martedì 7 luglio 2009

Tra pubblico e privato: l'acqua in mezzo al guado


E' compito della politica aver cura del bene comune: l'acqua è un fattore essenziale in quanto diritto fondamentale. Su questo tema aleggia molta confusione e non con semplicità si riesce a definire se l'acqua sia pubblica o privata. I partiti e gli amministratori rispondono con orgoglio che questa sia pubblica perché gli acquedotti sono di proprietà dei comuni dal momento che le società che le gestiscono sono prevalentemente a capitale pubblico. Per esempio, Acqua Spa che gestisce l'acqua nel basso Valdarno è posseduta per il 55% dai Comuni del comprensorio e per il 45% da Abab, una società partecipata per il 30% da privati come Suez o Monte dei Paschi e per il 70% da Acea, società controllata dal Comune di Roma. A conti fatti l'80% di Acqua Spa è dei comuni, quindi pubblica. Allora possiamo dormire sonni tranquilli? Mica tanto. A ben vedere i comuni non gestiscono direttamente un bel niente se non tramite Spa. Sarebbe come se dei genitori, troppo impegnati in beghe private, si rifiutassero di custodire i loro figli e li affidassero a una baby sitter senza chiari intenti educativi. In quel caso, i figli non cambierebbero cognome, sarebbero sempre in famiglia ma non si potrebbe dire che questi sarebbero ben accuditi. Guardando lo stato delle cose con occhi ben aperti e schietti non si può non riconoscere che tra un Comune e una Spa passa la stessa differenza che c'è tra un frate francescano e un guerriero mercenario: il primo persegue fini di prossimità, di fratellanza e di pace, mentre il secondo è dedito al saccheggio, alla violenza e alla guerra. Se il povero frate affidasse la sua comunità al feroce soldato, non si potrebbe più dire che in quel monastero si respiri un'aria di pace, bensì diventerà un luogo di tortura. L'obiettivo di una Spa è quello di massimizzare il profitto espandendo i ricavi e comprimendo i costi, pertanto, sotto il governo delle Spa l'acqua smette di essere un diritto e si trasforma in una merce, i comuni cessano di essere i primi custodi del bene comune e si camuffano in padroni sanguisuga. Insomma, padrone pubblico e gestione privata. Questa è l'attuale contraddizione che grava su uno dei più importanti beni primari. Tuttavia questo paradosso è il frutto di una brillante elucubrazione: siccome il pubblico è pigro e inaffidabile, affidiamo tutto all'efficienza e alla professionalità del privato. Una sorta di Re Mida che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Ma per arricchire chi? Alcuni casi poco virtuosi:nel gennaio 2008 la dirigenza di Acqualatina è finita in manette per truffa aggravata e frode; nel gennaio 2009 il Comando della Guardia di Finanza della Provincia di Frosinone, ha denunciato Acea Ato 5 Spa per avere gonfiato illegalmente le bollette dell'acqua; nel novembre 2007 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha appurato l'esistenza di patti segreti fra Acea e Suez per penetrare nel mercato degli acquedotti toscani. La lista sarebbe ancor più lunga se non che per esigenze di brevità mi pare opportuno richiamare all'attenzione del lettore come si manifesta l'efficienza del privato: Fausto Valtriani, Presidente di Acque spa, ha diritto ad un compenso lordo di 44.400 euro l'anno e un gettone di presenza di 155 euro ogni volta che siede in riunione1. Eppure ricorrere al privato è necessario perché la rete idrica ha bisogno di investimenti e ad oggi l'unico che ha i soldi è il privato. Come cani da tartufi, privati come Suez, Caltagirone, Pesenti, Veolia e tanti altri si gettano subito nell'affare, entrando come soci nella società. Ma al loro ingresso non corrisponde alcun aumento di capitale e siccome non conviene fermare i soldi nelle casse delle aziende si vanno a cercare nelle banche, magari le stesse che siedono nei consigli d'amministrazione. Tutta l'operazione si chiude con il vizio che ben rileva l'assurdità di tale concezione: il sistema a tariffa. Nella logica d'impresa gli investimenti fatti a debito si recuperano attraverso le vendite e se non si riesce ad aumentare la linea di produzione non c'è altra strada che ricorrere all'innalzamento dei prezzi. Quello dell'acqua è un caso di scuola perchè tecnicamente la domanda di questo bene è rigida, ossia i consumi sono stabilizzati pertanto ogni investimento si conclude, inevitabilmente, con un processo inflazionistico. Dopotutto, i direttori sanno che più di tanto non si può tirare la corda pertanto gli investimenti sono limitati al minimo indispensabile, così ci troviamo ad avere una situazione infrastrutturale che è tutto eccetto il risultato di un processo efficiente. Legambiente Toscana ha stimato che la rete idrica pisana perde il 42% dell'acqua immessa nelle tubature. Difatti, il risultato è che mentre nel 1985 gli investimenti in questo settore ammontavano a 2,3 miliardi di euro, nel 2005 sono scesi a 700 milioni di euro. Che sia un paradosso lo dimostra il caso che si è venuto a creare a Firenze il 20 giugno 2008 quando Alfredo De Girolamo, presidente della Confservizi Toscana, ha messo in evidenza la necessità di avviare opere di ristrutturazione per 900 milioni di euro e poi ha chiesto i soldi alla Regione Toscana per evitare che i costi ricadessero in tariffa. Insomma, profitti privati e debiti pubblici: neppure Mussolini sarebbe stato capace di far meglio! Possibili vie d'uscita? Bisogna metterci in testa che dobbiamo avvicinarci all'acqua con un duplice atteggiamento: preservazione e diritto. Preservazione perché l'acqua è una risorsa sempre più scarsa e diritto perché essa assolve a funzioni vitali. Il primo proponimento si raggiunge risistemando la rete idrica ed educando la gente ad evitare inutili sprechi, mentre il secondo lo si agguanta garantendo a tutti il fabbisogno minimo di acqua. Indubbiamente nessuna di queste due proposte può stare in piedi con il sistema a tariffa. Una fiscalità progressiva che persegua fini di ridistribuzione ed equità è l'unica soluzione per un cammino virtuoso e lungimirante. Chi più ha, più paga: questo dovrebbe essere il principio. Ma la politica che fa? Il 6 agosto 2008 con la legge 133 il Parlamento, "al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni" ha definitivamente sancito la privatizzazione dell'acqua e nessuna forza politica ha manifestato valutazioni di contrarietà. Questo è quello che fa la politica.

Tommaso

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