martedì 29 giugno 2010

ITALIA FUORI DAL MONDIALE…MA A POMIGLIANO DOV’ERAVAMO RIMASTI?


Ci sembra doveroso fare una riflessione su quanto accaduto nei giorni scorsi a Pomigliano in merito alla trattativa che sta interessando migliaia di lavoratori Fiat dello stabilimento del posto (5 mila, che arrivano a 12 mila se si considera l’indotto). Non biasimiamo coloro che hanno votato a favore del referendum sull’accordo trovato tra alcune sigle sindacali e l’azienda.

L’episodio ricorda un po’ la trama del bellissimo film “Billy Elliot”, dove la storia del bambino ballerino prodigio si intreccia con le proteste operaie contro il piano tatcheriano di chiusura delle miniere. E’ una storia che coinvolge la famiglia di Billy, una famiglia cementata da valori veri e unita ancor di più dalla perdita della madre. Il padre e il fratello di Billy sono tra i più accesi contestatori dei provvedimenti governativi, ma quando il padre fa i conti con la situazione economica familiare e con le risorse necessarie affinché Billy coltivi la sua passione per il ballo riprende a lavorare andando incontro alla delusione del figlio maggiore e di molti suoi colleghi.

E’ chiaramente difficile far valere il proprio “diritto al lavoro” se proprio quest’ultimo viene a mancare. Riconosciuto che l’accordo propone un interessante piano di investimenti (700 milioni) - al quale sarebbe difficile rinunciare in qualsiasi momento, figuriamoci a questi ”chiar di luna”, ma che non dovrebbe costituire ricatto – rimane il fatto che esso pone dei grossi interrogativi e minaccia seriamente alcuni importanti principi che, grazie all’impegno di molti (politici, leader sindacali e gli stessi lavoratori), sono stati inseriti nella storia repubblicana. E’ pensabile (e ancor prima responsabile) che tali diritti vengano di fatto sorpassati da un accordo tra un’azienda e i lavoratori della stessa senza che la politica muova “foglia” se non per sprecarsi a dichiararsi d’accordo o meno sull’intesa raggiunta? E’ possibile andare in deroga alla vigente normativa e al CCNL approvato tra le parti e si lasci che di tutto questo se ne assumano la responsabilità i soli lavoratori di Pomigliano, andando a prendere delle decisioni che rischiano di modificare i rapporti di lavoro nel nostro Paese (a tal proposito non ci è sembrato di vedere una Confindustria preoccupata)?

Non si può giustificare la decisione di trasferire la produzione della Panda nell’Est Europa solo per l’assenteismo e la bassa produttività dei lavoratori dello stabilimento campano (che pur sono problemi reali su cui si deve riflettere). E’ davvero questo il motivo? O a fare la differenza tra Napoli e la Polonia è piuttosto il costo del lavoro?

Se davvero la questione fosse l’assenteismo o la scarsa produttività non sarebbe necessario varcare il confine: si potrebbe investire su una miglior organizzazione del lavoro, sui sistemi di incentivazione e sull’implementazione del salario di risultato.

E allora perché in Polonia e non negli Stati Uniti o in Germania? Perché? Poco produttivi anche i tedeschi e gli americani?

Di fatto la globalizzazione rischia di portare ad un livellamento verso il basso dei salari e dei diritti: è una questione delicata che fino ad oggi l’Unione Europea non ha saputo governare. I paesi in via di sviluppo, allettati dagli investimenti in entrata, preferiscono rinunciare a qualche diritto pur di avere lavoro. A Pomigliano si chiede di fare la stessa scelta.

Giusto? Sbagliato? Spalle al muro e decidi.. che Billy Elliot vuole ballare.

Paolo B. e Francesco N.

4 commenti:

  1. L'assassino ritorna sempre sul luogo del delitto. Io ho passato ad occuparmi di quella fabbrica probabilmente i 5 più importanti anni della mia vita. Ero stato mandato dalla segreteria nazionale della Fiom-Cgil come segretario regionale campano ad occuparmi della AlfaSud, allora si chiamava così, era il 1979. La fabbrica era stata progettata e inaugurata nel 1976 per fare 600 auto al giorno e ne riusciva a fare nemmeno 300, di cui buone 180. L'assenteismo medio in Italia era a meno del 10%, in AlfaSud era tra il 28 e il 30%. La fabbrica non era amata dalla Fiat, che come ha detto recentemente Romiti la considerava un bastone fra le ruote della Fiat messo dalla sinistra democristiana. Le assunzioni erano state fatte attraverso le sezioni della Dc, del Pci e del Psi, ma stiamo parlando di 12.000 persone, quindi in realtà c'era dentro di tutto.
    La mia giornata cominciava passando a prendere con la Vespa un cassaintegrato fratello di camorristi, che aveva deciso che avevo bisogno di protezione e quindi mi seguiva come un'ombra (attento...quello ha il coltello, non ti preoccupare chill'è meno che niente...). Arrivati in fabbrica il capo del personale mi accoglieva con il tabulato dell'assenteismo e quello della produzione prevista, chiedendomi di far fare la produzione. E' andata avanti così giorno dopo giorno, in un clima splendido di rapporti umani, girando tutto il giorno per la fabbrica, parlando con gli operai. Affrontando le contestazioni di chi voleva continuare con una situazione comoda che il management aveva tollerato, gli urli e gli insulti in assemblea, un giorno anche un funerale con tanto di bara portata durante l'assemblea. Folklore...non solo. Alle riunioni con il cda di Arese Corrado Alunni, capo della colonna Walter Alasia delle BR, prendeva appunti, in silenzio, e nessuno aveva il coraggio di far nulla. La stessa operazione politica e industriale contemporaneamente veniva fatta nell'acciaieria di Bagnoli da Gianfranco Federico, grande vero amico e giovane intellettuale comunista che oggi purtroppo non c'è più, Eppure il gruppo dirigente sindacale napoletano ha avuto in quella fase la forza di contrapporsi ad un lassismo politico ammantatato da meridionalismo gauschista, e Bassolino ne era il leader, anche perchè forte dell'appoggio di persone come Gerardo Chiaromonte, Giorgio Napolitano, Luciano Lama.
    Ma dopo cinque anni di questo lavoro le auto prodotte erano 580, tutte buone, e l'assenteismo sceso al 12%. Giorgio Ruffolo partecipava alle feste dell'Unità a Pomigliano. Gianni De Michelis ministro delle PS potè presentare davanti all'assemblea generale il Libro Bianco sulle Partecipazioni Statali.
    Per molti di voi preistoria, forse incomprensibile, ma quello che voglio sottolineare con forza e rabbia è che c'era un progetto, c'era la volontà di affermare che una industrializzazione era possibile a Napoli, c'era una classe dirigente, c'era un progetto politico riformista che si contrapponeva a quello più schematico e classista delle organizzazioni di Milano e Torino.
    Non credo che il problema oggi sia il costo del lavoro, ma davvero le condizioni del lavoro. Se un programma, degli obiettivi, un budget sono credibili o meno. E in che tempi possono essere credibili. Se la tua controparte è, nelle differenze di ruolo, un attore comprimario o solo un estraneo controllore.
    E' così, sempre e ovunque. E forse da questo discendono anche le nostre difficoltà, nazionali, regionali, locali.
    Essere classe dirigente, avere un progetto, assumersi le responsabilità ma anche sapersi aprire e coinvolgere le centinaia, le migliaia di persone disponibili.
    Scusate i ricordi da veterano, ma l'occasione era troppo ghiotta.

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  2. Nedo Bronzi ha detto…
    Quanto ha raccontato Ettore mi ha affascinato sia dal punto di vista dell’evocazione del ricordo sia sotto il profilo politico e sociale.
    E’ indubbio che ciò che la nostra società (e le generazioni che la stanno attraversando) sta vivendo in ordine ai fattori economici e finanziari che essa stessa ha generato in questi ultimi anni, non ha riscontri né teorici negli studi sistemici fin qui elaborati, né reali per esperienze precedentemente vissute (la massima crisi avuta nel nostro pianeta nel 1929 avveniva con connotati diversi e soprattutto con prospettive di sviluppo del mondo industriale ben dissimili).
    Gli organismi economici e politici continentali e sovracontinentali (BCE, G8, G20 ect.) appaiono alle persone semplici, ma in realtà lo sono effettivamente, come entità distanti anni luce dai loro problemi, incapaci di riassumerei problemi e generare decisioni reali immediatamente utilizzabili.
    I governi nazionali fanno a gara a chi elabora decisioni più dannose per la maggioranza delle popolazioni che li hanno eletti maleutilizzando quella fiducia che con il voto la gente gli aveva assegnato.
    L’Italia non fa eccezione a questi pesanti aspetti e se possibile li peggiora scaricando la crisi epocale sulle classi più deboli. Quello che Ettore afferma nelle sue osservazioni, la mancanza di obiettivi credibili reali e realizzabili, si accentua e si fa sistema di paese. Ogni sacrificio chiesto è dichiarato inderogabile, ogni decisione è irreversibile, pena il “crash” del sistema stesso. La riuscita di una manovra finanziaria così pesante o la continuità nella produttività di uno stabilimento come quello di Pomigliano risultano così legate all’accettazione “ob torto collo” degli stessi cittadini e degli stessi lavoratori che subiscono i più pesanti effetti negativi da queste iniziative.
    Quindi, per dirla alla Brunetta: buona la FIAT che propone una soluzione, buono il governo che prende iniziative per affrontare la crisi, cattivi i cittadini che non vogliono subire pesanti ridimensionamenti allo loro vita ed alle loro aspettative, cattivi quegli operai che non capiscono che occorre livellare i propri stipendi e lavorare con turni massacranti pur di lavorare.
    Forse i sacrifici più importanti in questo momento andrebbero chiesti a chi ha accantonato le risorse economiche e finanziarie più importanti. Forse per qualche tempo occorrerebbe che il sistema industriale ed i mercati finanziari smettessero di avere come obiettivo obbligatorio la crescita. Forse sarebbe necessario un nuovo sistema di valutazione economica delle performances industriali che premi non più il reddito(troppo spesso fine a se stesso) ma i consolidamenti produttivi e patrimoniali ivi compreso il capitale umano. Forse occorrerebbe un sistema di governo capace di comprendere che le ripresa della produzione e dei consumi passa dalle masse, dalla loro capacità di guadagnare un reddito sufficiente e dignitoso e di pagare tasse ed imposte correte, coerenti e giuste. Forse….
    Concordo con Ettore non ci sono più obiettivi, non c’è più la voglia o, peggio, la necessità di dialogare e negoziare e semmai e con rigore correggere anche quelle storture che hanno portato ai gravi comportamenti come ad esempio quelli relativi all’assenteismo.
    Ciao
    Nedo

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  3. Vorrei ritornare sulla specifica questione di Pomigliano, perchè credo davvero che sia generale. La mia convinzione profonda è che i problemi vadano affrontati per quello che sono. In una industria privata, che sta sul mercato, è necessario raggiungere determinati standard, a prescindere se il governo è di destra o di sinistra, se il nostro livello fiscale è folle, se ci sarà un ulteriore condono oppure no. L'assenteismo è solo la febbre di una malattia più profonda che ha le radici nel vedere il lavoro come "fatica" e non come proprio contributo. Nel ruolo antagonista di alcune organizzazioni sindacali o politiche, che non privilegiano la partecipazione. Meglio un brutto accordo che nessun accordo. Quando le organizzazioni politiche o sindacali abdigano al proprio ruolo, quello spazio viene lasciato ai singoli lavoratori o cittadini in un confronto diretto con il Potere. Non potranno che soccombere. Un accordo, qualsiasi accordo anche il più brutto, è come un chiodo messo in parete da uno scalatore, un punto di sicurezza, un punto da cui ripartire.
    In un bellissimo vecchio film di Pietro Germi Vittorio Gassman litigava con un suo amico, professore meridionale, perchè ad ogni argomento, questione, quest'ultimo ribatteva che bisognava "andare più oltre". La sinistra che mette la testa sotto la sabbia perchè prima bisogna fare questo o quello, oppure perchè non si può perchè c'è il conflitto di interessi, è destinata a soccombere, anzi a scomparire.
    Questo insegnamento credo davvero che sia generale. Non possiamo nasconderci dietro un'altra questione, un'altro problema. I nodi vanno affrontati per quello che sono, uno alla volta, coerentemente.
    Quando parlo di apertura e coinvolgimento, parlo di noi, della nostra gente, di quelli che si sono allontanati, di quelli che non hanno votato o non ci hanno votato.
    Ma che sono comunque disponibili ad ascoltare se li si ascolta, a partecipare se non gli si presenta la minestra precotta.
    Apriamoci invece di chiuderci in piccoli gruppi autoreferenziali.

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  4. Caro Ettore, gran bel contributo, penso che il succo della questione tu lo abbia ben riassunto nel secondo intervento quando dici che "Quando le organizzazioni politiche o sindacali abdigano al proprio ruolo, quello spazio viene lasciato ai singoli lavoratori o cittadini in un confronto diretto con il Potere. Non potranno che soccombere". Purtroppo non soccombono solo a Pomigliano.
    Paolo Bizzarri

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