martedì 15 giugno 2010

Esiste ancora il fattore K?

Teorizzato da Alberto Ronchey nel 1979, il fattore K (dalla parola Kommunizm in lingua russa) costituiva un’ anomalia di quelle democrazie europee in cui la presenza di un forte partito comunista rendeva impossibile, per evidenti ragioni di equilibri internazionali, un’ alternanza di governo. Si parlava in questo caso di ‘democrazie bloccate’. Più di tutte era bloccata quella italiana, sulla cui scena si muoveva il maggiore partito rosso dell’ occidente.

Emblematiche erano state le elezioni politiche del 1976, quelle dell’ invito di Montanelli a votare DC turandosi il naso. L’ anno prima il PCI aveva ottenuto un grande successo nella tornata amministrativa, conquistando le principali città. Di fronte alla prospettiva del sorpasso e, conseguentemente, della eventualità di vedere i comunisti al governo, i moderati si chiamarono a raccolta e votarono in modo massiccio per la DC, che si confermò il primo partito con il 38,71% alla Camera, davanti al PCI con il 34,37%.

Dopo la caduta del muro di Berlino molti pensavano che gli scenari sarebbero cambiati. Tanto più che nel 1991 il PCI si era trasformato in PDS, un partito che faceva proprie idee e posizioni del socialismo europeo e che, pur a prezzo di una traumatica scissione, si era liberato della zavorra ideologica di coloro che non rinunciavano a professarsi ‘comunisti’. Ciononostante le elezioni politiche del 1992 videro ribadire il primato della DC, che si attestò alla Camera a un ragguardevole 29,66%, mentre il PDS si fermò al 16,11%. Considerato che il Partito Socialista aveva nel frattempo tenuto, risultava palese che il nuovo soggetto politico non era stato capace di attrarre voti né dall’ area della sinistra moderata, né tanto meno da quella di centro. Il fattore K dunque persisteva, se non altro nell’ inconscio degli elettori.

Venne poi tangentopoli, da cui il PDS ritenne baldanzosamente di essere immune, solo perché i finanziamenti illeciti dall’ URSS erano ormai prescritti e perché le tangenti nostrane arrivavano al Bottegone per lo più sotto la forma, penalmente non perseguibile, di lavori affidati alle cooperative rosse.

Due anni dopo, sulle macerie della prima repubblica e in pieno processo Cusani, furono indette nuove elezioni politiche. Il PDS e Occhetto schierarono quella che, con una delle espressioni più infelici della storia politica italiana, definirono ‘una gioiosa macchina da guerra’. Certi che il fattore K fosse finalmente caduto, si preparavano ad andare al governo. Sul fronte opposto le carte vennero sparigliate dall’ ingresso in politica di Berlusconi, che in nome dell’ anticomunismo si appellò a tutti i moderati d’ Italia, cogliendo un successo oltre ogni previsione.

Il resto è storia recente. Il PDS e poi i DS sono riusciti a vincere le elezioni solo nelle due occasioni in cui a guidare la coalizione del centrosinistra è stato Romano Prodi, un ex democristiano. Lasciando così intendere che il fattore K aleggi ancora sulla scena. E inducendo lo stesso Alberto Ronchey a scrivere: “di fatto, nell’ elettorato persiste una considerevole diffidenza come residuo «fattore di proibizione», che i postcomunisti prima o poi dovranno superare con plausibili e adeguate scelte politiche” (Corriere della Sera, 12 maggio 2006).

Queste scelte non sono venute e nel 2008 i DS, diventati nel frattempo PD e guidati da uno dei loro pezzi da novanta – quel Veltroni che Berlusconi ha avuto facile gioco a definire comunista perché tale è veramente stato (checché ne dica lui medesimo) –, sono andati incontro a una vera propria Waterloo. Bissata quest’ anno alle amministrative. Un uno-due pesantissimo, ove si pensi che nel precedente governo Berlusconi le elezioni di mezzo termine erano state favorevoli all’ opposizione e avevano gettato le basi per la successiva vittoria di Prodi. I DS/PD hanno cioè perso anche in quella circostanza – il voto amministrativo – in cui il fattore K dovrebbe pesare meno. I vincitori diranno che questo è dovuto alla grande personalità del Cavaliere e alla sua capacità di aggregare attorno a sé la maggioranza degli italiani. Io ho una sensazione diversa. Che di fronte all’ incapacità dei DS/PD di proporre un progetto politico, di fronte alle loro faide interne, alla loro gerontocrazia, una parte non indifferente degli italiani voti per Berlusconi anche a costo di turarsi il naso. Penso in particolare a quella ampia fascia di moderati che Prodi era riuscito a intercettare e che si sentiva rappresentata più da lui che dalla sua coalizione.

La mancata legge sul conflitto di interessi, il fuoco amico sui propri governi, il tempo perso con la bicamerale, il regalo della Telecom ai cosiddetti capitani coraggiosi, l’ operazione Unipol-Bnl, le polpette avvelenate all’ unico uomo nuovo della sinistra, Vendola, in grado di attrarre consensi trasversali, infine l’ incapacità, quotidianamente dimostrata, di condurre una opposizione degna di questo nome: una catena di autogol che neanche un uomo di satira perfido come Corrado Guzzanti era riuscito a immaginare, quando nel 1997, nei panni di un esilarante Veltroni vincitore delle elezioni, proclamava orgoglioso che finalmente, con la maggioranza dei voti, il PDS avrebbe potuto proporre una opposizione forte ed efficace...

Per ragioni anagrafiche ho fatto in tempo a vedere una sinistra in cui militavano personalità della levatura di Amendola, Pajetta, Rodano, Berlinguer, Nilde Jotti. Guardo oggi D’Alema, Veltroni, Fassino, Bersani, Anna Finocchiaro. Il paragone è oggettivamente impietoso. Quelli erano giganti, questi sono nani. Per i quali parlare di fattore K è forse troppo impegnativo. Basta il fattore I: come inattitudine alla politica.

Silvio Cazzante

4 commenti:

  1. ancora i comunisti... NO!!!!!!

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  2. Anche io, a dire il vero, preferirei scrivere di altro piuttosto che dei postcomunisti. Il fatto però è che questi con le loro bischerate hanno consegnato per tre volte l’ Italia nelle mani del Cavaliere di Arcore, che ormai li annovera tra i più fidati palafrenieri. E i loro voti rimangono congelati, impedendo di fatto un’ alternanza. Prendo allora in prestito una frase di Francesco e dico che a questo punto c’ è un problema da risolvere.
    Silvio Cazzante

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  3. Difficile non essere daccordo con quanto scritto da Silvio. Ma se neanche una serie innumerevole di errori politici ha potuto dare il la ad un rinnovamento della classe politica mi viene da chiedere: sono davvero democratici quei sistemi di partecipazione studiati e imbastiti dal PD? O sono fumo negli occhi? Ma se mi sembra che tutto il popolo della sinistra avrebbe voglia di cambiare... Possibile che il risultato delle primarie non la manifesti mai questa esigenza? Oppure sono un sistema che alla fine ti faccio fare le primarie ma tanto saranno comunque sempre i soliti al timone della nave?

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  4. Complimenti a Silvio Cazzante per le sue analisi. Mi piace come ragiona.

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