martedì 20 luglio 2010

Cibo e paradossi: "spuntini" per una riflessione


A seguito dell’interessantissima intervista che l’amico Meme ha rivolto al presidente (della cooperativa Beta) Mecheri, si è sviluppato un accenno di dibattito sulla grande distribuzione delle cooperative e sul prezzo al dettaglio di alcuni prodotti alimentari. Pur non entrando nel merito delle cooperative mi piacerebbe ripartire da alcuni spunti particolari per tracciare alcune riflessioni di più ampio respiro. Riparto proprio da quella battuta icastica sul costo delle mele al chilogrammo, poiché penso che proprio in quella concezione risiedano quelle storture sul modo di concepire il cibo e il suo valore. Ciò premesso, debbo aggiungere che la mia tesi di fondo segue il solco di quelle critiche all’attuale modello di sviluppo che in altre sedi e con più interessanti argomentazioni sono state brillantemente esposte, tuttavia ritengo che il capitolo sulle politiche alimentari sia al centro di questo problema e soltanto una visione poco coerente potrebbe considerarlo una semplice nota a margine. Innanzitutto, è bene precisare che ad oggi tutto ciò che ruota intorno al mangiare è attraversato da continui paradossi e le questioni legate alla fame nel mondo e malnutrizioni insieme alle pandemie dell'obesità sono le facce più drammatiche della stessa medaglia che fanno del cibo un alimento di contraddizioni. Il nostro retroterra, che sapeva distinguersi per le sue profonde capacità di vivere in sintonia con la Natura, è stato improvvisamente spazzato via e lo stesso significato del verbo mangiare è stato completamente stravolto, così il cibo è diventato un prodotto non più per essere mangiato, bensì per essere venduto. Oramai anche l'alimento per eccellenza si è trasformato in prodotto di consumo che sapientemente risponde ai due principali assiomi: oggetto di mercato e di spreco. Alcune considerazioni per rassodare il terreno e suscitare un dibattito tra i lettori: è possibile che nel mondo si produca cibo per dodici(!) miliardi di viventi, mentre siamo poco meno di sette miliardi e tra questi più di un miliardo soffre la fame e contemporaneamente oltre un miliardo ha problemi legati alla sovralimentazione? Si può ancora considerare il cibo come prodotto estraneo alle spirali dello spreco se nella sola Italia ogni giorno vengono buttate via quattromila tonnellate di cibo edibile? Del resto questo tassello ben s'incastra con l'unica discriminante necessaria per per scegliere il cibo: basta che costi poco. Di fronte a questa esigenza ha trionfato un'agricoltura centralizzata basata esclusivamente sulle monoculture e sugli allevamenti intensivi tutt'altro che sostenibili. Inoltre, per capire quanto il tema sia saldamente intrecciato alle dinamiche di politiche energetiche, anche la Fao ha ammesso che “l'industria della carne è la seconda causa principale del cambiamento climatico”. Esternalizzando le diseconomie si è accarezzato l'idea che si possa fare agricoltura senza terra e senza contadini, ignorando che per un cibo pagato a poco prezzo oggi, ci sarà qualcuno che domani dovrà versare la differenza. Un esempio di colore è quello legato all'insostenibilità dell'allevamento di salmone: a fronte del calo degli stock di salmo salar, gli allevamenti si sono moltiplicati, con l’exploit vertiginoso del Cile, secondo produttore mondiale dopo la Norvegia. Consumiamo oltre 1,5 milioni di tonnellate di salmone allevato a fronte di meno di 1 milione di selvaggio. Ma a che prezzo? Innanzitutto al prezzo di tutto pesce grasso con cui sono nutriti salmoni, predatori carnivori e voraci: occorrono 5 kg di aringhe o sardine per produrre 1 kg di salmone. Per concludere, ritengo che aver scambiato il prezzo del cibo con il suo reale valore ci abbia distrutto l'anima e pertanto concordo pienamente con Carlin Petrini sulla necessità di passare da un sistema di consumo ad un sistema di co/produzione, unica via per rilocalizzare le economie e tutelare la biodiversità. Insomma, spendere poco o far pagare ad altri non è la stessa cosa...

Tommaso

6 commenti:

  1. Sinceramente ogni volta che si entra nel ginepraio di discussioni che ruotano attorno a questo argomento se ne esce stravolti, sentendoci ingranaggio di quella macchina che ci sta distruggendo: il consumismo. Che purtroppo è, come ha ben sottolineato Tommaso, quotidiano e continuo.

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  2. Hanno detto che la spesa quotidiana di una massaia può diventare un’ azione politica. Concordo, ma quando si tratta di sintetizzare un giudizio o, meglio, di dare corpo a iniziative, ne usciamo stravolti, come rileva Francesco. Secondo me anche per una sorta di peccato originale che i guru come Carlo Petrini si portano dietro. Chi era giovane negli anni ottanta ricorderà che Slow Food nasce nel 1986 con la denominazione di Arcigola dal brodo di cultura politica che fa capo al Manifesto, in un periodo in cui i successi del craxismo hanno lasciato alla sinistra radicale giusto la riserva indiana dell’ ecologia, del cibo e della terra. Poco dopo la fondazione di Slow Food, il Manifesto comincia a pubblicare, sotto forma di supplemento, la rivista Il Gambero Rosso, ideata da Stefano Bonilli, anch’ egli tra i fondatori di Slow Food. Una rivista destinata a diventare, negli anni, una voce autorevole (la più autorevole?) in tema di cibi e vini. Con il successo arrivano le complicazioni, degne di una telenovela: dissidi fra co-fondatori, Bonilli che apre un blog chiamato Il Papero Giallo, il Gambero Rosso che cambia proprietà e licenzia Bonilli, Slow Food che divorzia dal Gambero Rosso, alcune scelte di Petrini che lasciano perplessi (come p.e. quella di entrare a far parte del comitato promotore dell’ Expo di Milano). Niente di nuovo sotto il sole, per quanto riguarda la capacità autolesionistica della sinistra. Ma certamente molta confusione per il consumatore che cerca di informarsi.
    Silvio Cazzante

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  3. Caro Silvio,
    ti ringrazio per quello che hai scritto e per le rinnovate perplessità che riservi per Slow Food. In altre occasioni abbiamo parlato di Petrini e tu con grande coerenza mi hai sempre confidato le tue critiche sulla sua storia e sulla sua provenienza, tuttavia mi preme ribadire quello che tu mi hai sempre insegnato con grande umiltà e profondità: il senso e il valore del distacco. Obiettivamente non era mia intenzione comporre con quella citazione finale uno spot pro Slow Food, tantomeno pro Carlin Petrini, pertanto mi scuso se sia passato questo tipo di messaggio. A onor del vero l'idea era quella di un respiro più ampio che sapesse includere il mondo dei Gas, dell'equo solidale e di tante altre esperienze che seppur non richiamandosi direttamente al Manifesto di Slow Food, in una certa maniera e per vie traverse passano da quella riflessione icastica, a mio avviso ben riassunta in quei tre aggettivi: buono, giusto e pulito.

    Sui rapporti tra Slow Food e Gambero Rosso, mi sento di poter dire che adesso, senza particolari rimpianti, tutto si sia separato e anche l'ultima attività editoriale che era in comune, La guida dei Vini, abbia cessato di esistere e Slow Food si sia avvicinata alla Casa Editrice Giunti di Firenze.
    Sulla tua ricostruzione storica di Slow Food avanzo qualche riserva: Ancor prima di ArciGola, il suo embrione è stato "Gli amici del Barolo" (1981), a seguito di una poco felice partecipazione alla Festa dell'Unità a Montalcino durante la quale, a detta dei piemontesi, fu servito un pessimo Brunello. L'esperienza ArciGola (1986) è verissima, ma mi pare opportuno sottolineare come questa organizzazione, legata al Pci, sia stata l'unica che non avesse la sua sede centrale a Roma, bensì a Bra. Nel 1989 nasce a Parigi il movimento internazionale e sottoscrivono il Manifesto altissime personalità, tra queste il nostro caro amico Latouche.. Indubbimaente la macchina è andata avanti e certamente non si può non negare come questa abbia saputo ben infiltrarsi tra i gangli di potere e probabilmente anche adagiarsi sui movimenti di persone poco trasparenti, tuttavia permane indelebile un'intuizione che ha saputo dare un valore aggiunto alla ricchezza della Terra e pienezza di senso al tema della convivialità.

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  4. Caro Silvio,
    ti ringrazio per quello che hai scritto e per le rinnovate perplessità che riservi per Slow Food. In altre occasioni abbiamo parlato di Petrini e tu con grande coerenza mi hai sempre confidato le tue critiche sulla sua storia e sulla sua provenienza, tuttavia mi preme ribadire quello che tu mi hai sempre insegnato con grande umiltà e profondità: il senso e il valore del distacco. Obiettivamente non era mia intenzione comporre con quella citazione finale uno spot pro Slow Food, tantomeno pro Carlin Petrini, pertanto mi scuso se sia passato questo tipo di messaggio. A onor del vero l'idea era quella di un respiro più ampio che sapesse includere il mondo dei Gas, dell'equo solidale e di tante altre esperienze che seppur non richiamandosi direttamente al Manifesto di Slow Food, in una certa maniera e per vie traverse passano da quella riflessione icastica, a mio avviso ben riassunta in quei tre aggettivi: buono, giusto e pulito.
    (...)

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  5. (...)
    Sui rapporti tra Slow Food e Gambero Rosso, mi sento di poter dire che adesso, senza particolari rimpianti, tutto si sia separato e anche l'ultima attività editoriale che era in comune, La guida dei Vini, abbia cessato di esistere e Slow Food si sia avvicinata alla Casa Editrice Giunti di Firenze.
    Sulla tua ricostruzione storica di Slow Food avanzo qualche riserva: Ancor prima di ArciGola, il suo embrione è stato "Gli amici del Barolo" (1981), a seguito di una poco felice partecipazione alla Festa dell'Unità a Montalcino durante la quale, a detta dei piemontesi, fu servito un pessimo Brunello. L'esperienza ArciGola (1986) è verissima, ma mi pare opportuno sottolineare come questa organizzazione, legata al Pci, sia stata l'unica che non avesse la sua sede centrale a Roma, bensì a Bra. Nel 1989 nasce a Parigi il movimento internazionale e sottoscrivono il Manifesto altissime personalità, tra queste il nostro caro amico Latouche.. Indubbimaente la macchina è andata avanti e certamente non si può non negare come questa abbia saputo ben infiltrarsi tra i gangli di potere e probabilmente anche adagiarsi sui movimenti di persone poco trasparenti, tuttavia permane indelebile un'intuizione che ha saputo dare un valore aggiunto alla ricchezza della Terra e pienezza di senso al tema della convivialità.

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  6. Al tempo, al tempo Tommaso, mi cospargo il capo di cenere. Il tuo articolo è chiaro, ha un ampio respiro ed è tutt’ altro che uno spot per Carlin Petrini. Sono io che mi sono soffermato sull’ argomento ‘Slow Food’. Chiarisco allora: condivido molto, forse moltissimo di quello che dice Petrini, ma credo che con la sua condotta qualche confusione di troppo l’ abbia creata. Ti confido poi un’ altra ragione all’ origine delle mie perplessità: nei primi anni di Slow Food ho pianificato gite e visite di città inserendo negli itinerari anche gli indirizzi dell’ Almanacco dei Golosi. Molti però sono stati i motivi di insoddisfazione. E si sa che i golosi delusi finiscono per non essere teneri nei loro giudizi.
    Silvio Cazzante

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