martedì 25 maggio 2010

Acqua: come ti servo?

Più che un contributo, un pensiero ad alta voce; più che una riflessione, un personale invito a meditare su quelli che sono gli stili e le abitudini che, anche inconsapevolmente, ci circondano. Vorrei iniziare con questa scomposta premessa questo martedì per la Voce. A dir il vero questo mio spunto trae linfa da una mia recente esperienza trascorsa in ospedale ad accompagnare un mio carissimo familiare sottopostosi a un piccolo intervento chirurgico. La certezza garantita dai medici sull’esito dell’intervento e su eventuali prospettive post-operatorie mi ha offerto la tranquillità di pensare anche ad altro e pertanto proprio ripartendo da qui vorrei raccontarvi un’attitudine presente nell’organizzazione dell’ospedale della Gruccia. Ho notato con iniziale gratitudine, ma successivamente con un po’ di perplessità e fastidio come in questa struttura ospedaliera venga distribuita con animo eccessivamente magnanimo, l’acqua in bottiglia. L’acqua che viene servita ai pazienti è tutta imbottigliata (per fortuna proviene dalla stessa provincia) e l’unico limite che vige è solamente l’autocontrollo del paziente e dei familiari. Mi rendo conto che queste righe possano andare a toccare lidi estremamente delicati e forse anche inopportuni e comunque sono ben consapevole delle difficoltà e delle apprensioni che possono distinguere una degenza, eppure ho provato a pormi questo capriccio in maniera del tutto problematica per capire se, oltre all’imbottigliamento, ci possano essere forme diverse per distribuire un bene primario come l’acqua. Francamente non ho trovato risposta, anche se ho notato come in alcune realtà (www.ctpost.com) si sia iniziato un primo cammino verso la riduzione dell’acqua in bottiglia. Si badi bene, non è solamente una razionalizzazione delle risorse, ma una scelta virtuosa che andrebbe nella direzione di un minor impatto sull’ambiente e sull’ecosistema. Ci tengo a ripetere quanto il tema trattato da questa privilegiata e disinteressata angolazione possa apparire perfino impopolare e che con tutte le problematiche che affliggono il sistema sanitario questo possa essere interpretato come l’ultimo dei problemi, ciò nondimeno mi preme condividere con Voi un disagio che, da comune cittadino, ho avvertito. Per concludere con una domanda: dove finisce la responsabilità del singolo e dove inizia quella del pubblico?

Tommaso

2 commenti:

  1. Nedo Bronzi ha detto…
    Il tema proposto da Tommaso, a mio modesto parere, deve essere visto da più angolazioni.
    Se la sollecitazione è strettamente connessa ad una riflessione sulla distribuzione negli ospedali dell’acqua occorre pensare a cosa accadrebbe in caso di utilizzo di “canali” alternativi.
    Certamente l’approvvigionamento e distribuzione di acqua “dalla fonte” (rubinetto) dovrebbe essere fatta tenendo conto che si opera in luogo ove, più che in altri, si possono concentrare agenti patogeni. Il contenitore dell’acqua, come minimo, se poliuso, dovrebbe quindi provenire da sterilizzazione e poter essere chiudibile (non brocche). Se invece fosse monouso si ritroverebbero, moltiplicati, gli stessi problemi delle bottiglie di plastica.
    L’uso attuale delle bottiglie dovrebbe garantire, anche se non integralmente, un minimo di meccanismo difensivo da batteri e virus. La bottiglia una volta usata la si getta e quindi da una parte si risolve un problema di invasività di microorganismi, dall’altro si generano rifiuti da smaltire. Proprio negli ospedali forse il problema , nell’attualità, poche possibilità di soluzione.
    Diverso è il problema dell’acqua in generale, di questo bene enorme che proprio in questi ultimi periodi sta al centro delle cronache, dell’economia, della politica e della civiltà.
    Nel 2030 si stima che la domanda di acqua nel mondo supererà l’offerta e in quel momento se la sua distribuzione e le reti saranno gestite dal “mercato” potremmo avere scenari apocalittici. Chissà forse titoli “derivati” potranno rappresentare la distribuzione di “barili” di acqua peggio che con il petrolio.
    Già i giganti societari dell’acqua (Suez, Veolia ecc.) si stanno organizzando societariamente nei paesi dove la gestione della distribuzione può essere affidata ai privati. Intanto in Italia questo sarà possibile con il Decreto Ronchi (salvo risultati improbabili dei referendum) mentre a Parigi il Sindaco Bernard Deluoé ha vinto le elezioni togliendo l’acqua ai Privati (Suez e altri) e restituendola alla municipalità.
    Un saluto
    Nedo

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  2. Ammiro molto la capacità di Tommaso e di Emmanuele di guidarci dal particolare all’ universale, prendendo spunto da piccoli (?) fatti quotidiani e finendo per metterci di fronte a interrogativi strategici. Raccolgo perciò volentieri il testimone da Nedo, che nel suo commento ha proposto, come già la scorsa settimana, informazioni interessanti, e provo a riflettere su ruoli e responsabilità.
    Poco mi sembra possa fare il singolo cittadino: non consumare acqua inutilmente e, se proprio deve ricorrere alla minerale, privilegiare quella che ha viaggiato meno e che ha il prezzo più conveniente.
    Al soggetto pubblico credo invece facciano capo molte responsabilità, in larga parte ancora eluse. Ne dico alcune, in ordine sparso. Far pagare a prezzi di mercato le concessioni per l’ imbottigliamento rilasciate all’ industria. Dire ai consumatori quanto cloro contiene l’ acqua del rubinetto. Aprire un numero adeguato di fontanelle di alta qualità. Manutenere le reti in modo da contenere le perdite entro limiti fisiologici. Pianificare la gestione della risorsa e informarne i cittadini. Censire, studiare e proteggere gli acquiferi di maggiore importanza. Unire in una banca dati comune le informazioni che oggi sono patrimonio separato di più enti.
    A mio avviso le società che approvvigionano i nostri rubinetti sono largamente inadempienti su questi temi, essendosi piuttosto preoccupate di diventare adeguate riserve di caccia e di collocamento di politici e presunti manager. Emule in questo dell’ Acquedotto Pugliese, che, come più volte è stato detto, ha dato più da mangiare che da bere.
    Offro due riferimenti concreti alla riflessione di chi legge: non mi risulta che esista uno studio approfondito su quella preziosissima riserva d’ acqua che è il Pratomagno; né ho notizia che università, comuni, province, enti di bonifica, comunità montane e società di distribuzione abbiano fatto confluire le loro conoscenze in merito in un archivio unico e condiviso.
    Silvio Cazzante

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