Due questioni a scala
regionale per guardare da un punto di vista diverso sia al dibattito politico
nazionale che alla prossima campagna elettorale a Terranuova.
Prima questione. La Regione sta
rivedendo la propria legge urbanistica, la n. 1 del 2005. Una legge che,
ispirata dalla riforma del titolo V della Costituzione, era stata così
presentata: “l’ aspetto fondamentale di cambiamento […] è la forte
responsabilità che ciascun soggetto istituzionale assume. Saltando qualsiasi
gerarchia si passa dalla gerarchia alla sussidiarietà, alla reale
collaborazione, ovvero dal government alla governance” (dal sito web della
Regione, consultato il 10 aprile 2008). A detta dei più questo modello di
‘pluralismo istituzionale paritetico’ – così è stato anche definito – non ha corrisposto
nella pratica alle intenzioni che lo avevano ispirato. Molti Comuni infatti hanno
abusato della loro autonomia pianificatoria per fare cassa, con previsioni
urbanistiche sovradimensionate e fondate non di rado su analisi circoscritte ai
soli confini amministrativi. La Rete dei Comitati per la difesa del territorio
si è espressa in termini drastici: “Continare con l’ assoluta, inappellabile
autonomia comunale in materia di previsioni di crescita costituisce uno dei
primi fattori della dilapidazione del territorio” (da ‘Piattaforma toscana’,
documento preparatorio all’ Assemblea dei Comitati del 3 febbraio 2013).
Con la bozza della nuova legge la
Regione pare ora volersi riappropriare di un ruolo di controllo, riservandosi
un parere vincolante sulle scelte pianificatorie. I Comuni non gradiscono e
insorgono. Simone Gheri, sindaco di Scandicci e responsabile Urbanistica di
Anci Toscana: “La Regione non può porsi in relazione ai Comuni come la
maestrina dalla penna rossa, pronta a correggere gli errori e a stabilire
confini e modalità di ciò che può esser fatto e ciò che non può esser fatto”
(greenreport.it, 7 marzo 2013). Ancora più duro Alessandro Cosimi, sindaco di Livorno
e presidente di Anci Toscana, che accusa apertamente la Regione, in particolare
il presidente Rossi e l’ assessore all’ urbanistica Marson, di cercare un
rapporto diretto con i comitati dei cittadini, provocando così, in nome della
partecipazione, “il rischio di delegittimazione della politica rappresentativa,
in una sorta di patto populista che, su urbanistica e governo del territorio,
esclude i Comuni e la loro rappresentanza dalla costruzione e definizione di
regole” (greenreport.it, 7 marzo 2013).
Seconda questione. Con una
specifica variante al proprio Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) la Regione
ha dato il via alle procedure per la costruzione della nuova pista dell’
aeroporto di Firenze. Contrari i Comuni della piana – Sesto Fiorentino,
Calenzano, Campi Bisenzio, Signa, Carmignano, Poggio a Caiano –, la Provincia
di Firenze e la Provincia di Prato, tutti amministrati dal centrosinistra, e il
Comune di Prato, amministrato dal centrodestra. Contrario anche il Movimento 5
Stelle. Nessuna distinzione di schieramenti, dunque. Gianni Gianassi, sindaco
di ‘Sestograd’, è sarcastico: “L’ aeroporto a chi serve? A noi no, ma forse
serve a chi prende l’ appalto e a quella Firenzina del triangolo d’ oro, dei
grandi alberghi e dei grandi interessi. La giunta regionale non ci ha mai
coinvolto: c’ è uno strappo istituzionale” (Corriere Fiorentino, 15 marzo 2013).
Affonda il coltello Andrea Barducci, presidente della Provincia di Firenze:
“Allo stato attuale il progetto della pista parallela convergente è una
devastazione dal punto di vista urbanistico” (Corriere Fiorentino, 16 marzo 2013).
Per quanto i conflitti fra
Regione e Comuni non siano rari, le problematiche della nuova Legge 1 e dell’
aeroporto fiorentino appaiono veramente singolari, trasversali come sono
rispetto ai partiti e, soprattutto, rispetto alle istituzioni: mentre nel primo
caso la Regione si veste da paladina dell’ ambiente contro gli appetiti dei
Comuni cementificatori, nel secondo le posizioni si invertono. Perché questo scambio
di ruoli?
La risposta più semplice è anche la
più disincantata: i ruoli si comprendono in termini di potere, di spazi
decisionali da conquistare o da difendere, di primazie e primogeniture da
rivendicare, di voti da mettere in carniere. D’ altronde è acclarato che nella politica
nostrana le dichiarazioni riflettono non tanto ciò in cui si crede quanto, nella
migliore delle ipotesi, il campanile di appartenenza e gli interessi elettorali.
Non trascurerei però un’ altra spiegazione:
le questioni dell’ urbanistica e dell’ ambiente sono complesse, mal
riconducibili a schemi precostituiti – di qua la natura buona, di là il cemento
cattivo – e per di più stanno diventando centrali nel sentire dei cittadini. Hanno
perciò una intrinseca vocazione ad attraversare in modo non ideologico partiti
e istituzioni, costringendoli a un discernimento al quale sono poco avvezzi. Tanto
poco avvezzi che nella scorsa campagna elettorale hanno preferito indossare le
piume dello struzzo e mettere la testa sotto la sabbia, non parlando né di
ambiente né di urbanistica.
Mi domando se avremo l’
opportunità di discuterne nei prossimi mesi a Terranuova.
Silvio Cazzante