martedì 26 ottobre 2010

Da Marchionne alla nuova sigla dei Simpson


Mentre Sergio Marchionne denuncia alla trasmissione di Fabio Fazio la scarsa efficienza del lavoro in Italia (118° posto su 139) e sostiene che la FIAT senza gli stabilimenti in Italia starebbe senz’altro meglio di come sta oggi, la nuova sigla dei Simpson mandata in onda in America tratta, a suo modo, lo stesso grande tema.

La dissacrante accusa di Bansky (il geniale artista inglese autore della nuova sigla dei Simpson) denuncia la scelta della Fox di de localizzare la produzione dei gadget Simpson in Corea del Sud mettendo dentro alla tv di Homer e famiglia immagini di un gruppo di lavoratori con tratti asiatici che disegnano tavole dei Simpson in un ambiente buio, stretti l’uno accanto all’altro come in una catena di montaggio.

Perché se probabilmente da domani troveremo pupazzetti di Bart e Lisa a prezzi più bassi forse dietro a tutto questo c’è qualcosa che facciamo finta di non vedere, che anche Marchionne (citando Germania e Francia ma pensando forse a paesi ben più a est) ci nasconde e che Banskey ci sbatte davanti agli occhi.

Alcune prerogative della modernità (Globalizzazione, delocalizzazione, massimizzazione dei ricavi) portano ad un mondo peggiore o ad uno migliore?

E allora viene da chiedersi: Quale sarà il futuro? Importare merce (a basso costo) o esportare diritti?

martedì 19 ottobre 2010

Santoro e dintorni. L’informazione in tv

Colgo lo spunto offerto dalla never ending story tra Michele Santoro e la dirigenza RAI per riflettere ad alta voce sull’informazione in tv. Argomento quanto mai d’attualità, di fatto un vero e proprio evergreen che si ripropone in maniera seriale indipendentemente dal giornalista di turno: Luttazzi, Santoro oppure Biagi, poco importa.
Ammetto la mia colpa, prima di procedere oltre, dichiarando di non essere un appassionato fruitore dei salotti televisivi dediti all’informazione e all’approfondimento. Della televisione, mezzo di comunicazione che frequento spesso sia per ragioni di lavoro che per motivato e sincero interesse, preferisco altri generi. Confesso, inoltre, di non credere nel ‘buono’ e nel ‘cattivo’ giornalismo, in questa facile e quanto mai fuorviante dicotomia. Piuttosto credo nella ‘buona’ e nella ‘cattiva’ fede di chi il giornalismo lo fa davvero. Inoltre, cerco di ricordarmi che informare vuol dire ‘dare forma’ e che se anche esistono i fatti, sono le interpretazioni dei fatti e le ricostruzioni offerte a dare forma e sostanza al giornalismo, che sia in tv, sul web o sulla carta stampata.
Fatte queste premesse, si può facilmente osservare che da qualche tempo l’informazione in tv è diventata più ‘spettacolare’, una nuova forma di intrattenimento assai spesso violenta: non a caso si va strutturando un nuovo genere dal nome curioso di infotainment, che fonde insieme informazione e intrattenimento. Le liti, le urla, gli insulti, addirittura le botte (così come tanti silenzi colpevoli), sono sotto gli occhi di tutti e non hanno bisogno di essere commentati. Sono d’accordo con quanti, Santoro incluso, ritengono che il giornalismo in tv sia degradato (e degradante): lo spettacolo e la spettacolarizzazione, appunto, hanno preso il posto dell’argomentazione e dell’approfondimento; alla parola si sono sostituiti gli slogan (spesso aggressivi e violenti).
Mi sento però di aggiungere, come ci ricorda il Vangelo, «scagli la prima pietra, chi è senza peccato».
Vorrei inoltre ricordare che alcuni anni fa, il politologo fiorentino Giovanni Sartori in un suo celebre libro (Homo Videns, Laterza, 1997) ha fortemente sostenuto la tesi che la televisione sta distruggendo la nostra capacità critica e di giudizio affermando che, all’homo sapiens, quello in grado di riflettere, rielaborare e quindi comprendere le cose del mondo, si sta sostituendo l’homo videns: una nuova specie legata alle immagini e quindi alla superficie (e conseguentemente alla superficialità) nonché alla scarsa capacità di rielaborazione critica.
Forse la televisione, nonostante le sempre più frequenti edizioni dei telegiornali, le più o meno viste e discusse trasmissioni di approfondimento, da Annozero a Porta a Porta, passando per Report, Matrix, l’Infedele, Terra e OttoeMezzo (e tutte le altre che non ricordo o non conosco), non è il luogo più indicato per l’informazione e soprattutto per l’approfondimento. Ma per fortuna, come si sa, la televisione non è l’unico medium nel quale è presente l’informazione, né quello più influente.
Torniamo però a Santoro. Dall’alto del suo pulpito catodico, tra le molte cose dette durante la sua ultima diretta tv cercando di difendere la qualità del servizio pubblico ha affermato: «Voi [il pubblico, e cioè potenzialmente noi tutti] avete diritto a non vedere i vostri cervelli ridotti ad un’unica marmellata televisiva» riferendosi agli altri programmi e alle altre trasmissioni televisive. Grandi applausi sono seguiti a questo proclama.
Qualcosa in quella frase mi ha disturbato profondamente. Quella parola ‘diritto’ (sempre usata in maniera strumentale) mi ha offerto lo spunto per rileggere quella ‘cosa’ spesso dimenticata che è il contratto di servizio, e cioè il contratto che viene stipulato tra il Ministero dello Sviluppo Economico e la RAI. Un corposo testo dove si parla, tra le altre cose, di quelli che dovrebbero essere i principi ispiratori del giornalismo (perlomeno nel servizio pubblico) tra i quali «obiettività, completezza, imparzialità e lealtà dell’informazione» (bozza triennio 2010-2012). Tanti sono i diritti dei telespettatori sanciti in quel testo. Assente una responsabilità: la nostra, quella del pubblico. Una responsabilità esercitabile nelle forme più diverse che è il vero elemento di garanzia della libertà dell’informazione.
Così mi sono ricordato di un’altro pregiudizio, uno antico e fortemente radicato nel mondo degli intellettuali italiani. Quello di dire sempre, ad ogni costo, anche senza conoscerla, che la televisione ‘fa schifo’, e che il pubblico televisivo non è in grado di capire da solo le cose. “Se stai con me, avrai l’informazione e l’approfondimento, contro di me preparati a diventare marmellata”.
A me questa sembra violenza bella e buona. Mi sembra inoltre fazioso e poco rispettoso nei confronti del proprio pubblico (qualcuno dovrebbe ricordarsi di essere lui stesso un giornalista televisivo!)
Allora mi permetto di suggerire a quanti si sono persi tra i vari provvedimenti disciplinari, sospensioni, arbitrati interni e ricorsi al giudice ordinario, a quanti stanno ricostruendo questa vicenda passo per passo, dichiarazione dopo dichiarazione, che abbiamo un altro fondamentale diritto. Quello, banalmente, di spengere la televisione o cambiare canale. Un diritto intrinsecamente collegato a quella nostra responsabilità di telespettatori, cittadini, di donne e uomini liberi; alla faccia di chi, da una parte e dall’altra, continua a volerci dire che cosa dovremmo pensare.

F.C.

martedì 12 ottobre 2010

Terranuova: ecco la nuova chiesa


Impossibile, questo martedì, non parlare di Santa Maria Nuova.

Non capita tutti i giorni di assistere alla realizzazione di un’opera come la costruzione di una nuova chiesa in una cittadina di dodicimila abitanti. E se nel 2010 questo è successo a Terranuova qualche motivo ci sarà.
Il primo sta probabilmente nelle capacità, nel fegato e nel cuore di chi in questo progetto ci ha creduto più di tutti: Don Donato.
Dietro a lui ci sono poi tante persone che hanno dato il loro contributo e c’è una comunità che ha voluto fortemente la sua nuova Chiesa.
Sulla qualità artistica e architettonica messa in campo a Terranuova si può davvero dire poco se non essere orgogliosamente soddisfatti di quella che è sicuramente una delle opere moderne più importanti della vallata. Se poi non piace è un altro discorso, ma l’Architetto Mario Botta e l’artista fiorentino Sandro Chia sono, nel loro campo, tra i più quotati al mondo.
Ma fra i tanti entusiasti non mancano certo i detrattori della nuova chiesa.

Bellissima? Bruttina?Importante? Inutile?
Qui le opinioni dei terranuovesi immancabilmente si dividono ed ognuno ha una sua teoria.
Ed è proprio nel groviglio di impressione che un evento eccezionale come questo può suscitare nel paese che vorremmo entrare questa settimana. Quindi prego, avanti coi commenti...

Francesco



martedì 5 ottobre 2010

Stupratore a chi?


La parlamentarizzazione del ricompattamento della maggioranza intorno al programma di governo ha lasciato strascichi di incertezza per quanto riguarda la cinica ragioneria parlamentare, ma soprattutto ha aperto il sipario ad un dibattito dai toni aspri e duri. Mi rendo conto che senza meditare sulla sostanza abbia poco senso riflettere sulla forma, tuttavia l’intervento dell’On. Di Pietro ci permette di osservare con occhio distaccato due temi che si aggrovigliano tra loro: il rispetto delle istituzioni e la libertà di espressione di un parlamentare. Termini come “stupratore della democrazia” e tante altre pirotecniche perifrasi hanno arricchito, o impoverito, il discorso di DP e allo stato dell’arte, mi pare poco rilevante disquisire se Berlusconi abbia violentato la democrazia oppure l’abbia sedotta con la tenerezza. Il punto è un altro: può un parlamentare usare un simile registro linguistico nell’esercizio delle sue funzioni? Certamente questa questione va oltre le garanzie dell’Art. 21 Cost., tuttavia lo status del parlamentare è stato ben definito dal nostro Costituente: Art. 67 Cost. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione, quindi anche voi che leggete ed io che scrivo. E voi avreste usato lo stesso vocabolario? Eppure i membri del Parlamento non possono esser chiamati a rispondere delle loro opinioni espresse (Art. 68), pertanto hanno la massima libertà nell’esercizio delle loro funzioni. E’ possibile pensare che DP, sapendo peraltro della diretta televisiva, abbia forzato il suo discorso per provare a distinguersi come il Grillo del Parlamento e intercettare quel tipo di elettorato? Anche il Regolamento della Camera dei Deputati definisce le maglie della libertà dei deputati: Art. 59 comma 1, Se un deputato pronunzia parole sconvenienti oppure turba col suo sostegno la libertà della discussione, il Presidente lo richiama. Difatti Fini lo ha richiamato e lo ha fatto per ben due volte (Reg. Camera Art. 60 comma 2) e addirittura avrebbe potuto allontanarlo oppure proporre all’Ufficio di Presidenza la censura di partecipare ai lavori parlamentari. Non mi risulta che siano stati presi provvedimenti in tal direzione. Mi chiedo: lo slancio di DP è stato un surplus di rappresentatività oppure uno spettacolo indecoroso per le nostre istituzioni? Un discorso da far decantare e magari riprenderlo in altre stagioni della politica oppure da cassare senza ulteriori giudizi di appello? Tanti interrogativi, ma una cosa è certa. Berlusconi con le donne ci sa fare…
Tommaso