Sono ormai trascorsi dieci anni dall’attacco alle Torri Gemelle, domenica ne ricorreva il triste anniversario ed è doveroso unirsi al dolore per le vittime di quel folle gesto.
Ognuno di noi ha un ricordo indelebile legato al nefasto 11 settembre 2001. Il mio, seduto alla fine del pranzo mentre parlavo con i miei e sullo sfondo la Tv sintonizzata (casualmente) a basso volume su Rete 4 sulla quale scorrevano le immagini della prima torre colpita e noi increduli cercavamo di capire cosa fosse successo, immaginando, o forse sperando, in un tragico incidente. Così fino alla sera quando seduti attoniti davanti alla tv si sono delineati i contorni dell’accaduto e tutti noi abbiamo cominciato a prendere confidenza con nomi come Al Qaeda, Bin Laden, jihad (fino ad allora noti solo agli “addetti ai lavori”) che avrebbero accompagnato la nostra vita da lì in avanti.
Nessuno di noi poteva immaginare che quel giorno avrebbe cambiato le nostre abitudini, il nostro modo di vivere, ci avrebbe condizionato nel modo in cui guardare il vicino di casa o nello scegliere le nostre vacanze. Tante piccole nostre azioni quotidiane non sarebbero più state come prima, anche prendere un aereo, un treno o l’autobus per andare a lavoro sarebbe divenuto molto diverso. Tutti noi, nostro malgrado abbiamo rinunciato a gran parte della nostra privacy, i centri delle nostre città sono stati invasi da impianti di videosorveglianza, le misure per l’espatrio o al contrario le politiche di accoglienza inasprite, tutto in nome di una serenità da ricercare, da ricostruire. Il cuore pulsante dell’economia mondiale era stato centrato. L’obiettivo dei terroristi era stato raggiunto: colpire gli Stati Uniti e di essi il luogo simbolo del sistema capitalistico, che pur colpito vacillò ma non cadde, cosa che invece è avvenuta quasi un decennio più tardi e non per colpa del terrorismo, ma di fronte alla speculazione e all’applicazione selvaggia delle regole di mercato. Dove non sono riusciti i terroristi ci stiamo riuscendo con le nostre mani.
A dieci anni di distanza lo scenario è poco confortante. L’Occidente dichiarando guerra al terrorismo ha portato la guerra a casa dei terroristi. Per primo l’Afghanistan paese fiancheggiatore dei talebani ed essi del terrorismo, poi l’Iraq. Nel giorno del decennale sono stati 4 i militari USA morti in Afghanistan a causa degli attacchi alle truppe alleate, il terrore non conosce tregua. Una guerra funesta in termini di vittime militari e soprattutto civili, anche l’Italia paga un costo altissimo, e di denaro speso nel suo mantenimento. Una guerra che ha riacceso il dibattito, mai sopito, tra guerra giusta e guerra ingiusta, ammesso che si possa mai considerare giusta una guerra e legittima difesa una azione compiuta a migliaia di chilometri di distanza da casa. Adesso quasi a volerne disconoscere la paternità i politici sono impegnati a cercare una exit strategy, lo stesso Obama al momento della sua elezione alla Casa Bianca metteva ai primi posti del suo programma il ritiro delle truppe entro due anni di governo, così come i politici italiani stanno seguendo la strada del ritiro programmato. Ma il percorso di transizione è terminato oppure si agisce sull’onda dell’emozione e della ricerca del consenso?
Nel frattempo una bella reazione è arrivata dai milioni di algerini, tunisini, libici, siriani e giovani yemeniti che a difesa dei propri diritti e contro i regimi dittatoriali/familiari del proprio paese hanno deciso di scendere in piazza (in quasi tutti i casi pacificamente) manifestando e rivendicando il loro diritto a lottare per la propria libertà.
Paolo B.