso di ridurre il proprio orario di lavoro. Il lavoro a tempo parziale dovrebbe poter essere una libera scelta in alcune fasi del ciclo di vita (come in Danimarca e Olanda) ma si tratta spesso di una scelta obbligata, soprattutto per quanto riguarda le donne: per la scarsa offerta di servizi di assistenza e di cura e una divisione del lavoro all’interno della famiglia che le vede tuttora dedicarsi principalmente alle attività familiari. Inoltre sembra sia particolarmente difficile, per i part-timers, poter tornare ad un lavoro a tempo pieno.
Per quanto riguarda le imprese invece, la riforma del mercato del lavoro (legge 30/2003) ha modificato le convenienze economiche dell’istituto del part-time, rendendolo in alcuni casi più conveniente, anche grazie alla maggior produttività rispetto al tempo pieno. Ma questa convenienza può essere ridotta dalle esigenze organizzative e gestionali che il lavoro part-time comporta, soprattutto nella piccola impresa, che rappresenta larga parte del sistema produttivo italiano.
Per aumentare i benefici e ridurre i costi del part-time, per le imprese e per i lavoratori, sarebbe quindi necessario prevedere anche azioni che favoriscano un uso flessibile degli orari di lavoro in relazione alle diverse esigenze che emergono nel corso della vita lavorativa di ciascun individuo. Ad esempio facilitando i passaggi da full-time a part-time e viceversa, favorendo l'utilizzo di congedi parentali e formativi flessibili, facilitando l'investimento formativo e la progressione professionale.
Si potrebbero inoltre considerare interventi a sostegno della creazione di posti di lavoro part-time mirati a fasce specifiche di individui (donne e uomini con carichi familiari, disabili, anziani, giovani in obbligo formativo). E un sostegno alle piccole imprese potrebbe anche arrivare attraverso l'offerta di assistenza all'introduzione del part-time nei vari contesti organizzativi e una maggiore informazione sulle opportunità normative.
È quindi una questione di incentivi (alle aziende) e opportunità (per i lavoratori). Di best practices, in Europa, non ne mancano.
E probabilmente, questi buoni esempi, sarebbe opportuno seguirli, perché il lavoro part-time rimane uno degli strumenti di flessibilità più virtuosi per favorire inclusione sociale e per la creazione di posti di lavoro di qualità e nel quale, probabilmente, varrebbe la pena investire più risorse per provare a raggiungere quegli ambiziosi obiettivi fissati a Lisbona.