martedì 27 ottobre 2009

Il Sinodo per l'Africa


Dal 4 al 25 ottobre si è svolta a Roma la seconda assemblea sinodale speciale per l’Africa. La scelta del tema è stata il frutto di un meticoloso lavoro delle chiese locali in Africa: La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. L’importanza dell’evento ci obbliga a soffermarci su quest’appuntamento. Un continente ricchissimo in quanto a materie prime, nonostante rappresenti soltanto l’1% del prodotto mondiale lordo, un’area vastissima d’innumerevoli terre agricole che potrebbero sfamare il mondo e invece è proprio l’Africa a morire di fame, sono le dovute premesse che ci chiedono di proporre un discorso capace di parlare a tutta la famiglia umana e a riflettere sul grado d’interdipendenza tra i diversi e apparentemente lontani attori sociali. Per dirla in breve: perché a tanto benessere, tanta povertà? La domanda scavalca i secoli e con il passo delle lunghe falcate giunge a interrogare le nostre coscienze. I popoli della fame interpellano, oggi in maniera drammatica, i popoli dell’opulenza.

Dopo un passato coloniale alla spietata ricerca di rispolverare dalla patina di storia i fasti dell’Impero, quale politica estera italiana nei confronti dell’Africa in questo inizio di Terzo Millennio?

Siamo diventati gli amici dei peggiori dittatori, da Gheddafi (Libia) ad Aferworki (Eritrea), da Bashir (Sudan) a Ben Ali (Tunisia) e al primo posto nella nostra agenda politica ci sono sempre gli affari commerciali da soddisfare. Un esempio paradigmatico è la vicenda Eni, che sta provocando un disastro ecologico nel Delta del Niger. L’Eni estrae 152.000 barili di petrolio al giorno (settemilioni di euro al giorno) e poi ricorre al gas flaring (bruciare a cielo aperto gas naturale collegato all’estrazione di petrolio) rendendo la Nigeria il primo Paese al mondo per emissioni di CO2 . Davanti a questa politica di depredazione e non di cooperazione si sono sollevate innumerevoli proteste e durante il governo Prodi fu chiesto con insistenza che una delegazione interpartitica visitasse quella regione affinché ci potesse essere una maggiore consapevolezza di quella violazione dei diritti umani ed economici. Blocco da parte della Farnesina (Padre Alex Zanotelli, Adista, documento n. 103). A ben guardare l’aspetto più preoccupante è l’accresciuto disinteresse verso la cooperazione internazionale. L’ultima finanziaria ha ulteriormente tagliato i fondi destinati al sostegno delle iniziative contro la povertà, portandoli allo 0,1% del Pil che, cifre alla mano, corrispondono a una giornata di guerra in Iraq per le truppe americane. Inoltre, sempre in campo economico è gravissima la scelta politica italiana in favore dei biocarburanti e degli Ogm. Decisioni politiche prese dai paesi industrializzati senza alcuna distinzione tra destra e sinistra per ottenere etanolo dai prodotti agricoli (mais, soia, e olio di palma). Insomma, si muore di fame e noi adottiamo misure che provochino una diminuzione del cibo disponibile e un aumento dei prezzi. L’altra politica sbagliata in campo agricolo è quella di promuovere i cosiddetti Ogm, con l’atroce inganno che questi possano risolvere il problema della fame. Anche su questa questione nel 2000 la Conferenza Episcopale Sudafricana si era espressa nettamente contro l’adozione di questa tecniche di bioingegneria e lo ha ribadito durante l’assemblea sinodale: Questa tecnica rischia di rovinare i piccoli coltivatori e di sopprimere le loro semine tradizionali, rendendoli dipendenti dalle società produttrici di Ogm. (Instrumentum Laboris, n. 58). Tuttavia, la vicenda è molto più intricata di quanto possa apparire e alzando il tiro, si può sostenere come questa rotta trovi le sue coordinate nei luoghi decisionali delle rispettive macroaree. L’Europa in questa partita sta giocando un ruolo tristissimo e con gli Accordi di Partenariato del novembre del 1995 e successivamente con la loro involuzione in Politica di vicinato sancita nel 2005, si è dimostrato come intorno alle richieste di aggiustamenti strutturali e all’adozione del principio di condizionalità positiva, si celi il ricatto etnocentrico di far rinunciare ai paesi africani sia i dazi sia le tariffe doganali (gli unici proventi dei paesi impoveriti) per consentire al mercato europeo un più agevolato inserimento nei paesi africani, senza alcuna valutazione sull’impossibilità per contadini dell’Africa (70% del tessuto economico) di competere con i prezzi degli agricoltori europei. E sarà ancora più fame!

L’augurio è che da quest’ assemblea si manifesti una nuova germinazione che sappia riconoscere le storture dell’Occidente e che contribuisca a rendere il “cattivo samaritano” un attore mondiale attento ai diritti umani ed economici di tutti.

Tommaso C.

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