martedì 11 dicembre 2012

Questa settimana pubblichiamo un contributo inviato alla redazione da Lorenzo Puopolo, ex consigliere comunale terranuovese e attuale consigliere provinciale. Una sua personale riflessione sulla notizia arrivata qualche giorno fa dal consiglio provinciale fiorentino sulla decisione di costruire una discarica in Località Le Borra a pochi chilometri da quella di Podere Rota. Una decisione che non pochi nel nostro territorio hanno avversato.

 

Le Borra, il Valdarno: due discariche
 
Si apprende in questi giorni dagli organi di stampa che tutte le osservazioni sollevate al Consiglio Provinciale di Firenze sono state respinte. Quindi, le Borra diventerà discarica!
Con la conseguenza che in Valdarno, a pochi chilometri di distanza, ci saranno due importanti discariche.
Eppure, sono già molti anni che "Podere Rota" svolge questa importante funzione per la comunità toscana e non solo. Inoltre il sito terranuovese continua ad essere utilizzato senza che l'ATO lo supporti con impianti necessari al trattamento integrato dei rifiuti.
Le discariche sono onerose da un punto di vista ambientale, ma ancora indispensabili e, chi le sostiene nel proprio territorio, paga dazi rilevanti.
Le amministrazioni comunali devono fare in modo che tali dazi siano il più possibile sostenibili con pratiche di raccolta differenziata, meglio se di qualità, come nel caso del "porta a porta". Queste modalità permettono che il riciclaggio e il conferimento dei rifiuti nei siti di accumulo risultino meno impattanti e pericolosi nei confronti dell'ambiente.
Per ottenere questo obiettivo è necessaria anche la presenza di impianti di termovalorizzazione che abbattono la quantità di conferito in discarica e permettono di recuperare energia sia producendo elettricità sia producendo calore per il riscaldamento domestico.
Tutto ciò ha a che fare con la progettualità che è declinata nella "gestione dei cicli integrati dei rifiuti". Quindi i poteri politici devono agire con razionalità e determinazione per mettere i territori in condizione di possedere sia l'impiantistica sia la buona pratica di raccolta, in modo da raggiungere gli obiettivi dei piani stessi.
Questo è ciò che il nostro territorio deve fare e i nostri amministratori devono perseguire. Altro è fare del Valdarno un territorio di "servizio" che, non solo mette i cittadini in grado di gestire in modo autonomo le proprie esigenze, ma anche si prende carico di competenze che altri pensano di non doversi prendere.
Le province di Firenze,Prato, Pistoia non possono scaricare i loro rifiuti del nostro Valdarno solo perché pensano di poter fare "la voce grossa".No! La nostra comunità deve trovare la determinazione per impedire che le nostre belle terre diventino una colonia di altri.
Perché si ricordino, i cari fiorentini, che amministrare bene, significa amministrare pensando al bene comune e non agli interessi particolari.
Se fosse stato sempre così probabilmente la nostra Italia sarebbe un paese migliore!
Lorenzo Puopolo

giovedì 6 dicembre 2012

L'emergenza antropologica: per una nuova alleanza


Concluse le primarie del centrosinistra, lasciamo ancora spazio ai commenti dei lettori ma facciamo anche un passo avanti con una variazione sul tema. Nel dibattito televisivo fra i cinque candidati abbiamo scoperto, forse con sorpresa, che nei pantheon ideali di Bersani e Vendola stanno papa Giovanni XXIII e il cardinale Martini. Preso atto di queste sensibilità, ci si domanda però perché, in tema di rapporti con il mondo cristiano e con la Chiesa, nessuno dei contendenti abbia mai fatto riferimento a un appello che, nell’ autunno dello scorso anno, quattro studiosi di estrazione marxista hanno proposto al Partito democratico con il titolo “L’ emergenza antropologica: per una nuova alleanza”. Gli autori sono Giuseppe Vacca, Pietro Barcellona, Mario Tronti e Paolo Sorbi. Rifiutato dal Corriere della Sera, il manifesto è stato pubblicato su Avvenire il 16 ottobre 2011, il giorno prima del convegno delle associazioni cattoliche del mondo del lavoro a Todi. È diventato poi un libro, che raccoglie anche risposte e riflessioni di credenti e non credenti. Molta attenzione gli ha dedicato il vaticanista del gruppo Espresso-Repubblica Sandro Magister sul sito ‘www.chiesa’ e sul blog ‘Settimo cielo’. La Voce del Martedì lo propone ora ai suoi lettori, ricordando che recentemente Avvenire è tornato sull’ argomento con quattro interviste agli autori, pubblicate il 31 ottobre e il 7, 14, 21 novembre.

L’EMERGENZA ANTROPOLOGICA: 
PER UNA NUOVA ALLEANZA
di Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti, Giuseppe Vacca

La manipolazione della vita, originata dagli sviluppi della tecnica e dalla violenza insita nei processi di globalizzazione in assenza di un nuovo ordinamento internazionale, ci pone di fronte ad una inedita emergenza antropologica. Essa ci appare la manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia. Germina sfide che esigono una nuova alleanza fra uomini e donne, credenti e non credenti, religioni e politica. Pertanto riteniamo degne di attenzione e meritevoli di speranza le novità che nel nostro Paese si annunciano in campo religioso e civile.
A noi pare che negli ultimi anni – un periodo storico cominciato con la crisi finanziaria del 2007 e in Italia con il crepuscolo della “seconda Repubblica” – mentre la Chiesa italiana si impegnava sempre più a rimodulare la sua funzione nazionale, un interlocutore come il Partito democratico sia venuto definendo la sua fisionomia originale di “partito di credenti e non credenti”. Sono novità significative che ampliano il campo delle forze che, cooperando responsabilmente, possono concorrere a prospettare soluzioni efficaci della crisi attuale.
Il terreno comune è la definizione della nuova laicità, che nelle parole del segretario del Pd muove dal riconoscimento della rilevanza pubblica delle fedi religiose e nel magistero della Chiesa da una visione positiva della modernità, fondata sull’alleanza di fede e ragione. Nel suo libro-intervista “Per una buona ragione”, Pier Luigi Bersani afferma che il “confronto con la dottrina sociale della Chiesa” è un tratto distintivo della ispirazione riformistica del Pd e che la presenza in Italia ”della massima autorità spirituale cattolica” può favorire il superamento del bipolarismo etico che in passaggi cruciali della vita del Paese ha condizionato negativamente la politica democratica. Ribadendo, infine, la “responsabilità autonoma della politica”, Bersani esprime una opzione decisa per una sua visione “che non volendo rinunciare a profonde e impegnative convinzioni etiche e religiose, affida alla responsabilità dei laici la mediazione della scelta concreta delle decisioni politiche”.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica vi sono due punti della relazione del cardinale Bagnasco alla riunione del Consiglio permanente dei vescovi del 26-29 settembre 2011 che meritano particolare attenzione.
Il primo riguarda la critica della “cultura radicale”: essa è rivolta a quelle posizioni che, “muovendo da una concezione individualistica”, rinchiudono “la persona nell’isolamento triste della propria libertà assoluta, slegata dalla verità del bene e da ogni relazione sociale”.
Il secondo è la proposta di nuove modalità dell’impegno comune dei cattolici per contrastare quella che in una precedente occasione aveva definito “la catastrofe antropologica”: “la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica”. E non è meno significativa la sua giustificazione storica: “A dar coscienza ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori dell’umanizzazione [che] sempre di più richiamano anche l’interesse di chi esplicitamente cattolico non si sente”. In altre parole, la “possibilità” di questo nuovo soggetto origina dall’impegno sociale e culturale del laicato, nel quale i cattolici sono “più uniti di quanto taluno vorrebbe credere” grazie alla bussola che li guida: la costruzione di un umanesimo condiviso.
La definizione della nuova laicità e l’assunzione di una responsabilità più avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia esigono uno sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non solo a interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare forme nuove di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del Paese. A tal fine appare dirimente il confronto su due temi fondamentali del magistero di Benedetto XVI che nell’interpretazione prevalente hanno generato confusioni e distorsioni tuttora presenti nel discorso pubblico: il rifiuto del “relativismo etico” e il concetto di “valori non negoziabili”.
Per chi dedichi la dovuta attenzione al pensiero di Benedetto XVI non dovrebbero sorgere equivoci in proposito. La condanna del “relativismo etico” non travolge il pluralismo culturale, ma riguarda solo le visioni nichilistiche della modernità che, seppur praticate da minoranze intellettuali significative, non si ritrovano a fondamento dell’agire democratico in nessun tipo di comunità: locale, nazionale e sovranazionale. Il “relativismo etico” permea, invece, profondamente, i processi di secolarizzazione, nella misura in cui siano dominati dalla mercificazione. Ma non è chi non veda come la lotta contro questa deriva della modernità costituisca l’assillo fondamentale della politica democratica, comunque se ne declinino i principii, da credenti o da non credenti.
D’altro canto, non dovrebbero esserci equivoci neppure sul concetto di “valori non negoziabili” se lo si considera nella sua precisa formulazione. Un concetto che non discrimina credenti e non credenti, e richiama alla responsabilità della coerenza fra i comportamenti e i principii ideali che li ispirano. Un concetto che attiene, appunto, alla sfera dei valori, cioè dei criteri che debbono ispirare l’agire personale e collettivo, ma non nega l’autonomia della mediazione politica. Non si può quindi far risalire a quel concetto la responsabilità di decisioni in cui, per fallimenti della mediazione laica, o per non nobili ragioni di opportunismo, vengano offese la libertà e la dignità della persona umana fin dal suo concepimento.
Ad ogni modo, se nell’approccio alle sfide inedite della biopolitica ci sono stati e si verificano equivoci e cadute di tal genere non solo in scelte opportunistiche del centrodestra, ma anche nel determinismo scientistico del centrosinistra, la riaffermazione del valore della mediazione laica che sembra ispirare “la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica” rischiara il terreno del confronto fra credenti e non credenti. Quindi dipenderà dall’iniziativa culturale e politica delle forze in campo se quella “possibilità” acquisterà un segno progressivo o meno nella vicenda italiana.
A tal fine noi riteniamo che il Pd debba promuovere un confronto pubblico con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose operanti in Italia oltre che sui temi cosiddetti “eticamente sensibili”, su quelli che attengono in maniera più stringente ai rischi attuali della nazione italiana: la tenuta della sua unità, la “sostanza etica” del regime democratico.
Tanto sull’uno, quanto sull’altro, la storia dell’Italia unita dimostra che la funzione nazionale assolta o mancata dal cattolicesimo politico è stata determinante e lo sarà anche in futuro.

mercoledì 28 novembre 2012

PRIMARIE ITALIA BENE COMUNE


Ci sembra doveroso riportare fedelmente e senza commenti, che invece ci auguriamo vengano dai lettori, i dati emersi dalle primarie del centrosinistra di domenica scorsa. Riportiamo anche il dato storico delle primarie che dal 2005 ad oggi si sono succedute in ambito PD/ Centrosinistra.

Dati in %
ITALIA
Bersani: 44,9  Renzi: 35,5  Vendola:15,6  Puppato: 2,6  Tabacci: 1,4

TOSCANA
Bersani: 35,4  Renzi: 52,2  Vendola:10,2  Puppato: 1,7 Tabacci: 0,5

PROVINCIA DI AREZZO
Bersani: 29,49  Renzi: 61,92  Vendola: 7,04  Puppato: 1,21  Tabacci: 0,34

CITTA' DI AREZZO
Bersani: 29,8  Renzi: 58,9  Vendola: 9,40  Puppato: 1,30  Tabacci: 0,4

VALDARNO
Bersani: 29,65  Renzi: 61,85  Vendola: 6,84  Puppato: 1,34  Tabacci: 0,32

TERRANUOVA BRACCIOLINI
Bersani: 26,67  Renzi: 66,25  Vendola: 6,09  Puppato: 1,34  Tabacci: 0,32

Elezioni primarie, dato storico:
Anno/ Carica/ Vincitore/ Votanti complessivi (DATI WIKIPEDIA)

2005 / Candidato Premier / Romano Prodi/ Votanti 4.311.000
2007 / Segretario PD / Walter Veltroni/ Votanti 3.554.169
2009 / Segretario PD / P.Luigi Bersani / Votanti 3.102.709
2012 / Candidato Premier/ ??????????/ Votanti 3.110.210 (Primo Turno)

La Redazione

martedì 20 novembre 2012

Primarie, politica e Costituzione.


Tutto ebbe inizio il 12 aprile 2001, quando era ancora in vigore il “Mattarellum” e sul Corriere della Sera apparve un editoriale firmato da Giovanni Sartori: L’ultimo sopruso (anche in G. Sartori, Mala tempora, Laterza, Bari 2004, p. 200). L’esuberante politologo fiorentino accusò le forze politiche in campo, «Casa delle libertà, Ulivo, Margherita e compagni», di indicare sulla scheda elettorale il nome del premier designato: Silvio Berlusconi da una parte, Francesco Rutelli dall’altra. Con questo «ultimo sopruso» – scrisse Sartori – i partiti affidavano ad una prassi elettorale l’approdo verso una forma di governo diversa, spogliando, perciò, il Parlamento del diritto di scegliere e investire il Presidente del consiglio (Art. 94), e sottraendo al Capo dello Stato una delle sue principali prerogative, quella di nominare il Capo del governo (Art. 92).
A distanza di oltre dieci anni, la convocazione di elezioni primarie per individuare il candidato premier non fa altro che dare una farraginosa base democratica a questo sopruso. Ma non è correggere, bensì perseverare. La partecipazione democratica è il sale della democrazia, pertanto iniziative di questo genere hanno il grande merito di avvicinare cittadini, il più delle volte delusi e stanchi, alla politica e portarli ad interessarsi, in generale, alla cosa pubblica; però, aggiungendo indistintamente presunti ingranaggi democratici a dei meccanismi poco lubrificati, si corre il rischio di inceppare tutto. Fuor di metafora, in Italia, in occasione delle elezioni politiche, il votante non sceglie chi lo governerà, ma chi lo rappresenterà; elezioni primarie, quindi, si dovrebbero svolgere per individuare i possibili candidati a rappresentare, ovvero deputati e senatori. Questo Paese ha un grosso problema: una classe dirigente impreparata, faziosa e irrispettosa delle istituzioni; continuare su questa strada significa percorrere a vele spiegate i mari profondi dell’antipolitica. «Antipolitica» perché si aggirano le regole con una semplicità impressionante; «profondi», perché si vanno a colpire le leve più importanti dell’organizzazione di uno Stato: la Carta fondamentale e l’equilibrio tra i poteri. Si potrà obiettare: ma esiste una costituzione formale e una materiale. È vero. Ma non può avvenire certo per consuetudine una simile trasformazione. Così si riscrivono le regole del gioco e senza utilizzare le procedure previste si rischia, in astratto di fare diseducazione civica, e in concreto di fare scegliere agli italiani i vari “nani, scilipoti  o ballerine”, e ad altri i professori di turno.
Le primarie sono uno strumento nobilissimo: addirittura possono arricchire di «metodo democratico» la vita interna dei partiti politici (Cfr. Art. 49), ma, stando così le cose, non hanno senso per indicare il candidato premier di governo. C’è il rischio – e con l’attuale sistema elettorale che proietta i suoi effetti correttivi verso il pareggio addirittura la probabilità – di allontanare ancor più i cittadini dalle istituzioni per aver preteso di avvicinarli alle persone.
La competizione a cui stiamo assistendo mi fa pensare a una squadra di calcio che, al termine di un allenamento, si riunisce per decidere a chi affidare la fascia di capitano. Così, tra scarpini e magliette colorate, gli atleti si trovano davanti il centravanti giovane e brillante che sa catturare anche le simpatie della tifoseria avversaria, il centrocampista fine e lezioso che incanta con i suoi dribbling, oppure il vecchio stopper, ormai la bandiera della squadra. Poi, alla fine, quando ormai il vincitore si sente investito del ruolo, arriva il mister e dà la fascia al suo preferito, il giocatore più tecnico, generando rammarico e scontento nello spogliatoio.
Io mi preoccuperei più della squadra che del leader. Il prossimo sarà un campionato difficile.
Tommaso Cioncolini

martedì 13 novembre 2012

E’ finita l’Italia dei Valori?


Dopo l’inchiesta di Report firmata Sabrina Giannini su alcune discutibili operazioni immobiliari effettuate dal leader Antonio Di Pietro, uno dei maggiori partiti italiani degli ultimi anni (alle elezioni europee del 2009 riuscì ad ottenere quasi 2 milioni e mezzo di voti, pari all’8%) sembra aver ricevuto un colpo davvero pesante, per alcuni addirittura letale.
Di Pietro stesso ha dichiarato: “L’Italia dei Valori è morta con Report. Ora risorgiamo. Ho commesso tanti errori, chiedo scusa e ricomincio. Ma su questi fatti sono un perseguitato ”
Massimo Donadi, capogruppo alla Camera, si è dimesso pochi giorni fa per “divergenze politiche” con lo stesso Di Pietro.
Intanto viene arrestato Maruccio, ex capogruppo IdV alla regione Lazio, accusato di peculato. Pare abbia distratto 1 milioni di euro dalle casse del partito perdendoli ai videopoker. Alla faccia della spending review.
“Un ragazzo brillante. Un insospettabile” – ha commentato lo stesso Di Pietro. Insospettabile proprio come lo era il simpatico (si fa per dire) Scilipoti che da deputato IdV è passato a “Popolo e Territorio” (???). Oggi l’onorevole (si fa sempre per dire) Scilipoti è diventato persino il presidente del movimento “Associazione parlamentare di amicizia tra Italia e Brasile” (???).
Per vedere “chi” e “come” oggi ci rappresentano all’estero suggerisco il video “Scilipoti in Brasile” - http://www.youtube.com/watch?v=-MwBVkJlIpw

Insomma, per l'IdV è davvero un periodaccio.

Nel frattempo però leggo su www.toscana.italiadeivalori.it che da fine ottobre Fernando Poccetti è diventato  il nuovo referente politico di Italia dei Valori per la città di Terranuova Bracciolini.
Conoscendo Nando personalmente so che mi posso permettere di chiamarlo in causa chiedendogli di intervenire sul blog riguardo ad alcune semplici riflessioni che sto per fare.

Sebbene ne comprenda la necessità, perché diverse sono le problematiche, i contesti e le questioni politiche da affrontare quotidianamente, quando si parla di partiti e di rappresentanza ho sempre difficoltà a scindere il “livello nazionale” da quello “locale”.
Se si adotta un simbolo di un partito nazionale per portare avanti istanze locali si diventa automaticamente referenti di quel partito. Anche per le “stupidaggini” che fa il leader nazionale! Questo è quello che penso. Altrimenti si fa una lista civica! Sbaglio?
Si adotta quel simbolo prendendo il buono (visibilità, collocamento ideologico, piccoli finanziamenti) ed eventualmente il cattivo. I "crediti" ed i "debiti".
 Così come mi veniva naturale chiedere ai rappresentanti del Popolo delle Libertà di Terranuova di prendere posizione sugli “imbarazzi” a cui, a mio avviso, li esponeva il loro leader nazionale con le sue quotidiane uscite, oggi chiedo a Nando Poccetti: che fa l’IdV di Terranuova? Che posizione prende in merito alle novità degli ultimi giorni? Che dice ai suoi elettori?
ITALIA-DEI-VALORI. Ok, ma quali sono questi VALORI? 
Francesco N.

martedì 6 novembre 2012

PRIMARIE CENTRO-SINISTRA: un'intervista doppia per capire...


Francesca Mariani e Giulio Tozzi, come tanti altri, hanno già deciso: il 25 novembre andranno a votare alle primarie del centrosinistra e daranno la preferenza per il loro candidato premier. Un voto andrà a Pierluigi Bersani, l'altro a Matteo Renzi. Nel frattempo prestano parte del loro tempo alla promozione della campagna elettorale dei rispettivi candidati e ne hanno prestato un po' anche alla Voce del Martedì, infatti infatti la loro gentilissima disponibilità ci permette questa settimana di aprire un dibattito sulle primarie e sul PD attraverso un'intervista doppia realizzata per via telematica nei giorni scorsi. 



INTERVISTA A FRANCESCA MARIANI

1)  Perche Votare Bersani? Cosa non ti piace di Renzi?
Voterò Bersani perché è una persona competente, credibile e coraggiosa. Il coraggio di cui parlo è quello della forza delle proprie idee , di colui che non teme il confronto, ma che anzi, dal confronto trae arricchimento. Della credibilità di Bersani parlano il passato e il trascorso politico fatto di coerente evoluzione nell’impegno al servizio del partito e del Paese. La sua competenza è frutto di un costante lavoro sia come Presidente della Regione Emilia Romagna, dove si è adoperato per migliorare il servizio sanitario ed il sistema delle imprese,e sia come ministro della nostra Repubblica , dove ha avviato riforme importanti, difficili e non scontate: dalle liberalizzazioni, alla portabilità dei mutui, passando dall’ aver tolto le tasse dalla ricarica dei telefoni cellulari.
Il prossimo Presidente del Consiglio dovrà avere, per il bene dell’Italia, le caratteristiche che Bersani ben rappresenta. Dovrà essere in grado di dare credibilità all’azione di governo nel Paese, e nello stesso tempo avere la forza e il coraggio di proporsi agli altri partner europei per migliorare e far evolvere le istituzioni comunitarie.
Votare Bersani esprime un voto dato all’impegno, alla responsabilità alla competenza e all’esperienza.
Tutte queste caratteristiche non sono facili da ritrovare in Renzi, ma soprattutto di lui non mi piacciono il modo di porsi e di fare politica.
Non mi piacciono gli appelli fatti tramite la televisione e la stampa che arrivano direttamente al pubblico senza passare dalle giuste mediazioni istituzionali all’interno del partito, scavalcando il confronto ed il dialogo anche con chi non la pensa esattamente come lui.
Aggiungo che ad oggi la sua esperienza amministrativa è limitata ai problemi locali, dove per altro non ha brillato in termini di capacità di soddisfare le esigenze dei cittadini, ed è un’esperienza che oltretutto non ha ancora concluso.
Bersani promuove la responsabilità, la presa di coscienza delle difficoltà per muovere un’azione collettiva libera e responsabile: vuole muovere un pensiero e riformare un Paese.
 Renzi agisce su emozioni e pulsioni che diventano di massa quando trovano un contesto di condivisione, ma che non hanno possibilità di tramutarsi in una vera azione di rinnovamento perchè fanno riferimento ai luoghi comuni che spesso non hanno né un reale fondamento né si basano su un pensiero articolato.
Non bastano due camper e migliaia di km per colmare la distanza che lo separa da Bersani e dai reali bisogni del Paese.

2) Quali sono le tre priorità, le tre parole chiave, che secondo te devono essere al centro del progetto politico del PD alle prossime elezioni?
Solidarietà, onestà ,lavoro.
Solidarietà perché bisogna mettere al primo posto dell’azione di governo la riconquista di una società più equa. Solidarietà ad equità vanno di pari passo e sono i presupposti per le necessarie riforme di cui il Paese ha urgente bisogno per crescere e rilanciarsi. Una società nella quale le diseguaglianze sociali e di trattamento sono sempre più marcate non può essere una società giusta, nella quale il merito possa emergere premiando i migliori, i più capaci. La solidarietà sociale è un fondamento istituzionale che deve proteggere i più deboli e rafforzare la collettività che vogliamo libera, moderna e competitiva a livello europeo.
Onestà: la politica deve recuperare stile e sobrietà. Una giustificazione degli sprechi e del malcostume non c’è mai stata, ma c’è stata rassegnazione e accettazione di comportamenti deviati diffusi. Abbiamo vissuto anni in cui la “furbizia” in politica era diventata una qualità e la rettitudine un qualcosa comunque sempre da dimostrare e che poteva essere messa in dubbio perché… se lo fanno tutti…
Questi anni devono essere finiti non solo perché non ce lo possiamo più permettere in termini economici, ma perché è finito il tempo delle favole, delle non verità, della negazione dell’evidenza (si è negata anche la crisi economica).
Ci vuole onestà intellettuale: parlare chiaro con idee chiare e non proporre ricette belle, immaginifiche, irrealizzabili.
Lavoro: è necessario creare nuovo lavoro e ridare dignità al lavoratore affinché si possa parlare di Italia e di Europa. La realtà si trasforma e la società cresce solo se ci sono cittadini liberi e che lavorano. Nuovo lavoro; alleggerendo il prelievo fiscale sul lavoratore e l’impresa, investendo in crescita e innovazione per vedere più giovani e donne protagonisti di una società rinnovata. La politica che mette al centro il lavoro e che parte dalle attuali condizioni e quindi dal lavoro disperso, precarizzato, dalla mancanza di lavoro, dalla immaterializzazione di molte figure del lavoro, dallo sfruttamento del lavoro …. vuole ripartire dalla riconquista di quelle componenti popolari che hanno fatto moderno, avanzato e civile il nostro Paese.

3) Al di là della rottamazione è innegabile che il paese sente la necessità di voltare pagina. Come si può pretendere che il nuovo sia scritto dagli stessi autori del vecchio? Quando Renzi dice che loro una chance l’hanno già avuta e non l’hanno sfruttata ha torto davvero?
Quando si parla di cambiamento, della necessità di cambiar pagina, ci stiamo tutti; oltre che un bisogno, una volontà, è soprattutto una necessità. Ma il problema è come. Bisogna stare attenti perché in politica gli azzeramenti sono pericolosi. Capisco che la parola “rottamazione”, nel suo significato evocativo alla materia, renda facilmente l’idea della novità, ma qui non siamo sul piano delle “cose” ma delle idee e delle persone che né si azzerano, né si riciclano, ma devono evolvere. Si sottende il rischio di intendere la rottamazione come azzeramento di una storia che racconta delle conquiste della sinistra e delle componenti popolari negli scorsi decenni: sarebbe portare a termine il lavoro sporco fatto da Berlusconi….
Non sto dicendo che Renzi usi la parola in questo senso o che la usi per questo scopo, ma ogni parola è evocativa e sottende dei significati anche impliciti. Vorrei che Renzi ne fosse consapevole e che si assumesse la responsabilità dei rischi.
Parlare di nuovo quindi, dal mio punto di vista, ha il senso di una riscoperta di valori che facciano voltar pagina rispetto al malcostume diffuso in politica che ha significato privilegio ingiusticato, spreco inutile di risorse pubbliche, malaffare, degrado morale e istituzionale. Ma tutto ciò non può essere imputato all’attuale classe dirigente della sinistra nel suo complesso (capisco che il pensiero vada a Penati, ma il cerchio non si apre e non si chiude con un punto, e neanche con due). Quindi? Ci sono stati errori politici, hanno sbagliato tutti coloro che hanno visto e non hanno parlato rendendosi così collusi con un sistema malato (mi riferisco ad esempio anche a quei consiglieri del PD del Lazio che sedevano accanto a Fiorito), ma non si può, per riconoscere gli errori, fare punto e zero. Sarebbe l’errore più grande. Sarebbe la sconfitta della politica. Sarebbe la via aperta e spianata all’antipolitica. Gli errori vanno riconosciuti perché la consapevolezza porti a correggerli, nel dialogo e nelle decisioni collettive , vanno trovati i modi corretti e istituzionali di rinnovamento, ma va fatta salva l’esperienza e il positivo apporto che il passato e le persone che vi sono state protagoniste rappresentano.

4) Meglio Renzi o Vendola ?
Vendola, senza dubbio.

5) Come vedi il movimento 5 stelle?
I partiti che una volta erano di massa e che avevano nel popolo senso e consenso sembrano, o si vorrebbe che così fosse, crollati di fronte alla crisi politica attuale. Certo, c’è stata all’interno di questi grandi partiti (poi trasformati, dissolti e ricomposti negli ultimi 20-30 anni) una involuzione di tipo elitistico che spesso è slittata verso l’autoreferenzialità del ceto politico. Il M5S ha intercettato questa tendenza, l’ha amplificata e l’ha scagliata come sabbia negli occhi degli italiani che, istintivamente, tendono a richiuderli. Dire basta ai privilegi, alle disparità di trattamento, ai politici che legiferano per sé e non per il bene della collettività … è una denuncia urlata al popolo in nome dell’antipolitica. L’Italia va male? Colpa dei partiti. Quindi basta i partiti e avanti i movimenti; basta democrazia rappresentativa che non è stata in grado di rappresentare adeguatamente i bisogni e le istanze dei cittadini e via alla democrazia diretta permessa dalla rete e dai nuovi mezzi di comunicazione. Questo sostiene il M5S. E’ una denuncia che inizia come politica e finisce –come soluzione unica e possibile- nella rinuncia alla politica e quindi nell’antipolitica. Percorso possibile? Illusorio. Percorso giusto? Pericolosissimo. Senz’altro populista. Che sia il populismo a generare l’antipolitica o viceversa è difficile a dirsi, certo è che il populismo porta all’autodistruzione della politica e dei sistemi politici. Se i grandi populismi del passato (penso a quello russo, sudamericano…) inneggiavano un ritorno al passato, oggi si rispolverano categorie degli anni ’80 quali innovazione, modernizzazione, per inneggiare ad un futuro possibile solo strappando dal passato. Il populismo dei nostri giorni vuole innovare, non conservare; anche se, secondo me, servono più alla conservazione che all’innovazione. Viene screditato il passato, gli ultimi decenni del ‘900 in particolare, perché contiene una storia grande e (dal loro punto di vista) irripetibile: quella dei grandi partiti, delle forme organizzate della politica, dello Stato, delle necessarie mediazioni istituzionali…. Non si può fare politica senza i partiti. Questa è la più grande difesa contro i populismi. La democrazia funziona se funzionano i partiti come filtro di aggregazione popolare, di organizzazione, di disciplina delle idee e delle istanze, come messa a dimora dei germogli della rappresentatività. Certo che i partiti devono funzionare bene, devono essere aperti (il PD ce la sta mettendo tutta, mi sembra!) devono sapersi innovare e rinnovare ma devono essere forti e partecipati. Se la critica alla politica si riduce a critica dei partiti e quindi se ne mette in dubbio la legittimità, si mina al cuore l’ossatura democratica di un Paese che vuole dirsi moderno (una discussione di questo genere negli Stati Uniti sarebbe quanto meno ridicola). La democrazia diretta non esiste – non esisteva neanche nell’antica Atene- Grillo lo sa ma dice di poterla attivare attraverso i mezzi di comunicazione che mettono in contatto tutti con tutti contemporaneamente. L’assurdità di questa visione si palesa quando, sottoponendosi al voto dei cittadini, ci deve necessariamente essere qualcuno che rappresenti qualcun altro nelle istituzioni e i problemi abbiamo già cominciato a vederli a livello comunale. Lavoriamo quindi per dare forza ai partiti, per ottenere una più giusta legge elettorale affinché la rappresentatività sia il più possibile fedele alla società; ma non neghiamola. Il M5S sfrutta i mezzi di comunicazione per negare la comunicazione stessa: non crea pensiero, ma lo nega, anzi, non lo vuole. Parla alla gente come individui subalterni, non alle persone che, attraverso il pensiero, elaborano progetti da condividere e che insieme fanno popolo.

6) Renzi e Bersani non hanno ancora affrontato nella loro campagna quei temi che vengono definiti “ eticamente sensibili2 e che in passato sono stati causa di forti divisioni all’interno del PD. Pensi che sia una scelta opportuna?
Non mi pare che fino ad oggi ci sia stata la possibilità di confrontarsi sui temi del programma, quanto piuttosto la volontà di eluderli spostando l’attenzione sulle regole, la partecipazione, i rottamandi … immagino quindi che i temi più “critici” in termini di voce concorde, per non dire “scomodi”, vengano tenuti debitamente ai margini. Non lo ritengo certo un bene anzi, il confronto, soprattutto all’interno di un grande partito democratico, è la ricchezza. Certo è che il punto di vista da tenere perché la discussione porti ad un esito positivo, deve essere necessariamente laico e svincolato da imposizioni cattolico-ecclesiastiche: credo che sia più Renzi che non certo Bersani ad avere ritrosie in proposito. All’interno del programma del PD che i comitati Bersani hanno fatto proprio, sono comunque contenuti argomenti che ribadiscono il limite della politica su argomenti come la vita e la morte e che , riconoscendo la persona come priorità assoluta, sollecitano l’urgente necessità di una legislazione in proposito. Circa i temi eticamente sensibili è l’Europa che fa da riferimento e, nell’ottica della tutela della dignità e dei diritti umani,si inserisce l’urgenza di una legge sull’omofobia, sul diritto al riconoscimento giuridico della coppia omosessuale, sull’impegno a contrastare la violenza sulle donne… Grande attenzione è posta al diritto dei figli di immigrati ad essere cittadini italiani se nati e-o cresciuti in Italia: non si può più parlare di egualianza in astratto. Si manifesta soprattutto la forte volontà di allontanarsi dal dualismo etico fomentato in questi anni dalla destra e di rendere a tutti gli effetti il nostro un Paese libero e moderno.

7)  Secondo te che ruolo deve avere D’Alema da aprile in poi?
D’Alema può e deve ricoprire il ruolo che sceglierà in accordo con il partito. Deve esserci la volontà di mettere a frutto la grande cultura e l’esperienza di chi nel corso degli anni ha ricoperto ruoli di grande responsabilità e prestigio nel partito e nelle istituzioni. Sulle profonde motivazioni che ci devono spingere a valorizzare le esperienze, mi sono già dilungata in precedenza. Il mio personale auspicio è che una delle nostre migliori “intelligenze” venga al meglio valorizzata per un arricchimento della sinistra in generale e delle istituzioni in particolare.

8) D’alema ( sempre lui) ha detto che se vincesse Renzi il partito rischierebbe di spaccarsi. Secondo te invece cosa succederebbe?
La figura che unisce il popolo della sinistra è senza dubbio Bersani ed è per questo che penso che la sua vittoria metterebbe tutti al riparo dai rischi. Renzi si è proposto come un’alternativa critica all’interno del PD (che aveva già democraticamente scelto, attraverso le primarie, il suo candidato alla presidenza del consiglio) proponendosi come l’alternativa al già deciso, come la “novità”. La sua è stata una discesa in campo a gamba tesa, che ha iniziato accusando il suo partito di mancanza di democrazia se non fosse stata accolta la sua richiesta di fare nuove primarie, prima ancora di discuterne. Anzi; all’interno degli organismi di partito e nel collettivo non ha mai discusso perché non c’è mai andato, non si è mai confrontato. Renzi si è posto come alternativa, ma a cosa ancora sfugge dalla comprensione. E’ chiaro che in questa ambiguità possono legittimamente sorgere dubbi circa la sua affidabilità e fedeltà al partito; è legittimo che, chi come me si ritiene persona convintamente democratica e di sinistra e che per questo ne rispetta le regole, si trovi in difficoltà ad accordare la fiducia a chi non si è capito bene dove voglia andare a parare. I venti anni trascorsi credo abbiamo insegnato a tutti che la fiducia accordata all’uomo solo al comando è mal riposta: quindi sta a Renzi mettere in chiaro ciò che ancora è nebuloso. Credo che il rischio di una spaccatura nel PD- se Renzi vincesse le primarie-, non sia una responsabilità degli elettori e degli iscritti, quanto di Renzi stesso: deve essere capace di convincere circa le sue intenzioni anche chi non lo vota alle primarie, deve ricercare il dialogo all’interno del partito e dare fiducia al collettivo. In caso questo non succedesse, i rischi di spaccatura sono evidenti ; spero non intenzionali e anche su questo Renzi deve fare chiarezza.

9) Le primarie del Pd fino ad oggi sono state sempre un successo di partecipazione .Le regole che sono state date a queste ultime primarie però non sono piaciute a tutti. Tu che regole avresti messo?
Regolare l’accesso a queste primarie era necessario non solo per evitare certi errori del passato (vedi Napoli) ma soprattutto per garanzia nei confronti degli elettori del centrosinistra che in questa occasione devono scegliere il loro candidato alla presidenza del consiglio. Non sarebbe stato moralmente giusto, oltre che politicamente scorretto, permettere a tutti, indipendentemente dall’appartenenza politica, di scegliere il futuro della sinistra. Io, come elettrice del centrosinistra, non avrei mai voluto che un elettore del centrodestra scegliesse il mio candidato. Ognuno scelga in casa propria! Questo non è un limite alla democrazia ma è la tutela della democrazia che si esprime con le regole e ne esige il rispetto. Negli Stati Uniti, che spesso vengono tirati in ballo a comodo, questa è un’ovvietà. D’altra parte, in queste famigerate e tanto discusse –anche a sproposito- regole per le primarie,si tratta di sottoscrivere un’adesione al centrosinistra. E’ un’assunzione di responsabilità, come dire: io voto la scelta di uno o di altro candidato di queste primarie perché alle elezioni politiche voterò il centrosinistra. Non è una limitazione all’accesso, ma una doverosa regolamentazione e un’assunzione di responsabilità. E per sottolineare che di responsabilità si tratta e non di una mera procedura formale, il luogo dell’iscrizione è stato distinto da quello della votazione , con grande carico di lavoro per i volontari che si sono messi a disposizione, la possibilità d’iscrizione si protrae per venti giorni. Non credo si possa certo parlare di limitazione dell’accesso! Chi lo dice, farebbe meglio ad essere onesto e parlare chiaro anziché impressionare i cittadini con false preoccupazioni.

10)           Come andranno a finire queste primarie? Prova a fare una previsione.
Vincerà Bersani e mi auguro e spero con un largo margine di vantaggio se dovessimo andare al ballottaggio. La situazione economica italiana e la sua credibilità internazionale- fattore indispensabile per i mercati- è così precaria da non permettere errori o prove di scena. Gli italiani lo hanno capito bene e lo stanno provando sulla loro pelle. Bersani è una certezza in termini di affidabilità e capacità che, così come nessuno può smentire, sarebbe sciocco non sfruttare. Non si sceglie di proposito l’avventura quando si può intraprendere un percorso difficile sì, ma sicuro e affidabile. Soprattutto quando non stiamo troppo bene in salute.



INTERVISTA A GIULIO TOZZI

1) Perché votare Renzi? Cosa non ti piace di Bersani?
Votare Renzi perché ci troviamo ad un bivio; adesso è il momento giusto per cambiare e cercare di migliorare il nostro paese. Renzi è colui che potrà guidarci in un governo duraturo e in una trasformazione positiva che possa farci credere maggiormente nel futuro.
Bersani è una brava persona, ma non mi piace perché appartiene alla vecchia classe dirigente, che intende far politica come la si faceva in passato; una politica che ha chiaramente fallito, come testimonia la situazione attuale. E credo che tutti siano stanchi di tutto ciò.

2) Quali sono le tre priorità, le tre parole chiave, che secondo te devono essere al centro del progetto politico del PD alle prossime elezioni?
Europa; Futuro; Merito.

3) Bersani è stato eletto segretario del PD il 25 ottobre del 2009 da quasi tre milioni di persone attraverso le primarie e da statuto doveva essere il candidato premier espresso dal partito. Perché allora rimettere in discussione la sua candidatura?
Le primarie non sono una concessione, ma sono un elemento costitutivo del Partito Democratico, se non ricordo male.

E comunque sia adesso non si corre per essere eletti come segretario del maggior partito di opposizione; adesso si corre per essere il candidato a Premier del centro-sinistra, che verosimilmente sarà poi il prossimo Presidente del Consiglio. Mi sembra un pò diversa come situazione.

4) Meglio Bersani o Vendola?
Bersani.

5) Come vedi il movimento 5 stelle?
Come un fenomeno forte e non momentaneo, nato con lo scontento verso la politica tradizionale e acuito dai recenti scandali venuti alla luce.
I risultati ottenuti alle recenti elezioni in Sicilia, ne sono un ulteriore testimonianza.

6) Renzi e Bersani non hanno ancora affrontato nella loro campagna quei temi che vengono definiti 'eticamente sensibili' e che in passato sono stati causa di forti divisioni all' interno del Pd. Pensi sia una scelta opportuna?
Si, perché credo che non si debba ricorrere ai soliti espedienti riguardo alle stesse problematiche del passato. Si dovrebbe tentare di parlare dei problemi che attuali e delle possibili modalità di migliorare la situazione in futuro.

7) Non c'è il rischio che rottamare diventi sinonimo di rinnegare? Non c'è il rischio che Renzi nel tagliare i "rami secchi" faccia perdere al PD anche le sue "radici" ideologiche?
"Rottamare" non significa tagliare le radici ideologiche del passato. Renzi ha molto spesso parlato di cosa significhi per lui essere di sinistra e spesso ha spiegato cosa significhi rottamare...
Quali sono le passate ideologie? Quelle dei D'Alema a lungo seduto in Parlamento? Un D'Alema che ha fatto il bello e il cattivo tempo sia con i vari Occhetto, Prodi e altri leader che si sono succeduti in questi ultimi 20 anni. E' l'ora di cambiare.
Veltroni ad esempio è l'unico ad aver fato un passo indietro, coerente con quello che disse diversi anni fa. Gli altri invece?? L'Italia versa oggi in una condizione difficilissima e questo grazie alla gran parte dei politici che siedono da una vita in Parlamento.
E' giunta l'ora di voltare pagina, ADESSO!

8) Se l'obiettivo del Pd è cercare il consenso del ventaglio più ampio possibile di elettori, compresi i delusi dalle attuali forme della politica, il candidato con il curriculum più convincente pare Laura Puppato. Perché non lei allora?
 Ma avete visto le folle incredibili che vanno ad ascoltare Renzi? Imprenditori, lavoratori, giovani e anziani.
Sicuramente Laura Puppato ha un ottimo curriculum, ma qui parliamo della capacità di una persona di trascinare un paese, di dare nuove speranze, di parlare a tutti. Sinceramente penso che Renzi incarni bene tutto ciò.

9) Le primarie del PD fino ad oggi sono state sempre un successo di partecipazione. Le regole che sono state date a queste ultime primarie però non sono piaciute a tutti. Tu che regole avresti messo?
Non mi sono piaciute perché si è avuta la sensazione che siano stati messi più paletti del dovuto, per rendere più difficoltosa e laboriosa la pratica del voto.
Io avrei lasciato le regole passate, visto che nelle precedenti primarie erano sempre andate bene.

10) Come andranno a finire queste primarie? Prova a fare una previsione
Penso che la differenza tra Renzi e Bersani sarà minima, ma credo e spero che Matteo Renzi vincerà. 

martedì 30 ottobre 2012

Quattro domande a ... Don Felice


Seguendo lo stile ormai consolidato del blog, riprendiamo e sviluppiamo, con uno sguardo “locale”, un tema già affrontato in precedenza: la Chiesa oggi a cinquant’anni dal Concilio. Questa volta, però, lo facciamo ridando voce a Don Felice Francioni, generoso sacerdote che a Terranuova ha donato il suo servizio ministeriale, sempre vissuto con un’autentica passione pastorale e una profonda spiritualità cristiana. Recuperiamo così un suo intervento apparso sotto forma di intervista sull’aperiodico aretino, “Dialogo”, nel giugno 1969;  “Dialogo”, infatti, nacque nel 1967 da un gruppo di giovani cattolici e marxisti, e si propose di affrontare temi di ordine religioso, sociale e politico. In redazione vi erano: Bruno Benigni, Giorgio Bondi, Osvaldo Cappelletti, Gianni Gabrielli, Menotti Galeotti, Remo Manganelli, Nino Materazzi, Mario Megli, Lapo Moriani, Filippo Nibbi (Direttore), Paola Nibbi, Alessandra Pazzagli.    


Quale significato date al recente documento del Segretariato dei non credenti sul dialogo?
Il significato che diamo al Documento del Segretariato per la unità dei non credenti sul dialogo, è quello di una logica conseguenza alle aperture del Concilio Vaticano II. Il dialogo lo intendiamo non come fusione di diverse confessioni e ideologie ma la capacità da parte di esse di convivere nel massimo rispetto e di collaborare, nel maggior numero di attività.

Nella vostra esperienza umana e religiosa trovate “motivi di necessità” del dialogo?
Nella nostra esperienza religiosa abbiamo incontrato i disagi della mancanza del dialogo e rileviamo la necessità soprattutto perché: come mondo chiuso la Chiesa non ha senso e non si può dire cattolica; la necessità del dialogo con tutti gli uomini per incarnarsi nella trama di tutte le situazioni umane non per conquistarle, ma per servire gli uomini come sale e come luce.

Quali sono le difficoltà che incontrate nel caso del dialogo con i marxisti che aderiscono al Pci o al Psiup?
Le difficoltà da parte della Chiesa sono di ordine acquisito, nel marxismo, congenite, perché più classista e più settario. È tutta una serie di pregiudizi e di preoccupazione di proselitismo che rende i due campi fortemente concorrenziali.

Quali sono le aspettative che affidate al dialogo tra cattolici e marxisti?
La soluzione del problema dei poveri che dovrebbero essere l’oggetto preferito di entrambi, e indispensabile perché gli attuali partitoni in cui convergono correnti di interessi contrastanti si stanno rivelando chiaramente incapaci di risolvere il problema, e si contentano di interventi trasformistici e di grandi dosi di demagogia.

martedì 23 ottobre 2012

SOPPRESSIONE E RAZIONALIZZAZIONE DELLE PROVINCE. IN TOSCANA

“Meglio un morto in casa che un pisano all'uscio” dicevano gli accaniti livornesi agli acerrimi nemici pisani “che i' Dio t'accontenti” rispondevano quest'ultimi. Quale migliore battutta per sintetizzare le storiche rivalità presenti nella nostra Toscana e il carattere dei suoi abitanti.


Da quello che è emerso ieri dal Consiglio Regionale della Toscana, che ha votato le proposte del CAL (Consiglio delle Autonomie Locali) regionale, sembra proprio che quello che era da ritenersi fantascienza possa diventare realtà. Dove non era riuscito nessuno alla fine ci riuscirà il governo Monti col decreto Spending Review (95/2012). Un decreto estivo, solo per il periodo in cui è uscito, che tra le tante misure che mette in cantiere, all'art. 17 contiene quelle relative alla soppressione e razionalizzazione delle province e loro funzioni.

Proprio ieri infatti, dopo un rinvio di qualche settimana, il Consiglio Regionale (non) si è espresso su due proproste di riordino del sistema provinciale toscano che prevedevano la riduzione a 4, nella prima ipotesi, o a 5, nella seconda, delle province toscane. Ha fatto propria la doppia proposta del Comitato. In entrambi i casi la provincia di Arezzo ne uscirebbe autonoma, qualcuno s'azzarda a dire “salva”, ma salva da cosa e poi salva per cosa? Ricordando che comunque l'ultima parola spetterà al Consiglio dei Ministri al quale quindi arriveranno le due proposte, siamo sicuri che la non decisione sia rafforzativa delle ragioni della provincia aretina e della nostra regione? È stato opportuno non presentare una scelta univoca da parte della Toscana al Consiglio dei Ministri dicendogli di fatto “noi la pensiamo così ma anche così, fate voi”? Secondo me no. Dopo settimane di dibattito, anche acceso, non solo nella nostra provincia ma anche in molte altre della Toscana sarebbe stato più proficuo uscire con una posizione forte e unitaria. Inoltre proprio mentre il Consiglio Regionale discuteva sull'argomento, a pagina 3 del Corriere della Sera del 23 ottobre, usciva un'anìticipazione giornalistica del decreto del CdM che confermava la scelta delle 4 province per la Toscana.

Non sono tra coloro ai quali appassiona la discussione dell'autonomia o dell'accorpamento, faccio mia la battuta di un'amico che a proposito dell'accorpamento tra Arezzo, Siena e Grosseto commentava “per lo meno diventiamo d'un botto provincia di mare”. Tuttavia penso che se una legge fissa dei paletti questi debbano essere rispettati, come dovrebbe essere rispettato, anche a rigor di logica, il fatto che in sede di accorpamento l'ex capoluogo di provincia che ha più abitanti dovrebbe assumere il ruolo di capoluogo di provincia del nuovo soggetto. Se ne è fatta una battaglia tra campanili, si è tirata per la giacca la storia dei territori, ma alla fine non siamo stati in grado di esprimerci, lo farà il governo per noi.

Un tema che invece mi sta particolarmente a cuore sarà quello dei servizi che i cittadini riceveranno dalle nuove province italiane. Il decreto 95/2012 al comma 10 dell'art. 17 parla (facendo sintesi) di tre competenze tra quelle di cui i nuovi soggetti si dovranno occupare: ambiente, mobilità (strade) e scuola (edilizia scolastica).

Attualmente le province stanno gestendo anche la formazione professionale e le politiche del lavoro, i servizi sociali, le attività culturali, il turismo e la promozione del territorio, la pianificazione territoriale, lo sviluppo economico. Tra non molto ci troveremo di fronte ad un frazionamento e ad una ridistribuzione sul territorio di queste funzioni ed è forte il timore che in questa ridistribuzione si perderà molto in qualità e quantità dei servizi erogati (dalle province) e ricevuti (dai cittadini).

Durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 2008 i maggiori schieramenti in campo, PD e PDL su tutti, proclamavano quale misura da adottare per il contenimento della spesa pubblica l'abolizione completa delle province, ma una volta eletti i nostri hanno fatto marcia indietro o meglio non ne hanno fatte in avanti. La colpa del dietro front è stata data alla Lega Nord che vista a posteriori ha preso una posizione che non era per niente sconveniente a tutti i partiti in campo. Forse quindi sconteremo una soluzione pasticciata e rattoppata ancora per la mancanza di coraggio di coloro che hanno assunto ruoli di governo negli ultimi 20 anni.



Paolo Bizzarri

martedì 16 ottobre 2012

Non ci possiamo più permettere uno Stato sociale. FALSO!


“Non ci possiamo più permettere uno Stato sociale. Falso!” è il titolo del nuovo libro di Federico Rampini (Laterza, 9 euro), alla cui presentazione il mese scorso è intervenuto Mario Monti, che ha dialogato con l’ autore, con l’ economista Antonio Martino e con Giuseppe Laterza. Ne proponiamo ai lettori del blog i temi principali, capitolo per capitolo, quasi sempre con le stesse parole di Rampini.

Capitolo 1: L’ America è un modello ‘superiore’? “Tra gli stereotipi più tenaci, equamente ripartiti in Europa e in America, c’ è il seguente: l’ americano medio rinuncia ad avere un Welfare generoso come quello europeo, perché in cambio ha una pressione fiscale nettamente inferiore. È il ‘patto sociale’ di una nazione più propensa al rischio, più individualista, più competitiva. Ma quanto è vantaggioso questo patto sociale?”. Rampini, che è contribuente degli Stati Uniti dal 2000, non ha dubbi: non lo è affatto. Perché a fronte di un prelievo fiscale solo di poco inferiore a quello europeo, il cittadino americano non ha assistenza sanitaria, non ha una scuola pubblica gratuita né tanto meno efficiente, non ha pensione, non ha trasporti pubblici.
Capitolo 2: Il modello europeo più forte che mai. Occorre piuttosto guardare a quel “gruppo di nazioni che incarnano il modello sociale europeo nella sua versione migliore”: Germania, Olanda, Austria, Svizzera, Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia. “Tutte hanno alcuni ingredienti di successo in comune. Alti salari, sindacati forti, tutela avanzata dell’ ambiente”, a cui si aggiungono “l’ attenzione alla qualità della scuola pubblica, e una società più ‘egualitaria’ sia rispetto alle nazioni dell’ Europa del Sud, sia rispetto al modello angloamericano”. Nello scorso mese di giugno, al festival La Repubblica delle Idee, Rampini ha posto la questione a Nouriel Roubini, l’ economista che aveva previsto la crisi dei mutui subprime nel 2008, ricevendo questa risposta: “Dal punto di vista della sostenibilità finanziaria nel lungo termine il modello tedesco, che prevede un Welfare generoso, non è affatto condannato. Se i cittadini tedeschi desiderano un alto livello e un’ alta qualità di servizi sociali, dalla scuola alla sanità, e sono disposti a pagarne il prezzo sotto forma di tasse, quel’ assetto è perfettamente solido e stabile […]. Il problema si pone in quei paesi che hanno alta spesa pubblica ma per molti anni o decenni non l’ hanno finanziata con un gettito fiscale adeguato”. Come l’ Italia, dove “non solo certi politici corrotti, o le organizzazioni criminali, ma corpose e rispettabili categorie sociali si sono abituate per decenni a vivere in un mondo parallelo, dove i servizi pubblici esistono e fanno comodo, mentre le tasse sono un optional”.
Capitolo 3: La virtù è esportabile? “La Germania non è ‘riuscita’ a disciplinare anche noi mediterranei … oppure non è stata mai veramente interessata a farlo?”. Secondo Rampini la risposta è duplice. Da una parte “la memoria dell’ espansionismo prussiano, poi del Reich di Guglielmo II, infine e soprattutto del nazismo, hanno reso la Germania democratica una ‘superpotenza timida’, spesso affiancata al Giappone nel suo status di ‘gigante economico e nano politico’”. Dall’ altra “la Germania è […] riluttante a svolgere il ruolo di locomotiva” e a far crescere i propri consumi perché ha l’ interesse a mantenere, nei confronti degli altri paesi europei, “quegli squilibri strutturali” sui quali “ha costruito la sua eccellenza”.
Capitolo 4: Le promesse che l’ euro ha tradito (e perché). “La nascita dell’ euro, moneta condivisa da un aggregato economico equivalente agli Stati Uniti, sulla carta doveva esercitare una funzione di stabilizzazione all’ interno del Vecchio Continente, e di bilanciamento nei rapporti di forze globali tra le valute. In una geografia ideale, gli equilibri mondiali dovevano fondare su un treppiedi: con una moneta asiatica come terzo punto di appoggio (all’ inizio si pensò allo yen giapponese, più di recente al renminbi cinese)”. Così invece non è stato e “la superiorità del dollaro resta schiacciante […]. Qui la spiegazione è fin troppo chiara: dietro il dollaro c’ è la forza militare degli Stati Uniti espressa dalle basi che costellano il pianeta dal Pacifico al Golfo Persico; dietro il dollaro c’ è una politica estera unica, per quanto controversa, che viene espressa dalla Casa Bianca. Dietro l’ euro non c’ è un esercito, non c’ è una Sesta Flotta a guardia delle rotte petrolifere; non c’ è una politica estera unica; non c’ è neppure un governo”. E non è tutto: ”l’ altra delusione riguarda lo status dell’ euro come moneta-rifugio per i risparmi. Su questo fronte il tradimento delle promesse è recente. Quando esplose la crisi del 2008, con epicentro Wall Street, si poteva sperare che l’ euro ne avrebbe beneficiato. Al contrario, ad ogni accesso di panico, è verso il dollaro che sono fuggiti i capitali del mondo intero”.
Capitolo 5: In cerca di un nuovo ‘pensiero economico’. La crisi attuale è di tale portata da imporci “di riscrivere non solo le regole della finanza, ma anche quelle degli scambi globali, e di rifondare un patto sociale gravemente indebolito da decenni di allargamento delle diseguaglianze”. Per uscire dalla crisi del 1929 e dalla Grande Depressione “l’ Occidente ricorse al pensiero di John Maynard Keynes, scoprì un ruolo nuovo per lo Stato nell’ economia, inventò le politiche sociali del New Deal e la costruzione del moderno Welfare State. Oggi siamo daccapo. L’ eurozona ha conosciuto due recessioni in tre anni. Gli Stati Uniti, malgrado la ripresa in atto, pagano prezzi sociali elevatissimi della Grande Contrazione (almeno 15 milioni di disoccupati). Ma dall’ America una nuova teoria s’ impone all’ attenzione. Si chiama Modern Monetary Theory, ha l’ ambizione di essere le vera erede del pensiero di Keynes, adattato alle sfide del XXI secolo. Ha la certezza di poter trainare l’ Occidente fuori da questa crisi. […] Il nuovo Verbo che sconvolge i dogmi degli economisti, assegna un ruolo benefico al deficit e al debito pubblico. […] La sua affermazione più sconvolgente, ai fini pratici, è che non ci sono tetti razionali al deficit e al debito sostenibile da parte di uno Stato, perché le banche centrali hanno un potere illimitato di finanziare questi disavanzi stampando moneta. E non solo questo è possibile, ma soprattutto è necessario. La via della crescita passa attraverso un rilancio di spese pubbliche in deficit, da finanziare usando la liquidità della banca centrale. Non certo alzando le tasse: non ora”.
Capitolo 6: La grande malata. “È l’ Italia la grande malata dell’ euro. Non bastano ingegnerie finanziarie concordate a Bruxelles per curare il suo problema numero uno: un prolungato crollo di competività verso la Germania, cioè verso la nazione che realizza il vero ‘modello europeo’. […] Come possono convivere usando la stessa moneta, due nazioni tra le quali si scava un fosso così profondo di produttività? Se l’ Italia ha perso la possibilità di svalutare, la Germania continuerà a sottrarci quote di mercati esteri, quindi la nostra industria e la nostra occupazione sono destinate a rattrappirsi sempre più. Con un ulteriore effetto perverso: crescerà ancora il peso dei settori improduttivi, la palla al piede dell’ economia italiana”. Joel Kotkin, il più famoso geografo-economista-demografo degli Stati Uniti, ha disegnato una mappa del mondo reale assai diversa da quella determinata dalla politica, convinto che  “se una volta la diplomazia aveva l’ ultima parola nel tracciare le frontiere, oggi sono la storia, la razza, la religione e la cultura a dividere l’ umanità in nuovi gruppi in movimento”. In questa carta l’ Unione Europea appare frammentata. “La lega anseatica germanico-nordica ritrova «quel comune destino creato dal commercio» che lo storico Fernand Braudel le attribuì datandolo al XIII secolo”. L’ Italia invece viene inclusa fra le cosiddette Repubbliche dell’ Olivo, “nettamente distanziate dall’ Europa settentrionale in ogni categoria”. Certo, chiosa e conclude Rampini,  “questo pianeta ‘rivisto e corretto’ dagli Stati Uniti ha il valore di una provocazione, non va preso alla lettera né deve essere vissuto come un destino ineluttabile. Soprattutto per la parte che riguarda l’ Europa, e ci tocca da vicino, sentiamo che gli americani ricorrono talvolta a semplificazioni brutali. Può servirci però come un richiamo e uno stimolo. La storia non è una gabbia. Il mondo è pieno di nazioni che hanno saputo ‘svoltare’ […]. A noi l’ opzione, a noi decidere quale modello considerare il nostro. È molto più di una scelta politica, è una scelta di civiltà”.

La redazione