C’è un comune, in provincia di Sondrio, dove il 7 settembre del 2006, a distanza di 29 anni dall’ultimo lieto evento, è nata una bambina. L’impennata demografica ha fatto salire a 33 il numero dei residenti, con il risultato che Pedesina si è trovata a dover contendere a Mortenone, nella provincia di Lecco, il primato del paese più piccolo d’Italia. Con tanto di sindaco, vicesindaco, 3 assessori e altri 5 consiglieri comunali: un terzo degli abitanti nel municipio. Roba da far impallidire Roccafiorita. Lì, in provincia di Messina, c’è un sindaco, un vicesindaco, 3 assessori, 11 consiglieri e anche il presidente del consiglio comunale. Ma al confronto di Pedesina Roccafiorita, con le sue 254 anime, è una metropoli. Questa è l’Italia.
C’è poi un comune, in provincia di Bergamo, che di abitanti ne ha addirittura 2.021 e dove andava in ritiro il Milan di Nereo Rocco. Ma oltre al sindaco, 4 assessori e una dozzina di consiglieri comunali, Selvino ha pure una società municipalizzata. In miniatura: un dirigente, 4 impiegati e 3 operai. Otto, tante quante sono le poltroncine della Amias servizi. Quella del presidente Magoni Flavio, del suo vice Grigis Claudio, del consigliere semplice Grigis Simone, dei tre sindaci effettivi e dei due supplenti. E meno male che nel 2008 l’assessore al bilancio Grigis Enrico ha dato via libera alla fusione nella Amias Servizi di una seconda aziendina comunale, la Amias Infrastrutture srl. Eliminando in questo modo altre 6 poltroncine, cominciando da quella dell’amministratore unico Grigis Vinicio. Di che cosa si occupa questa società che il Comune di Servino controlla al 100%? Elettricità e acqua. Nel 2007 ha fatto investimenti per 162.000 euro: 900 metri di cavi interrati, un nuovo interruttore «di manovra», un collegamento di 500 metri tra due cabine elettriche, 524 metri di linea idrica e qualche energica potatura alla vegetazione. Il bilancio si è chiuso con un utile di 7.246 euro e una certezza: «con la gestione dei nuovi servizi affidati al comune si conferma per Amias Servizi una realtà operativa di più ampio respiro sia in termini di redditività che di competitività». Auguri.
Dalla provincia di Bergamo a quella di Brescia. A 28 km in linea d’aria da Selvino c’è Provaglio d’Iseo. Dove un giorno di fine 2004 si devono essere detti: «ci meritiamo di più». Il Sindaco Giuseppina Martinelli allora è andata a Brescia dal notaio Bruno Bertazzoli e ha firmato l’atto costitutivo nientemeno che di una società per azioni. 81 pagine. Dentro c’è scritto che la Ags, Azienda global service spa, così è stata pomposamente battezzata, può fare di tutto: asfaltare le strade, tenere in ordine le aiuole, dar da mangiare agli scolari, pulire i viali. Anche qui 8 dipendenti (a dar retta ai dati della Camera di commercio) e 8 poltroncine. Con un’aspirazione: non essere più una «succursale» del Comune. Anche questa è l’Italia. Il Paese dove i campanili sono diventati spa. Un fenomeno che la Corte dei Conti non ha esitato a definire patologico. La requisitoria del procuratore generale Furio Pasqualucci sul rendiconto 2007 dello Stato, nel capitolo messo a punto dal suo vice Giovanni Saviano, va giù pesante. «Dall’energia all’ambiente, dai trasporti pubblici ai mercati comunali, dalla refezione scolastica agli aeroporti, ma anche dagli acquedotti ai depuratori, dai musei alle farmacie, si è formata una moltitudine di società comunali. E ciò attraverso un processo incontrollato iniziato nella metà degli anni novanta, durante il quale le ex municipalizzate sono state esternalizzate e rese autonome rispetto ai bilanci dei comuni. È indubbio che la progressiva finanziarizzazione dei patrimoni comunali rappresenta un trend verso nuove figure moderne, anche se talora grigie e ambigue, perché utili agli amministratori di nomina politica per eludere i controlli sia di legalità che di efficienza, manifestandosi come fonte inesausta di pratiche nepotistiche, se non di corruttela. » Giudizi probabilmente esagerati. In ogni caso non generalizzabili. Ma che comunque non si possono liquidare facendo spallucce. Anche perché, sostiene la Corte dei Conti, «al netto dei contributi erogati dagli enti locali, dallo Stato e dall’Unione europea il totale dei bilanci delle società controllate si sarebbe chiuso [nel 2005, nda] con una perdita di 975 milioni di euro» anziché nell’utile ufficialmente registrato di un miliardo e mezzo. Soldi che tiriamo fuori noi.
Le imprese che gestiscono linee di autobus, tram, ferrovie e metropolitane, non potrebbero campare in mancanza dei trasferimenti degli enti locali. Senza soffermarsi sui casi limite di alcune città del Sud, dove le aziende di trasporto pubblico locale sono scassate al punto che i biglietti e gli abbonamenti non bastano a pagare tre mesi di stipendio del personale, basta guardare quello che succede a Roma e Milano. La verifica condotta nel 2008 dalla Ragioneria generale dello Stato sui conti del Campidoglio ha accertato che per far andare avanti le aziende di trasporto, Veltroni ha dovuto anticipare negli anni, indebitandosi, 738milioni di euro: l’equivalente di 1248 miliardi di lire. Trambus, azienda di trasporto presieduta dall’ex sindacalista ed ex sottosegretario al lavoro della Cisl Raffaele Morese, ha avuto dal comune anticipazioni per 569 milioni. Altri 111 milioni sono stati garantiti a Met.Ro e 58 all’Atac. Nel 2006 Trambus ha chiuso il bilancio con un deficit di 4 milioni e mezzo.
Sergio Rizzo (2009) , RAPACI – Il disastroso ritorno dello Stato nell’economia italiana, Milano, Rizzoli.
L’Atm, l’azienda di trasporto del Comune di Milano presieduta dall’ex amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Elio Catania, ha denunciato un utile di 3 milioni. Risultati contabilmente non troppo differenti, a parte il segno, considerate le dimensioni delle due aziende: 8599 dipendenti per l’Atm, 8692 per Trambus. Differenze non trascurabili, invece, nel fatturato: 534milioni per Trambus, 725 per l’Atm. Entrambi determinati nei rispettivi volumi da cospicue entrate derivanti da contratti di servizio con gli enti locali: i biglietti e gli abbonamenti non coprono che una fetta prossima al 40% dei ricavi, e quindi anche dei costi. A Milano però questa voce ha fatto incassare all’azienda di trasporto circa il 35% in più che a Roma. E Milano ha la metà degli abitanti.
Sergio Rizzo (2009) , RAPACI – Il disastroso ritorno dello Stato nell’economia italiana, Milano, Rizzoli.
Redazione avete deciso di farci prendere male con questa roba :)) ????
RispondiEliminaPRIMA PARTE
RispondiEliminaL’ estratto del libro di Rizzo proposto dalla redazione mi pare un invito a proseguire, con un orizzonte più ampio, la discussione sull’ Unione dei comuni. Unione che, a mio avviso, presta il fianco a due critiche corpose. Primo: non riduce il numero di poltrone. Continueranno a esserci nel Valdarno aretino dieci sindaci, dieci giunte e dieci consigli comunali. E continueranno a esserci comuni con molto territorio e pochi abitanti, comuni con molti abitanti e poco territorio, comuni con poco territorio e pochi abitanti. Secondo: l’ Unione allontanerà i cittadini dai luoghi e dagli organi delle decisioni. Immagino già il mantra del sindaco debole di turno: ”io non l’ avrei voluto, ma l’ hanno deciso gli altri e non ci ho potuto fare niente”. Apprezzo la chiarezza di Katia Faleppi quando dice – cito da Valdarnopost del 29 marzo – che “un ente come l’ Unione dei comuni finirebbe per esautorare, da certe decisioni amministrative importanti, i singoli consigli comunali, che sono poi gli organi rappresentativi dei cittadini”. Il corredo genetico dell’ Unione è il medesimo della riforma elettorale che ci stanno confezionando i tre porcellini A-B-C.
A dirla poi tutta, non mi convince neanche l’ idea del comune unico. Ho fatto due calcoli: avremmo un comune di 95.000 abitanti e 569 km2. Il quinto della Toscana per popolazione, dopo Firenze, Prato, Livorno e Arezzo, e di gran lunga il primo per superficie, davanti a Grosseto e Arezzo, staccatissime con 474 km2 e 386 km2. Questo comune però non consisterebbe di una realtà urbana unica e definita nella sua identità, bensì di dieci campanili sparsi e assai diversi tra loro. E per quanto il Piano di Indirizzo Territoriale della Regione veda l’ intera Toscana come ‘città policentrica e dinamicamente reticolare’, mi sembra che la Valdarnia da più parti auspicata avrebbe non pochi problemi di organizzazione e di funzionamento. Penso per esempio alla difficoltà di redigere un piano strutturale e un regolamento urbanistico in un territorio così multiforme, dove si passa dalla montagna del Pratomagno all’ altopiano sotto la Sette Ponti, quindi a una fascia collinare, alla valle dell’ Arno, per poi risalire verso colline e monti diversi dai precedenti. Per di più temo che il comune unico non porterebbe affatto a una diminuzione di poltrone: per la sua ampiezza e articolazione finirebbe per avere, con qualche aiutino legislativo, dieci consigli di circoscrizione coincidenti con gli attuali comuni, ciascuno con un presidente-sindaco e un consiglio.
Più proficuo, invece, mi sembra procedere ad alcune fusioni fra comuni che facciano venir meno le attuali anomalie demografiche e territoriali, dando origine a nuove realtà di 20-40.000 abitanti. Una dimensione cioè tale da conservare la facilità dei processi partecipativi e nel contempo permettere sensibili economie di scala, migliorabili ulteriormente attraverso gestioni associate di servizi.
SECONDA PARTE
RispondiEliminaA proposito infine di partecipazione. Si va verso tempi sempre più duri, che richiederanno particolare oculatezza nella gestione delle risorse economiche. Opportunamente Ettore Ciancico ha scritto che si augura nel nostro comune (ma il discorso è generale) “un forte taglio alle spese, nessun ulteriore aumento delle tasse, un fortissimo impegno sul recupero dell’ evasione fiscale, una revisione delle tariffe per i servizi ai cittadini in senso progressivo” (VdM, 25.03.2012). Ettore ora sorriderà e mi rimbrotterà per il mio scetticismo, ma io temo che così non sarà. E che anzi la crisi renderà ancora più appetibile la mucca pubblica. Toccherà allora ai cittadini attuare un controllo assiduo e feroce su ogni delibera e su ogni impegno di spesa, diventando sempre più protagonisti della vita della polis. Ma perché ciò sia possibile, sindaco giunta e consiglio devono rimanere a portata di voce e – mi si passi la battuta – di forcone. Cosa che non sarebbe in un’ Unione dei comuni o in un comune unico che comprendesse l’ intero Valdarno aretino.
Silvio Cazzante
Una battuta sul tema generale. Tante volte si tratta solo di cialtronaggine e delirio di onnipotenza. Purtroppo.
RispondiEliminaA Silvio, anche io temo che così non sarà. Daltronde fra poche ore sapremo e ognuno ne trarrà le sue conseguenze.
Quello che mi rattrista e che mi fa incazzare è che a' da passa' a nuttata. Grande colpa delle forze politiche di maggioranza e di quelle di opposizione.