Il negoziato sulla riforma del mercato del lavoro è ormai entrato nel vivo ed entro Marzo il governo dovrebbe licenziare un provvedimento atteso da molti anni. I sindacati hanno più volte sottolineato che la trattativa è partita a tutti gli effetti e in questi ultimi giorni lo stesso negoziato sembra essere entrato in una fase di stallo. Le critiche da parte sindacale (ma anche da Confindustria) non sono mancate, ma il governo è deciso ad andare avanti sulla disciplina dei licenziamenti e sulla riforma degli ammortizzatori sociali e quindi i nodi più importanti da sciogliere per arrivare ad un accordo saranno questi.
MENO FORME CONTRATTUALI MA PIU' LIBERTA' DI LICENZIAMENTO
Su un punto sembrano tutti d'accordo: la riduzione delle forme contrattuali oggi previste. Il ministro Fornero infatti ha più volte reso chiara la sua volontà di disboscare l'attuale giungla contrattuale e di incidere dunque sulla flessibilità in entrata e dare più stabilità ai posti di lavoro. Questa intenzione tuttavia, fa il paio con le ripetute posizioni sui licenziamenti. Sin dall'inizio della trattativa le dichiarazioni di diversi ministri e dello stesso Monti, hanno troppe volte posto l'accento anche sulla flessibilità in uscita e sulla disciplina del licenziamento. Il governo quindi pare voler dire: “riduciamo le forme contrattuali e gli abusi per facilitare assunzioni più stabili (vedi finte partite iva e co.co.pro,...) ma bisogna concedere qualcosa sulla libertà di licenziamento”.
Di fatto si punta a facilitare maggiormente il licenziamento di tipo economico, in linea con ciò che ci viene chiesto sempre più frequentemente dalle istituzioni europee e dai c.d. mercati. Lo stesso entusiasmo di Monti per la riforma varata in Spagna dal nuovo governo Rajoi ne è una conferma. Si vuole intervenire sia sui licenziamenti collettivi che su quelli individuali. Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi le attuali norme e la loro applicazione giurisprudenziale in materia, permettono già oggi alle aziende di poter ridurre personale, basta che ci sia una comprovata difficoltà economica e un percorso di consultazione sindacale. Il problema, una volta accertato l'esubero di personale, è quello della scelta dei lavoratori da licenziare da individuare in sede di consultazione sindacale. Il governo proporrà sicuramente di fissare per legge criteri di scelta di tipo economico e tecnico-produttivi limitando quelli di natura sociale come i carichi di famiglia o l'anzianità. In questa prospettiva il ruolo del sindacato verrà sicuramente limitato a favore di una maggiore libertà economica delle imprese. Sui licenziamenti individuali si tratta invece di capire se per ritenere un licenziamento legittimo, basti dimostrare la scarsa produttività o redditività di un singolo lavoratore. Probabilmente si cercherà di specificare maggiormente i casi e gli indici che giustificano un licenziamento, limitando quindi anche il potere della magistratura del lavoro che attualmente può valutare se una scarsa produttività individuale giustifichi o meno un licenziamento secondo una sua valutazione discrezionale. Questo è certamente un tema delicato perché dietro questi nuovi indici potrebbero nascondersi licenziamenti al limite della legittimità. Si pensi ad esempio ai lavoratori con gravi problemi di salute o che si ammalano più degli altri, alle donne che hanno carichi di famiglia o ai lavoratori più combattivi che scioperano maggiormente. Su questi due punti, parti sociali e governo, potrebbero spaccarsi facilmente, poiché il tema può incidere non solo sulla dignità del lavoro, ma anche sul ruolo del sindacato e della contrattazione collettiva nella gestione delle crisi aziendali.
IL NODO DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI
Altro tema su cui il negoziato si è già bloccato è quello della riforma degli ammortizzatori sociali.
Il governo ne propone infatti una riforma radicale per proteggere i lavoratori che oggi lo sono meno. Ma ha più volte dichiarato che questa riforma verrà fatta a costo zero, perché si sa, le risorse sono scarse e il pareggio di bilancio incombe su tutti noi. Propone quindi di eliminare la cassa integrazione straordinaria (CIGS), quella cioè che viene richiesta delle aziende in crisi strutturale e duratura, mantenere la cassa integrazione ordinaria (CIGO) per crisi temporanee e costruire gradualmente un sistema di disoccupazione universale per tutti. Punta dunque ad ampliare la platea dei beneficiari ma senza risorse aggiuntive. Eliminare la CIGS e puntare tutto sui sussidi di disoccupazione, vuol dire anche in questo caso facilitare i licenziamenti, visto che un lavoratore in cassa integrazione non è licenziato dall'azienda ma solo sospeso in attesa della ristrutturazione o di una riconversione dell'impresa in crisi. Certo, spesso la CIGS è stata utilizzata solo per dare speranze ai lavoratori di riprendere la propria attività che poi non si sono tradotte in nuovi progetti industriali e tutto ciò con un dispendio esagerato di risorse pubbliche. Ma ciò è accaduto e accade perché in Italia la politica industriale non si è mai fatta sul serio. Questa è molto carente o addirittura assente anche nei settori maggiormente in crisi. E' chiaro che la CIGS senza una politica industriale adeguata crea inefficienze e sprechi, ma quello che il mondo del lavoro, compreso il sindacato, chiede da anni è proprio di potenziare gli strumenti di attivazione e attuazione di politiche industriali, soprattutto in un momento di crisi economica. Non si capisce perché per estendere le tutele anche a settori e lavoratori che per anni sono stati vergognosamente esclusi, bisogna eliminare strumenti di tutela ideati per dare continuità di reddito e strumenti per attivare interventi di politica economica. Il punto dunque è quello delle risorse che il governo metterà sul tavolo e soprattutto quanto sarà la quota a carico della fiscalità generale per garantire ai lavoratori contributi figurativi in caso di disoccupazione. Sia i sindacati che Confindustria hanno fatto sapere che se si vuole estendere le tutele, non si può intervenire solo operando una redistribuzione senza un investimento ulteriore. Vorrei far notare che con la durissima riforma delle pensioni ci è stato detto che le risorse risparmiate sarebbero state investite per dare più protezioni ai giovani e ai precari. E allora perché non investire quei risparmi per estendere sussidi di disoccupazione a chi oggi non ne ha (co.co.pro, apprendisti, occasionali,...) e costruire gradualmente un sistema universale di sostegno al reddito, senza per forza eliminare la CIGS?
Le divisioni sono molte e già giovedì i sindacati hanno fatto sapere che sugli ammortizzatori sociali non sono disposti ad assistere ad ulteriori tagli, mentre il governo ha parlato di un'attuazione graduale. Anche sui licenziamenti le posizioni non sono facili da mitigare e sarà difficile individuare nello specifico come una minore flessibilità in entrata possa essere compensata con maggiore flessibilità in uscita.
Andrea D.M.