martedì 16 ottobre 2012

Non ci possiamo più permettere uno Stato sociale. FALSO!


“Non ci possiamo più permettere uno Stato sociale. Falso!” è il titolo del nuovo libro di Federico Rampini (Laterza, 9 euro), alla cui presentazione il mese scorso è intervenuto Mario Monti, che ha dialogato con l’ autore, con l’ economista Antonio Martino e con Giuseppe Laterza. Ne proponiamo ai lettori del blog i temi principali, capitolo per capitolo, quasi sempre con le stesse parole di Rampini.

Capitolo 1: L’ America è un modello ‘superiore’? “Tra gli stereotipi più tenaci, equamente ripartiti in Europa e in America, c’ è il seguente: l’ americano medio rinuncia ad avere un Welfare generoso come quello europeo, perché in cambio ha una pressione fiscale nettamente inferiore. È il ‘patto sociale’ di una nazione più propensa al rischio, più individualista, più competitiva. Ma quanto è vantaggioso questo patto sociale?”. Rampini, che è contribuente degli Stati Uniti dal 2000, non ha dubbi: non lo è affatto. Perché a fronte di un prelievo fiscale solo di poco inferiore a quello europeo, il cittadino americano non ha assistenza sanitaria, non ha una scuola pubblica gratuita né tanto meno efficiente, non ha pensione, non ha trasporti pubblici.
Capitolo 2: Il modello europeo più forte che mai. Occorre piuttosto guardare a quel “gruppo di nazioni che incarnano il modello sociale europeo nella sua versione migliore”: Germania, Olanda, Austria, Svizzera, Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia. “Tutte hanno alcuni ingredienti di successo in comune. Alti salari, sindacati forti, tutela avanzata dell’ ambiente”, a cui si aggiungono “l’ attenzione alla qualità della scuola pubblica, e una società più ‘egualitaria’ sia rispetto alle nazioni dell’ Europa del Sud, sia rispetto al modello angloamericano”. Nello scorso mese di giugno, al festival La Repubblica delle Idee, Rampini ha posto la questione a Nouriel Roubini, l’ economista che aveva previsto la crisi dei mutui subprime nel 2008, ricevendo questa risposta: “Dal punto di vista della sostenibilità finanziaria nel lungo termine il modello tedesco, che prevede un Welfare generoso, non è affatto condannato. Se i cittadini tedeschi desiderano un alto livello e un’ alta qualità di servizi sociali, dalla scuola alla sanità, e sono disposti a pagarne il prezzo sotto forma di tasse, quel’ assetto è perfettamente solido e stabile […]. Il problema si pone in quei paesi che hanno alta spesa pubblica ma per molti anni o decenni non l’ hanno finanziata con un gettito fiscale adeguato”. Come l’ Italia, dove “non solo certi politici corrotti, o le organizzazioni criminali, ma corpose e rispettabili categorie sociali si sono abituate per decenni a vivere in un mondo parallelo, dove i servizi pubblici esistono e fanno comodo, mentre le tasse sono un optional”.
Capitolo 3: La virtù è esportabile? “La Germania non è ‘riuscita’ a disciplinare anche noi mediterranei … oppure non è stata mai veramente interessata a farlo?”. Secondo Rampini la risposta è duplice. Da una parte “la memoria dell’ espansionismo prussiano, poi del Reich di Guglielmo II, infine e soprattutto del nazismo, hanno reso la Germania democratica una ‘superpotenza timida’, spesso affiancata al Giappone nel suo status di ‘gigante economico e nano politico’”. Dall’ altra “la Germania è […] riluttante a svolgere il ruolo di locomotiva” e a far crescere i propri consumi perché ha l’ interesse a mantenere, nei confronti degli altri paesi europei, “quegli squilibri strutturali” sui quali “ha costruito la sua eccellenza”.
Capitolo 4: Le promesse che l’ euro ha tradito (e perché). “La nascita dell’ euro, moneta condivisa da un aggregato economico equivalente agli Stati Uniti, sulla carta doveva esercitare una funzione di stabilizzazione all’ interno del Vecchio Continente, e di bilanciamento nei rapporti di forze globali tra le valute. In una geografia ideale, gli equilibri mondiali dovevano fondare su un treppiedi: con una moneta asiatica come terzo punto di appoggio (all’ inizio si pensò allo yen giapponese, più di recente al renminbi cinese)”. Così invece non è stato e “la superiorità del dollaro resta schiacciante […]. Qui la spiegazione è fin troppo chiara: dietro il dollaro c’ è la forza militare degli Stati Uniti espressa dalle basi che costellano il pianeta dal Pacifico al Golfo Persico; dietro il dollaro c’ è una politica estera unica, per quanto controversa, che viene espressa dalla Casa Bianca. Dietro l’ euro non c’ è un esercito, non c’ è una Sesta Flotta a guardia delle rotte petrolifere; non c’ è una politica estera unica; non c’ è neppure un governo”. E non è tutto: ”l’ altra delusione riguarda lo status dell’ euro come moneta-rifugio per i risparmi. Su questo fronte il tradimento delle promesse è recente. Quando esplose la crisi del 2008, con epicentro Wall Street, si poteva sperare che l’ euro ne avrebbe beneficiato. Al contrario, ad ogni accesso di panico, è verso il dollaro che sono fuggiti i capitali del mondo intero”.
Capitolo 5: In cerca di un nuovo ‘pensiero economico’. La crisi attuale è di tale portata da imporci “di riscrivere non solo le regole della finanza, ma anche quelle degli scambi globali, e di rifondare un patto sociale gravemente indebolito da decenni di allargamento delle diseguaglianze”. Per uscire dalla crisi del 1929 e dalla Grande Depressione “l’ Occidente ricorse al pensiero di John Maynard Keynes, scoprì un ruolo nuovo per lo Stato nell’ economia, inventò le politiche sociali del New Deal e la costruzione del moderno Welfare State. Oggi siamo daccapo. L’ eurozona ha conosciuto due recessioni in tre anni. Gli Stati Uniti, malgrado la ripresa in atto, pagano prezzi sociali elevatissimi della Grande Contrazione (almeno 15 milioni di disoccupati). Ma dall’ America una nuova teoria s’ impone all’ attenzione. Si chiama Modern Monetary Theory, ha l’ ambizione di essere le vera erede del pensiero di Keynes, adattato alle sfide del XXI secolo. Ha la certezza di poter trainare l’ Occidente fuori da questa crisi. […] Il nuovo Verbo che sconvolge i dogmi degli economisti, assegna un ruolo benefico al deficit e al debito pubblico. […] La sua affermazione più sconvolgente, ai fini pratici, è che non ci sono tetti razionali al deficit e al debito sostenibile da parte di uno Stato, perché le banche centrali hanno un potere illimitato di finanziare questi disavanzi stampando moneta. E non solo questo è possibile, ma soprattutto è necessario. La via della crescita passa attraverso un rilancio di spese pubbliche in deficit, da finanziare usando la liquidità della banca centrale. Non certo alzando le tasse: non ora”.
Capitolo 6: La grande malata. “È l’ Italia la grande malata dell’ euro. Non bastano ingegnerie finanziarie concordate a Bruxelles per curare il suo problema numero uno: un prolungato crollo di competività verso la Germania, cioè verso la nazione che realizza il vero ‘modello europeo’. […] Come possono convivere usando la stessa moneta, due nazioni tra le quali si scava un fosso così profondo di produttività? Se l’ Italia ha perso la possibilità di svalutare, la Germania continuerà a sottrarci quote di mercati esteri, quindi la nostra industria e la nostra occupazione sono destinate a rattrappirsi sempre più. Con un ulteriore effetto perverso: crescerà ancora il peso dei settori improduttivi, la palla al piede dell’ economia italiana”. Joel Kotkin, il più famoso geografo-economista-demografo degli Stati Uniti, ha disegnato una mappa del mondo reale assai diversa da quella determinata dalla politica, convinto che  “se una volta la diplomazia aveva l’ ultima parola nel tracciare le frontiere, oggi sono la storia, la razza, la religione e la cultura a dividere l’ umanità in nuovi gruppi in movimento”. In questa carta l’ Unione Europea appare frammentata. “La lega anseatica germanico-nordica ritrova «quel comune destino creato dal commercio» che lo storico Fernand Braudel le attribuì datandolo al XIII secolo”. L’ Italia invece viene inclusa fra le cosiddette Repubbliche dell’ Olivo, “nettamente distanziate dall’ Europa settentrionale in ogni categoria”. Certo, chiosa e conclude Rampini,  “questo pianeta ‘rivisto e corretto’ dagli Stati Uniti ha il valore di una provocazione, non va preso alla lettera né deve essere vissuto come un destino ineluttabile. Soprattutto per la parte che riguarda l’ Europa, e ci tocca da vicino, sentiamo che gli americani ricorrono talvolta a semplificazioni brutali. Può servirci però come un richiamo e uno stimolo. La storia non è una gabbia. Il mondo è pieno di nazioni che hanno saputo ‘svoltare’ […]. A noi l’ opzione, a noi decidere quale modello considerare il nostro. È molto più di una scelta politica, è una scelta di civiltà”.

La redazione

2 commenti:


  1. Sulla carta lo stato sociale è meglio, non c’è dubbio. Dà a tutti la possibilità di istruirsi, di essere curato, di viaggiare in treno o in autobus a prezzi ragionevoli , ecc. Ma se poi nelle aziende o negli istituti pubblici non si seleziona il personale migliore (ma si assumono i soliti noti), se non si controlla a dovere chi gestisce il denaro, ecc….. a che serve avere un buon modello? Si può importare anche il modello tedesco, ma se poi non diventiamo un po’ tedeschi anche noi …. l’effetto non dura! E’ stato il nostro atteggiamento, non un modello di società sbagliato, a decretare il declino del nostro paese. E siamo già in declino, non “in una fase di declino”. Per dare un idea di come siamo ridotti: Marchionne, la settimana scorsa, ha detto che Firenze è una città “piccola e povera”, facendo incazzare un po’ tutti. E’ seguito un coro di sfottò e molti hanno giurato di non comprate più Fiat, almeno in Toscana. Ma sapete a Marchionne quanto gliele importa? Niente. Primo, le automobili che la Fiat vende in Italia rappresentano, tra si e no, il 5% del fatturato Fiat nel mondo (la Toscana rappresenta, tra si e no, lo 0,25%) . Noccioline! Bazzecole! Secondo, il prezzo folle che ha raggiunto la benzina nel nostro paese fa dormire sonni tranquilli all’amministratore svizzero, in quanto l’azienda torinese è leader proprio nelle auto a metano e gpl (nelle graziose pubblicità di Luca e Paolo, le auto non si vedono nemmeno, si parla esclusivamente del basso costo del metano e del gpl!). Non abbiamo più i soldi per comprare le auto e Marchionne lo sa! E se ci possiamo permettere un auto, non ci possiamo permettere la benzina. E Marchionne lo sa! Con buona pace di chi vorrebbe un embargo Fiat “alla fiorentina”!
    MARCO BALESTRI

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  2. Sulla carta lo stato sociale è meglio, non c’è dubbio. Dà a tutti la possibilità di istruirsi, di essere curato, di viaggiare in treno o in autobus a prezzi ragionevoli , ecc. Ma se poi nelle aziende o negli istituti pubblici non si seleziona il personale migliore (ma si assumono i soliti noti), se non si controlla a dovere chi gestisce il denaro, ecc….. a che serve avere un buon modello? Si può importare anche il modello tedesco, ma se poi non diventiamo un po’ tedeschi anche noi …. l’effetto non dura! E’ stato il nostro atteggiamento, non un modello di società sbagliato, a decretare il declino del nostro paese. E siamo già in declino, non “in una fase di declino”. Per dare un idea di come siamo ridotti: Marchionne, la settimana scorsa, ha detto che Firenze è una città “piccola e povera”, facendo incazzare un po’ tutti. E’ seguito un coro di sfottò e molti hanno giurato di non comprate più Fiat, almeno in Toscana. Ma sapete a Marchionne quanto gliele importa? Niente. Primo, le automobili che la Fiat vende in Italia rappresentano, tra si e no, il 5% del fatturato Fiat nel mondo (la Toscana rappresenta, tra si e no, lo 0,25%) . Noccioline! Bazzecole! Secondo, il prezzo folle che ha raggiunto la benzina nel nostro paese fa dormire sonni tranquilli all’amministratore svizzero, in quanto l’azienda torinese è leader proprio nelle auto a metano e gpl (nelle graziose pubblicità di Luca e Paolo, le auto non si vedono nemmeno, si parla esclusivamente del basso costo del metano e del gpl!). Non abbiamo più i soldi per comprare le auto e Marchionne lo sa! E se ci possiamo permettere un auto, non ci possiamo permettere la benzina. E Marchionne lo sa! Con buona pace di chi vorrebbe un embargo Fiat “alla fiorentina”!
    MARCO BALESTRI

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