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UN INIZIO DI REVISIONE DELLA SPESA
di Maria Flavia Ambrosanio Professore associato di Scienza delle finanze, insegna Scienza delle finanze e Sistemi fiscali comparati presso l’Università Cattolica, dove è coordinatrice del Master in Economia Pubblica, all’interno del quale tiene il corso di Economia Pubblica. Ha collaborato e collabora con istituzioni e centri di ricerca nazionali ed internazionali. Collabora da anni alla redazione di Osservatorio Monetario, iniziativa dell’Associazione per lo Sviluppo e gli Studi di Banca e Borsa. I più recenti ambiti di ricerca riguardano la concorrenza fiscale, la finanza regionale e locale, i problemi dello sviluppo sostenibile e della private-public partnership.
Anche se un vero e proprio processo completo di ridefinizione delle aree e dei settori di intervento pubblico avrebbe richiesto tempi molto più lunghi, nella spending review del governo Monti c'è più revisione della spesa di quanto possa sembrare a prima vista. Alcuni spunti sono interessanti, come il superamento dei tagli lineari in diversi ambiti. Suscitano invece qualche perplessità le disposizioni che riguardano la spesa degli enti territoriali. Soprattutto perché non appaiono chiari i criteri per la ripartizione delle riduzioni dei trasferimenti.
Quanta spending review c’è nella spending review del governo Monti? Non moltissima, ma più di quanto possa sembrare a prima vista.
GLI OBIETTIVI DI MEDIO E LUNGO PERIODO
Facciamo un passo indietro. Che cosa è la spending review (o expenditure review)? È un processo di revisione della spesa pubblica, che si propone di superare la spesa storica, ovvero il finanziamento inerziale di tutti i programmi di spesa delle amministrazioni pubbliche, adottando un approccio di tipo selettivo, che si contrappone ai tagli lineari o all’introduzione di tetti di spesa, che risultano più semplici e immediati da attuare.
Quali obiettivi più precisamente si possono perseguire con la spending review? Un primo obiettivo, realizzabile anche nel medio periodo, è quello di verificare se e in che misura i programmi di spesa esistenti possano essere attuati con l’impiego di minori risorse (functional spending review, adottata per esempio in Finlandia). Un secondo obiettivo, realizzabile solo nel lungo periodo, è invece quello di ridefinire le aree e i settori di intervento dell’operatore pubblico, in altri termini di ridefinire ciò che questo dovrebbe o non dovrebbe fare (strategic spending review, adottata in Australia, Canada, Danimarca, Olanda e Regno Unito). In Italia, dopo l’esperienza del 2007, il programma è diventato permanente nel 2008, ma solo nel 2011 la prima “manovra Tremonti” ha impegnato il ministero dell’Economia ad adottare un nuovo ciclo di spending review per il 2012. Ed ecco il decreto del 6 luglio.
GLI SPUNTI INTERESSANTI
Quali sono gli elementi di spending review contenuti nel decreto? Molte delle disposizioni che prevede non sono il risultato di un vero e proprio processo completo di revisione della spesa, che, per la sua natura, avrebbe richiesto tempi più lunghi, ma ci sono spunti interessanti che meritano di essere sottolineati. Facciamo qualche esempio.
1) Riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi delle amministrazioni centrali dello Stato: i risparmi sui costi di gestione delle diverse strutture (amministrative e operative) non discendono da tagli lineari, ma sono commisurati all’eccesso di spesa (per anno-persona di ciascuna amministrazione) rispetto al valore mediano dei costi stessi.
2) Riduzione degli organici: dato l’obiettivo generale, la riduzione può non essere della stessa proporzione per tutte le amministrazioni; è in altri termini consentito che riduzioni di organico inferiori alle percentuali indicate, in alcune amministrazioni, siano compensate da riduzioni superiori degli organici di altre, sulla base delle loro specifiche esigenze.
3) Soppressione e razionalizzazione delle province: l’obiettivo è quello di individuare una sorta di “dimensione ottima”, dal punto di vista dell’estensione del territorio e della popolazione. Obiettivo analogo persegue la norma che introduce l’obbligo per i comuni di modesta dimensione di costituire unioni di comuni.
Anche altre misure rientrano nell’ambito della spending review, sia pure di minore impatto finanziario: l’introduzione di un tetto massimo al valore dei buoni pasto; il riordino della norma per l’acquisto dei servizi di pagamento degli stipendi, che impone a tutte le amministrazioni di acquistare tali servizi dal Mef o comunque a un prezzo non superiore a quello praticato dal ministero; la riduzione dei costi delle locazioni passive, con la possibilità che Stato ed enti locali utilizzino a titolo gratuito gli immobili reciprocamente posseduti. Si tratta di misure che consentono di risparmiare, senza incidere sui servizi resi ai cittadini (come recita il titolo del decreto).
LA SPESA DEGLI ENTI TERRITORIALI
Suscitano invece qualche perplessità le disposizioni concernenti la riduzione della spesa degli enti territoriali. Dato l’obiettivo generale di riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, vengono tagliati i trasferimenti alle Regioni a statuto ordinario (700 milioni nel 2012 e 1 miliardo a partire dal 2013) e alle Regioni a statuto speciale e province autonome di Trento e Bolzano (600 milioni per il 2012, 1,2 miliardi per il 2013 e 1,5 miliardi per il 2014); viene ridotto anche il fondo sperimentale di riequilibrio a favore dei comuni (500 milioni nel 2012 e 2 miliardi a partire dal 2013) e delle province (500 milioni nel 2012 e 2 miliardi a partire dal 2013). Tutto ciò si riflette sugli obiettivi del patto di stabilità interno, che viene inasprito. La logica è quella di applicare dall’alto, tagliando i fondi ex-ante, una sorta di spending review in relazione ai consumi intermedi degli enti territoriali. I tagli infatti non dovrebbero essere lineari all’interno di ciascun comparto: la riduzione dei trasferimenti dovrebbe essere ripartita tra gli enti di ciascun livello di governo in base alle analisi della spesa effettuate dal commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi e dalla Conferenza permanente per il rapporti tra Stato, Regioni e province autonome. Per quanto riguarda i comuni, il decreto è più esplicito: la riduzione dei trasferimenti dovrebbe tenere conto anche dei dati raccolti nell’ambito della procedura per la determinazione dei fabbisogni standard. Ma ci sono i tempi tecnici per le deliberazioni della Conferenza? In assenza di deliberazione della Conferenza, il ministero dell’Interno emanerà comunque, entro il prossimo 30 settembre, il decreto di riparto delle riduzioni dei trasferimenti. Come verranno distribuiti i tagli in questo caso? La norma parla di riduzione in proporzione alle spese per consumi intermedi sostenute nel 2011, rilevate dal Siope. Il criterio non è del tutto chiaro (e su questo punto, nulla dice la Relazione tecnica), ma non sembra, ed è auspicabile, proporre tagli lineari, ovvero nella stessa percentuale per tutti gli enti.
Va infine sottolineato che il comparto degli enti territoriali è quello da cui derivano i maggiori risparmi associati alle disposizioni del decreto, 2,3 miliardi di euro su 4,4 complessivi, vale a dire il 52 per cento, nel 2012; la percentuale si riduce lievemente nel 2013 e nel 2014. Nulla da obiettare se si tratterà solo di riduzione di “sprechi”, nell’ottica della vera spending review; molto da obiettare se i tagli si tradurranno in minori servizi ai cittadini.
SICILIA, UNA REGIONE TROPPO SPECIALE
di Floriana Cerniglia (E' professore associato di Economia Politica presso la facoltà di Economia dell’Università di Milano-Bicocca. Si è laureata in Scienze Politiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha conseguito il Master in Economics presso l’università di Exeter (Uk) e il Ph.D in Economics presso l’Università di Warwick (Uk). Svolge attività di ricerca su temi di economia pubblica, con particolare attenzione ai modelli di federalismo fiscale, ai meccanismi decisionali che influenzano l’ allocazione di competenze tra livelli di governo e alle riforme istituzionali dell’Unione europea.) e Pasquale Hamel
Negli ultimi giorni si è discusso molto di un possibile commissariamento della Regione siciliana. Ma qual è la situazione reale? Intanto, lo Statuto speciale assegna competenze molto ampie, per il cui esercizio sono previste risorse altrettanto elevate. Ma la gestione che ne è stata fatta nel corso degli anni ha portato alle attuali difficoltà di cassa e pregiudica anche la situazione futura. Se guardiamo i dati relativi al bilancio di competenza della Regione per l'esercizio finanziario 2012 si riscontrano ancora molte opacità e un peggioramento dei conti.
Anche se da tempo se ne parlava, è stata soprattutto l'intervista dell'ex presidente della Confindustria siciliana a portare sulle prime pagine dei giornali la gravissima situazione in cui versa la Regione siciliana. Sull'argomento è intervenuto anche il presidente del Consiglio, Mario Monti, alimentando le voci di un commissariamento della Regione che, giuridicamente, appare impraticabile. Senza entrare nelle polemiche politiche, ci pare opportuno offrire un quadro il più chiaro possibile della situazione reale.
LA SPECIALITÀ DELLA REGIONE
La Regione siciliana, il cui Statuto fu approvato con legge costituzionale, è, per le competenze di cui è titolare, la “più speciale” fra le regioni a statuto speciale: solo la Sicilia è intestataria della cosiddetta competenza esclusiva nelle materie di cui all'articolo 14 e 15 dello Statuto, l'esercizio del potere legislativo trova solo il limite dei principi costituzionali e delle leggi di grande riforma. Competenze, dunque, molto ampie in materie decisive nella vita della Regione. Il loro esercizio comporta un notevole impegno finanziario, e lo stesso Statuto ha previsto un regime di finanziamento adeguato. La Regione è titolare di un proprio patrimonio, che è poi quello che lo Stato le ha trasferito, ma ha anche autonomia tributaria e, con l'eccezione delle imposte di produzione e delle lotterie e dei tabacchi, tutte le imposte esatte nel territorio siciliano sono riversate nelle casse della Regione. A completamento del quadro, bisogna considerare l'articolo 38, il fondo di solidarietà nazionale, che prevede un versamento annuo dallo Stato alla Regione, il cui ammontare avrebbe dovuto compensare la minore entità dei redditi di lavoro in Sicilia rispetto alla media nazionale. Il parametro, che avrebbe dovuto regolare il versamento, si è rivelato di difficile calcolo ed è stato quindi contrattato anno su anno portando nel tempo nelle casse della Regione una quota rilevante di risorse. Negli ultimi anni è stato comunque via via ridotto. Se a questo si aggiungono i fondi destinati a specifici scopi e quelli comunitari nel quadro delle politiche di coesione, appare chiaro che la Sicilia avrebbe potuto avere quanto necessario per assolvere la sua missione.
MA COME È STATA UTILIZZATA L’AUTONOMIA?
Quanto oggi si registra, attraverso gli atti ufficiali, conferma invece che l'istituzione regionale siciliana non solo è afflitta da una contingente crisi di liquidità, ma che questa crisi può divenire cronica considerato l'uso non prudente con cui sono state amministrate le risorse nel corso degli anni. (1) A volere indicare le criticità della gestione, si potrebbero riempire pagine intere: si tratta di primati negativi che s'inanellano l'uno dopo l'altro, a cominciare dall’espansione dell'area dell’occupazione pubblica improduttiva, portando oltre il limite delle compatibilità finanziarie i conti della Regione. La Regione siciliana, che non brilla certo per efficienza delle sue strutture amministrative, ha il numero più alto di dipendenti pubblici, si parla di ben oltre 20mila unità, ai quali si debbono aggiungere soggetti che a vario titolo percepiscono da "mamma Regione", come viene definita, un reddito mensile e che ammonterebbero a circa 140mila unità. Un esercito nel quale sono compresi circa 28mila forestali, quanti ve ne sono in tutto il resto del paese, che gestiscono non sempre bene il purtroppo modesto patrimonio boschivo dell'isola. Ben poco è stato fatto per avviare un reale processo di sviluppo a cominciare dalla necessaria infrastrutturazione del territorio. A questa lista, si aggiungono altri primati: un tasso di disoccupazione stabilmente tra i più altri tra le Regioni italiane, un Pil pro capite che è tra i più bassi, il tutto condito da una qualità nell’offerta dei beni e servizi pubblici più bassa di altre aree del paese. (2)
C’È IL RISCHIO DI INSOLVENZA?
Il 29 giugno la Corte dei conti ha trasmesso il giudizio di parificazione per l'esercizio finanziario 2011, e a premessa alla sua analisi dei saldi scrive "con i se non si fa la storia e non si fa nemmeno la contabilità", alludendo alla poca chiarezza di alcune voci contabili. Se guardiamo i dati relativi al bilancio di competenza della Regione per l’esercizio finanziario 2012 si riscontrano ancora molte opacità e un peggioramento dei conti. (3)
Apprendiamo, infatti, che per il 2012 il totale delle entrate finali comprensive di accensione dei prestiti ammonta a 16 miliardi e 866 milioni, ma poiché le spese finali comprensive del rimborso prestiti ammontano a 26 miliardi e 266 milioni, la differenza - pari a 9 miliardi e 400 milioni - viene coperta ancora una volta dalla "voce contabile tanto suggestiva quanto discutibile" (come ha scritto sempre la Corte dei conti) “avanzo finanziario presunto”. Questa stessa voce, nel bilancio di competenza per il 2011, era un valore più basso: 9.265.599. Nel 2012, la necessità di reperire risorse continua dunque ad aumentare, nonostante le spese finali (senza considerare il rimborso dei prestiti) rispetto al 2011 siano calate (-5,1 per cento), ma in maniera inferiore alle entrate (al netto dell'accensione dei prestiti) che invece scendono del 6,7 per cento. Quindi, anche nel 2012, la crescita della spesa di competenza è più alta di quella delle entrate di competenza.
Ma la situazione a consuntivo, potrebbe peggiorare o migliorare? Certo è che, confrontando i dati dei bilanci di competenza, alcune cifre sono poco convincenti. Ad esempio, mentre la quota dei tributi erariali spettanti alla Regione nel 2012 cala del 6,4 per cento, il gettito Irap invece aumenta dello 0,6 per cento. E addirittura i tributi propri dovrebbero aumentare dell'1,7 per cento.
Apprezziamo lo sforzo fiscale della Regione Sicilia, ma con un calo stimato del Pil per il 2012 in Sicilia del 2,6 per cento, questi dati non dovrebbero essere un po’ diversi? (4)
(1) Le relazioni della Corte dei conti sono in merito estremamente puntuali. Si veda Corte dei conti, Giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione siciliana; esercizio finanziario 2011.http://www.corteconti.it/procura/giudizio_parificazione/regione_siciliana/
(2) Banca d’Italia, Mezzogiorno e politiche regionali, novembre 2009. Banca d’Italia, Il Mezzogiorno e la politica economica dell’Italia, giugno 2010.
(3) I bilanci di competenza della Regione Sicilia sono su http://pti.regione.sicilia.it
(4) I dati sul Pil siciliano sono ripresi da CongiunturaRes n. 6, a cura della Fondazione Res, in http://www.resricerche.it/