martedì 30 ottobre 2012

Quattro domande a ... Don Felice


Seguendo lo stile ormai consolidato del blog, riprendiamo e sviluppiamo, con uno sguardo “locale”, un tema già affrontato in precedenza: la Chiesa oggi a cinquant’anni dal Concilio. Questa volta, però, lo facciamo ridando voce a Don Felice Francioni, generoso sacerdote che a Terranuova ha donato il suo servizio ministeriale, sempre vissuto con un’autentica passione pastorale e una profonda spiritualità cristiana. Recuperiamo così un suo intervento apparso sotto forma di intervista sull’aperiodico aretino, “Dialogo”, nel giugno 1969;  “Dialogo”, infatti, nacque nel 1967 da un gruppo di giovani cattolici e marxisti, e si propose di affrontare temi di ordine religioso, sociale e politico. In redazione vi erano: Bruno Benigni, Giorgio Bondi, Osvaldo Cappelletti, Gianni Gabrielli, Menotti Galeotti, Remo Manganelli, Nino Materazzi, Mario Megli, Lapo Moriani, Filippo Nibbi (Direttore), Paola Nibbi, Alessandra Pazzagli.    


Quale significato date al recente documento del Segretariato dei non credenti sul dialogo?
Il significato che diamo al Documento del Segretariato per la unità dei non credenti sul dialogo, è quello di una logica conseguenza alle aperture del Concilio Vaticano II. Il dialogo lo intendiamo non come fusione di diverse confessioni e ideologie ma la capacità da parte di esse di convivere nel massimo rispetto e di collaborare, nel maggior numero di attività.

Nella vostra esperienza umana e religiosa trovate “motivi di necessità” del dialogo?
Nella nostra esperienza religiosa abbiamo incontrato i disagi della mancanza del dialogo e rileviamo la necessità soprattutto perché: come mondo chiuso la Chiesa non ha senso e non si può dire cattolica; la necessità del dialogo con tutti gli uomini per incarnarsi nella trama di tutte le situazioni umane non per conquistarle, ma per servire gli uomini come sale e come luce.

Quali sono le difficoltà che incontrate nel caso del dialogo con i marxisti che aderiscono al Pci o al Psiup?
Le difficoltà da parte della Chiesa sono di ordine acquisito, nel marxismo, congenite, perché più classista e più settario. È tutta una serie di pregiudizi e di preoccupazione di proselitismo che rende i due campi fortemente concorrenziali.

Quali sono le aspettative che affidate al dialogo tra cattolici e marxisti?
La soluzione del problema dei poveri che dovrebbero essere l’oggetto preferito di entrambi, e indispensabile perché gli attuali partitoni in cui convergono correnti di interessi contrastanti si stanno rivelando chiaramente incapaci di risolvere il problema, e si contentano di interventi trasformistici e di grandi dosi di demagogia.

9 commenti:

  1. Felice era inserito a pieno titolo in questo dialogo che stava appena iniziando, Inserito del punto di vista pratico con le attività svolte e dal punto di vista teorico. Qui, nell'intervista, siamo nel 1969, appena all'indomani del sessantotto, "anni formidabili" avrebbe detto più tardi qualcuno, e Don Felice era instancabile e stava costruendo una chiesa che si potesse definire "cattolica" nel senso etimologico della parola, una chiesa che si "incarnasse in tutte le situazioni umane, per servire gli uomini come sale e luce":
    Può sembrare strano a qualcuno questo aspetto "speculativo"di Felice. Il suo profilo conosciuto era quello di pastore, ma la sua teoria era robusta. Sappiamo di suoi numerosissimi scritti, racconti e poesie e piccoli saggi, ma il suo riserbo glieli faceva tenere invisibili agli altri nei cassatti. Speriamo che qualosa venga fuori nel libro a lui dedicato e di prossima pubblicazione.

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  2. Don Felice... un passo avanti.

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  3. Complimenti per aver ritrovato questa intervista. Bello rileggere il pensiero di Don Felice.

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  4. Vedo che non ci sono moltissimi commenti, ne voglio aggiungere io ancora uno.
    Forse non c'entra tanto, ma Don Felice, maestro noble, ha insegnato a tanti di noi a non lasciarsi calpestare il cuore, ci ha strappato per sempre l'Accidia dal cuore. A lui dedico questo piccolo scritto indirizzato altrove,

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  5. Ho letto una nota stamani al mio risveglio, una nota di una cara amica, che mi ha strappato alcune considerazioni. Eccovi lo scritto della mia amica e le mie considerazioni.

    El sueño de la razón produce monstruos







    "Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico.

    Egli non sente, non parla, né s’interessa degli avvenimenti politici.

    Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine, dipendono dalle decisioni politiche.

    L’analfabeta politico è talmente somaro che si inorgoglisce e si gonfia il petto nel dire che odia la politica.

    Non sa, l’imbecille, che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il minore abbandonato, il rapinatore e il peggiore di tutti i banditi, che è il politico disonesto, il mafioso, il corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali”.

    B. Brecht



    E’ fin troppo facile riflettere senza indulgenza sull’abisso senza fondo sul quale ci troviamo a danzare.

    Alcuni s’adirano, urlano e si ribellano impugnando la Durlindana della Rivoluzione.

    Altri, invece, i più, si ritraggono, annichiliscono, ripiegano su se stessi, vinti.

    Corpi, non anime.

    Corpi erranti che fluttuando cercando un senso ( lo cercano davvero?) in una realtà di plastica che impone verità di parte fatte di soldi, di corpi, di effimeri obelischi di Nulla.

    Disabitati d'energia vitale, periscono nell’attesa di un miracoloso cambiamento.

    Ci si ris_copre molecole deliranti in uno spazio adulterato da idolatrie, a consumare anche il filtro di una Vita altra.

    Menti frigide incombono.

    Come si può aspirare al ri_sveglio della coscienza, se non si è consapevoli di possederla?

    Frantumiamo l'accidia Dolo(ro)sa.



    Mariaconcetta











    «L'Accidia una freddura,

    ce reca senza mesura,

    posta 'n estrema paura,

    co la mente alienata»





    Jacopone da Todi









    Quanto mi prendono e mi intrigano queste tue considerazioni, queste tue riflessioni Maricò! Quante cose mi porterebbero a dire! Milioni di cose che non potrò esprimere perchè si accavallano le une alle altre in un turbinio di di sensazioni accompagnate da rabbia, da voglia di impegno, da spossatezza, ti fanno tirar su le maniche anche se preferirei a volte stare con la testa fra le mani ed i gomiti appoggiati ai ginocchi.

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  6. Frantumiamo l'Accidia! Si Mariaconcetta frantumiamola questa accidia dolorosa, ma purtroppo nella maggior parte dei casi dolosa, consapevole quindi a volte, nonostante discorsi che ci sgorgano spontanei in un qualunquismo intollerabile del peggior analfabeta politico.

    Quante volte abbiamo postato questo brano di Brecht nel gruppo NTRP ! Quante volte lo abbiamo letto cercando di assimilarlo e farlo assimilare.

    Quante volte abbiamo tentato, come tu dici, di infondere energia vitale e di far risorgere addormentati cronici in perenne attesa di un miracoloso cambiamento che non può e non potrà avvenire mai senza una loro partecipazione.

    Accidia è un termine in disuso oggi. Forse anche mal compreso in tutte le sue implicazioni etimologiche. Ma la sua importanza di contenuto deve essere ed è grande se è uno dei sette peccati capitali del Cristianesimo. Lo sanno bene i preti di trincea alla Don Milani che hanno fatto dell'impegno la loro ragione di vita. Ma lasciamo da parte la religione, l'impegno è e deve essere soprattutto laico. Allora Accidia, e cioè noia, indifferenza, apatia e soprattutto indolenza, Questa è l'accidia uno dei più grossi mali contemporanei: scoraggiamento, l'abbattimento, stanchezza, anomalia della volontà.

    Non ci saremmo ritrovati in questo miasmatico e puzzolente periodo storico, in questa palude etica e morale, in questo sfascio della politica e dei valori se noi tutti non fossimo stati fagocitati dall'Accidia.

    E allora?

    “Frantumiamo l'accidia Dolo(ro)sa.”

    Ma come? Non lo so mariaConcetta ed amici miei cari. So solo che Ntrp e le sue 120.000 firme ci stanno provando e non so con quali risultati. Non lo so veramente, ma posso dare alcune piccole indicazioni che mi vengono alla mente.

    - Guardiamo ai nostri privilegi, pur piccoli, che siano, nel nostro ambiente di lavoro, di studio, di divertimento e rinunciamoci per favorire un po' coloro che di questi piccoli privilegi non godono.

    - Solo allora possiamo rivolgersi con voce forte all'esterno

    - Chi è iscritto ai partiti si faccia sentire, faccia la voce grossa nella sua sezione, in tutti i partiti sto dicendo, imponga il cambiamento, si faccia seme di inversione di rotta

    - Gli abitanti dei piccoli comuni si facciano sentire dai loro assessori, dai loro sindaci, dai loro preti, dai loro insegnanti

    - Le comunità Culturali, religiose, ludiche mettano a fuoco questo triste periodo e nei loro ambiti,costruiscano il nuovo.

    - I politici riconsiderino il loro grande compito e lo guardino dall'angolazione dalla quale può essere guardato e l'angolazione non può essere che una.



    Non lo so veramente ma adoperiamo il cuore ed il cervello, acuiamo sensibilità e veggenze nuove, ora più che mai

    QUESTA ACCIDIA DOLOROSA E DOLOSA DEVE ESSERE FRANTUMATA.

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  7. http://www.facebook.com/notes/mario-rigli/el-sue%C3%B1o-de-la-raz%C3%B3n-produce-monstruos-laccidia/10151216692003950

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  8. Mi scuso per il ritardo del mio commento ma ritengo importante (e doverosa per Don Felice) una puntualizzazione sul bel documento pubblicato, che però non sintetizza l'aspetto fondamentale della personalità di Felice e dell'eredità che ci ha trasmesso.
    Il termine “dialogo” per Felice, va ben oltre il concetto (ormai datato) di colloquio tra cattolicesimo e marxismo. Era un suo termine, forse lessicamente infelice e riduttivo, con cui intendeva il rifiuto istintivo di tutte le intolleranze, intergralismi, e segregazioni di qualunque genere, un meraviglioso insegnamento universale ed eterno.
    E Felice, da concreto uomo di origini contadine, più che con le parole, ce lo ha trasmesso con l'esempio dei fatti, accogliendo e ascoltando (la sua dote era soprattutto ascoltare) tutti, di qualunque origine, cultura, opinione, anche chi esprimeva idee che lui non condivideva.

    Già all'epoca del “convento” (ma anche poi alla Penna) lasciava spazio a tutte le idee e iniziative, anche le più strampalate. Ricordo un periodo di particolare effervescenza dove al convento si organizzava di tutto, dal teatro al festival canoro per i ragazzi, dal presepe vivente al torneo di briscola, dal club fotografico ai dibattiti su tutto, dal cineforum al torneo di basket tra squadre raffazzonate. Qualcuno avanzava un'idea ed aveva da Felice l'incoraggiamento a portarla avanti. Mi disse:” Le idee e le iniziative hanno sempre valori positivi, poi solo quelle valide rimangono. Sono come le piantine che nascono in un bosco fitto; quelle robuste si sviluppano, quelle deboli muoiono da sole”. Anche questo per lui era “dialogo”.

    Oggi questo concetto di “dialogo” fa parte integrante della nostra cultura di 'Ragazzi di Don Felice' al punto che non ci rendiamo conto di come e quando è venuto; lo abbiamo respirato. E sono quasi commosso nel pensare che c'è, ancora viva da oltre vent'anni, un'iniziativa piccola, che Felice ha incoraggiato e che non è morta come le piante deboli del bosco. La Combriccola degli amici di Don Felice continua a ritrovarsi tutti i mesi, con lo spirito del “dialogo”, aperta a tutti, di qualunque origine, cultura, opinione, religione, in cui spesso il dibattito si trasforma in sfottò ma capace di attrarre anche molti esterni, che non hanno vissuto il contatto e la magia di Felice ma che la respirano con noi.
    Anche questa è una meravigliosa eredità di Don Felice

    Paolo Dinelli

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  9. Mi scuso per il ritardo del mio commento ma ritengo importante (e doverosa per Don Felice) una puntualizzazione sul bel documento pubblicato, che però non sintetizza l'aspetto fondamentale della personalità di Felice e dell'eredità che ci ha trasmesso.
    Il termine “dialogo” per Felice, va ben oltre il concetto (ormai datato) di colloquio tra cattolicesimo e marxismo. Era un suo termine, forse lessicamente infelice e riduttivo, con cui intendeva il rifiuto istintivo di tutte le intolleranze, intergralismi, e segregazioni di qualunque genere, un meraviglioso insegnamento universale ed eterno.
    E Felice, da concreto uomo di origini contadine, più che con le parole, ce lo ha trasmesso con l'esempio dei fatti, accogliendo e ascoltando (la sua dote era soprattutto ascoltare) tutti, di qualunque origine, cultura, opinione, anche chi esprimeva idee che lui non condivideva.

    Già all'epoca del “convento” (ma anche poi alla Penna) lasciava spazio a tutte le idee e iniziative, anche le più strampalate. Ricordo un periodo di particolare effervescenza dove al convento si organizzava di tutto, dal teatro al festival canoro per i ragazzi, dal presepe vivente al torneo di briscola, dal club fotografico ai dibattiti su tutto, dal cineforum al torneo di basket tra squadre raffazzonate. Qualcuno avanzava un'idea ed aveva da Felice l'incoraggiamento a portarla avanti. Mi disse:” Le idee e le iniziative hanno sempre valori positivi, poi solo quelle valide rimangono. Sono come le piantine che nascono in un bosco fitto; quelle robuste si sviluppano, quelle deboli muoiono da sole”. Anche questo per lui era “dialogo”.

    Oggi questo concetto di “dialogo” fa parte integrante della nostra cultura di 'Ragazzi di Don Felice' al punto che non ci rendiamo conto di come e quando è venuto; lo abbiamo respirato. E sono quasi commosso nel pensare che c'è, ancora viva da oltre vent'anni, un'iniziativa piccola, che Felice ha incoraggiato e che non è morta come le piante deboli del bosco. La Combriccola degli amici di Don Felice continua a ritrovarsi tutti i mesi, con lo spirito del “dialogo”, aperta a tutti, di qualunque origine, cultura, opinione, religione, in cui spesso il dibattito si trasforma in sfottò ma capace di attrarre anche molti esterni, che non hanno vissuto il contatto e la magia di Felice ma che la respirano con noi.
    Anche questa è una meravigliosa eredità di Don Felice
    Paolo Dinelli

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