Il 28 aprile si è tenuta a Firenze la prima assemblea nazionale di un
soggetto politico nuovo, che i partecipanti hanno chiamato Alba,
acrostico di ‘Alleanza per Lavoro, Beni comuni e Ambiente’. Tra i fondatori lo
storico Paul Ginsborg, che ha spiegato: “Da anni chiediamo ai
partiti di autoriformarsi. Abbiamo organizzato manifestazioni, dibattiti,
girotondi, appelli ma niente di quello che abbiamo detto è stato ascoltato. E
allora tocca a noi scendere in campo, portando idee e proposte con l’ obiettivo
di unire la sinistra e allo stesso tempo stimolarla a rimettere al centro dell’
attenzione le regole della democrazia e i temi del lavoro e della tutela dei
diritti” (Repubblica, 29.04.2011).
Il manifesto programmatico del
nuovo soggetto era stato pubblicato un mese prima, il 29 marzo, con il titolo
‘Un’ altra politica nelle forme e nelle passioni’. Propone quattro nodi
radicali di rottura e una linea di azione.
I nodi di rottura.
“1. Si rompe con il modello novecentesco del partito,
introducendo nuove regole e pratiche: trasparenza non segretezza, semplicità
non burocrazia, potere distribuito non accentrato, servizio non carrierismo,
eguaglianza di genere non enclave maschili, direzione e coordinamento
collettivo e a rotazione, non di singoli individui carismatici.
2. Si rompe con questo modello neo liberista europeo
che vuole privatizzare a tutti i costi, che non ha alcuna cultura dell’ eguaglianza,
che minaccia a morte lo stato sociale, la dignità e sicurezza del lavoro. Si
insiste invece sulla centralità dei beni comuni, la loro inalienabilità, la
loro gestione democratica e partecipata.
3. Si rompe con la visione ristretta della politica,
tutta concentrata sul parlamento e i partiti. Si lavora invece per un nuovo
spazio pubblico allargato, dove la democrazia rappresentativa e quella
partecipata lavorano insieme, dove la società civile e i bisogni dei cittadini
sono accolti e rispettati.
4. Si riconosce l’ importanza della sfera dei
comportamenti e delle passioni, rompendo con le pratiche mai esplicitate ma
sempre perseguite dal ceto politico attuale: la furbizia, la rivalità, la
voglia di sopraffare, il mirare all’ interesse personale. Al loro posto
mettiamo l’ inclusività, l’ empatia, la mitezza coniugata con la fermezza”.
La proposta di azione.
“Una mobilitazione diffusa e connessa, che non imponga
esclusività di appartenenze e che si ritrovi poi in un primo appuntamento
nazionale.
Inoltre si può pensare che sia positiva la presenza
alle elezioni amministrative di liste di cittadinanza politica che prendano a
riferimento e contribuiscano a costruire questo progetto nazionale. Una rete
orizzontale di rappresentanza che sia radicata nei territori e connotata dagli
elementi di metodo prima indicati: democrazia, governo partecipato dei beni
comuni, etica, nuova cultura delle relazioni. […] Vogliamo costruire un
soggetto che determini una trasformazione complessiva, costruisca anche
alleanze e mediazioni ma con l’ ambizione tutt’ altro che minoritaria di
mettere in campo un’ altra Italia. Di lavorare per un’ altra Europa”.
Redattori del manifesto sono Andrea Bagni, Paul
Ginsborg, Claudio Giorno, Chiara Giunti, Alberto Lucarelli, Ugo Mattei,
Nicoletta Pirotta, Marco Revelli, Massimo Torelli. Tra gli oltre cinquemila che
hanno aderito vi sono Piero Bevilacqua, Paolo Cacciari, Luciano Gallino,
Riccardo Petrella, Stefano Rodotà (con riserva), Guido Viale.
Com’ era prevedibile, a sinistra il dibattito si è
sviluppato vivace, talvolta anche con toni aspri.
Rossana Rossanda, in un fondo intitolato sarcasticamente
‘Benecomunisti che passione', ha trovato eccessiva la critica ai partiti e ha
ricordato come la
Costituzione li consideri “corpi intermedi, mediatori fra
cittadini e stato, luoghi di elaborazione degli interessi diversi di una
società complessa”. Per poi affondare il colpo: “Il ‘nuovo soggetto politico’
non si perde sull’ analisi dello stato e dei poteri forti, politici ed
economici. Né nelle teorie sociali del movimento operaio o, all’ opposto, del
liberismo: le prime neppure le nomina, al secondo i beni comuni, terreno di
convinzione generale, tagliano le unghie. In questo senso il documento di
Firenze presenta una tranquilla riedizione della spontaneità, l’ universalmente
umano bastante a se stesso, che il '68 aveva portato avanti polemicamente ma
adesso, rifiutando assalti al cielo troppo pericolosi, sarebbe in condizione di
attuarsi attraverso una saggia rete di relazioni e consultazione popolare
permanente” (Il Manifesto, 05.04.2012).
Stefano Rodotà ha esposto i motivi della sua
adesione condizionata. Domandando in primo luogo se per radicare un nuovo
soggetto politico sia davvero necessario fare tabula rasa del Novecento, del diritto
borghese, dell’ Europa. Invitando quindi a non buttare via “il compromesso
socialdemocratico e il Welfare State, che non sono riducibili ad una astuzia
del capitalismo, ma sono il risultato del ruolo giocato dai partiti di massa”. E
concludendo così: “Vedo tutti i rischi di una democrazia senza partiti. Vedo
pure quelli di una democrazia progressivamente svuotata dal ridursi della sua
capacità rappresentativa, svincolata da una cittadinanza forte” (Il Manifesto,
12.04.2012).
Il giorno prima dell’ assemblea di Firenze ha parlato Alberto Asor Rosa, con l’ intento di “introdurre
qualche elemento pessimistico nel ragionamento del «Manifesto»”. La democrazia
partecipativa? Attenzione ai suoi eccessi. Non dimentichiamo che in molte
Regioni d’ Italia “se si facesse un referendum sull’ abusivismo vincerebbero
gli abusivisti”. I Comuni come spazio in cui il governo e il cittadino sono più
vicini? Tutt’ altro, spesso sono “i manutengoli degli interessi privati più
sporchi. In casi come questi, oltre che battersi in ogni modo con la denuncia,
bisogna ricorrere in un modo o nell’ altro alle istanze «superiori»: le
Regioni, lo Stato”. Asor Rosa allarga l’ orizzonte: “È fuor di dubbio che siano
fortemente cambiati forme e attori del conflitto. Mi chiedo però fino a che
punto il gigantismo del sistema – la globalizzazione, appunto – abbia tolto di
mezzo il fondamentale antagonismo fra capitale e lavoro: lo ha se mai anch’ esso
ingigantito, a livello planetario. Di questo non c’ è traccia nel «Manifesto»”.
E ricorda “che la radice della nozione di «bene comune» è teologico-cristiana”.
Di Tommaso d’ Aquino, precisamente, “un autore che i «benecomunisti» non amano
citare”. Aggiungendo che nel Catechismo della Chiesa cattolica “la dottrina del
«bene comune» occupa il posto centrale nella conformazione dell’ agire sociale
e pastorale della Chiesa nel mondo”. Stupisce perciò “che il «messaggio» che
esce dal progetto di un «nuovo soggetto politico» sia così vicino a quello
uscito dal Consiglio [sic!] Vaticano II (cui il Catechismo fondamentalmente
attinge)”. C’ è troppa ingenuità, troppa fiducia che un universo di buoni
sentimenti possa prendere il posto delle passioni negative “in cui finora siamo
sventuratamente nati e cresciuti”. Asor Rosa si augura perciò “che non nasca un
«nuovo soggetto politico» su basi così fragili”. Occorre “molta astuta e
consapevolissima cattiveria”, dal momento che
all’ ordine del giorno oggi “c’ è una gigantesca battaglia per la difesa
del «pubblico»”. Un «pubblico» che, “costruito prevalentemente con le lotte di
generazioni e generazioni di cittadini italiani ed europei, è minacciato,
frantumato, reso subalterno da una colossale invasione del «privato»”. Per
questa battaglia, secondo Asor Rosa, “i partiti sono ancora necessari, in
Italia e in Europa” (Il Manifesto, 27.04.2012).
La replica del nuovo soggetto politico è arrivata
il giorno dopo. Marco Revelli ha aperto
la relazione introduttiva all’ assemblea fiorentina dicendo: “Se siamo qui, in
questo sabato di ponte, è perché avvertiamo che non c’ è più tempo: che i pilastri fondamentali che la Costituzione aveva
posto alla base della nostra democrazia – intendo i partiti politici – stanno
sgretolandosi. Rapidamente. E rischiano di trascinare nel loro crollo le stesse
istituzioni repubblicane. Parafrasando il Presidente del Consiglio potremmo
dire che «se siamo qui, è perché gli altri hanno fallito»: e cioè i politici di
professione, i partiti (a cominciare dai più grandi), la ‘politica’ come la
conosciamo dai giornali e della televisione. Non ci fa piacere, ma è così”.
Silvio Cazzante