martedì 19 ottobre 2010

Santoro e dintorni. L’informazione in tv

Colgo lo spunto offerto dalla never ending story tra Michele Santoro e la dirigenza RAI per riflettere ad alta voce sull’informazione in tv. Argomento quanto mai d’attualità, di fatto un vero e proprio evergreen che si ripropone in maniera seriale indipendentemente dal giornalista di turno: Luttazzi, Santoro oppure Biagi, poco importa.
Ammetto la mia colpa, prima di procedere oltre, dichiarando di non essere un appassionato fruitore dei salotti televisivi dediti all’informazione e all’approfondimento. Della televisione, mezzo di comunicazione che frequento spesso sia per ragioni di lavoro che per motivato e sincero interesse, preferisco altri generi. Confesso, inoltre, di non credere nel ‘buono’ e nel ‘cattivo’ giornalismo, in questa facile e quanto mai fuorviante dicotomia. Piuttosto credo nella ‘buona’ e nella ‘cattiva’ fede di chi il giornalismo lo fa davvero. Inoltre, cerco di ricordarmi che informare vuol dire ‘dare forma’ e che se anche esistono i fatti, sono le interpretazioni dei fatti e le ricostruzioni offerte a dare forma e sostanza al giornalismo, che sia in tv, sul web o sulla carta stampata.
Fatte queste premesse, si può facilmente osservare che da qualche tempo l’informazione in tv è diventata più ‘spettacolare’, una nuova forma di intrattenimento assai spesso violenta: non a caso si va strutturando un nuovo genere dal nome curioso di infotainment, che fonde insieme informazione e intrattenimento. Le liti, le urla, gli insulti, addirittura le botte (così come tanti silenzi colpevoli), sono sotto gli occhi di tutti e non hanno bisogno di essere commentati. Sono d’accordo con quanti, Santoro incluso, ritengono che il giornalismo in tv sia degradato (e degradante): lo spettacolo e la spettacolarizzazione, appunto, hanno preso il posto dell’argomentazione e dell’approfondimento; alla parola si sono sostituiti gli slogan (spesso aggressivi e violenti).
Mi sento però di aggiungere, come ci ricorda il Vangelo, «scagli la prima pietra, chi è senza peccato».
Vorrei inoltre ricordare che alcuni anni fa, il politologo fiorentino Giovanni Sartori in un suo celebre libro (Homo Videns, Laterza, 1997) ha fortemente sostenuto la tesi che la televisione sta distruggendo la nostra capacità critica e di giudizio affermando che, all’homo sapiens, quello in grado di riflettere, rielaborare e quindi comprendere le cose del mondo, si sta sostituendo l’homo videns: una nuova specie legata alle immagini e quindi alla superficie (e conseguentemente alla superficialità) nonché alla scarsa capacità di rielaborazione critica.
Forse la televisione, nonostante le sempre più frequenti edizioni dei telegiornali, le più o meno viste e discusse trasmissioni di approfondimento, da Annozero a Porta a Porta, passando per Report, Matrix, l’Infedele, Terra e OttoeMezzo (e tutte le altre che non ricordo o non conosco), non è il luogo più indicato per l’informazione e soprattutto per l’approfondimento. Ma per fortuna, come si sa, la televisione non è l’unico medium nel quale è presente l’informazione, né quello più influente.
Torniamo però a Santoro. Dall’alto del suo pulpito catodico, tra le molte cose dette durante la sua ultima diretta tv cercando di difendere la qualità del servizio pubblico ha affermato: «Voi [il pubblico, e cioè potenzialmente noi tutti] avete diritto a non vedere i vostri cervelli ridotti ad un’unica marmellata televisiva» riferendosi agli altri programmi e alle altre trasmissioni televisive. Grandi applausi sono seguiti a questo proclama.
Qualcosa in quella frase mi ha disturbato profondamente. Quella parola ‘diritto’ (sempre usata in maniera strumentale) mi ha offerto lo spunto per rileggere quella ‘cosa’ spesso dimenticata che è il contratto di servizio, e cioè il contratto che viene stipulato tra il Ministero dello Sviluppo Economico e la RAI. Un corposo testo dove si parla, tra le altre cose, di quelli che dovrebbero essere i principi ispiratori del giornalismo (perlomeno nel servizio pubblico) tra i quali «obiettività, completezza, imparzialità e lealtà dell’informazione» (bozza triennio 2010-2012). Tanti sono i diritti dei telespettatori sanciti in quel testo. Assente una responsabilità: la nostra, quella del pubblico. Una responsabilità esercitabile nelle forme più diverse che è il vero elemento di garanzia della libertà dell’informazione.
Così mi sono ricordato di un’altro pregiudizio, uno antico e fortemente radicato nel mondo degli intellettuali italiani. Quello di dire sempre, ad ogni costo, anche senza conoscerla, che la televisione ‘fa schifo’, e che il pubblico televisivo non è in grado di capire da solo le cose. “Se stai con me, avrai l’informazione e l’approfondimento, contro di me preparati a diventare marmellata”.
A me questa sembra violenza bella e buona. Mi sembra inoltre fazioso e poco rispettoso nei confronti del proprio pubblico (qualcuno dovrebbe ricordarsi di essere lui stesso un giornalista televisivo!)
Allora mi permetto di suggerire a quanti si sono persi tra i vari provvedimenti disciplinari, sospensioni, arbitrati interni e ricorsi al giudice ordinario, a quanti stanno ricostruendo questa vicenda passo per passo, dichiarazione dopo dichiarazione, che abbiamo un altro fondamentale diritto. Quello, banalmente, di spengere la televisione o cambiare canale. Un diritto intrinsecamente collegato a quella nostra responsabilità di telespettatori, cittadini, di donne e uomini liberi; alla faccia di chi, da una parte e dall’altra, continua a volerci dire che cosa dovremmo pensare.

F.C.

6 commenti:

  1. Complimenti per l'articolo davvero ben argomentato e arricchito di spunti interessanti, tuttavia non ho ben capito la sottile distinzione tra "buono e cattivo giornalismo" e l'essere in buona o cattiva fede. Mi spego meglio: l'ormai acclarato genere giornalistico denominato "Metodo Boffo" risponde al cattivo giornalismo o alla buona fede dei servitori nei confronti dei proprietari dei luoghi d'informazione?

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  2. Salve, di cose da dire sull'informazione nel nostro paese ce ne sarebbero tante !!!!
    Mi limito a dirne alcune:

    1) Annozero, per quanto non lo segua particolarmente, è un programma di approfondimento che tratta certe tematiche, con un contraddittorio che può apparire più o meno paritario ma comunque un contraddittorio. Chiaramente il conduttore è politicamente schierato ma non scordiamoci che su Rai1 ormai da anni c'è Bruno Vespa e anche lui mi sembra politicamente schierato. L'informazione secondo me su una rete pubblica deve essere il più possibile pluralista. Che poi certe espressioni di Santoro siano di dubbio gusto è scontato, ma credo che a volte le sue provocazioni colpiscano e richiamino l'attenzione.

    2) Sul contratto di servizio Rai lasciamo perdere, perchè mi chiedo perchè esista ancora un canone ??? dov'è il servizio pubblico ??? io non lo vedo, non vedo cosa la Rai faccia di diverso da Sky o Mediaset !!!!!

    3) Che dire allora di Emilio Fede (o studio aperto)... tanti dicono "è una tv privata!!!". Vero ma è anche una TV che occupa abusivamente frequenze acquistate da altri e fa pura propaganda politica a spese dei contribuenti. Ci costa giusto giusto 350.000 euro al giorno come multa dell'unione europea. Se il Governo non sposterà Rete 4 sul satellite gli italiani alla fine del suo prossimo glorioso quinquennio pagheranno circa UN MILIARDO di euro di multa, considerando gli arretrati.
    Allora mi chiedo perchè quest'argomento è Tabu ... perchè non è il primo argomento di tutti i telegiornali .... perchè non è uno scandalo come la villa di Montecarlo... forse perchè di buon giornalismo oggi ce n'è rimasto davvero poco!!!!

    3) un ultima notazione sui Quotidiani che sono la giusta appendice della disinformazione televisiva. Non capisco perchè continuano a farceli pagare in edicola, con tutti i finanziamenti che ricevono dal governo e che vengono dalle nostre tasse credo che li abbiamo già abbondantemente pagati.

    Io dai mezzi di informazioni non mi aspetto notizie "neutre", sarebbe stupido e infantile ma mi aspetto informazioni non distorte. Ma soprattutto mi aspetto che certe notizie me le diano invece di tenerle belle nascoste, perchè magari io posso trovarle in altri posti ma molte persone NO !!!

    Leonardo Migliorini

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  3. Caro Tommaso, sei sempre sottile, ma credo di non essere in grado di rispondere alla tua domanda, anche perché la risposta te la sei data da solo. Ribadisco che non credo che si tratti di una distinzione sottile, e aggiungo che la buona fede, di per sé, non basta a fare bene il giornalista (bada bene non ho detto 'buon giornalismo') però è un suo elemento imprescindibile. Credo che sarebbe fondamentale 1) essere consapevoli delle proprie posizioni di principio (e cioè i valori che ci muovono nella ricerca della 'verità giornalistica' e nella ricostruzione dei fatti; 2) dichiarare i propri presupposti di valore ai propri lettori/ascoltatori, in modo tale che insieme alla ricostruzione dei fatti vengano offerti anche gli 'antidoti' per meglio comprendere cioè che si legge/ascolta....

    Sul commento di Leonardo faccio una sola precisazione: lungi da me attaccare Santoro, non me ne frega granché (detto sinceramente).La mia intenzione era fare emergere una contraddizione e ricordare come gli ascoltatori/lettori siano ancora pensati come una massa di deficienti. Che questo sia vero o meno, questo di pende da noi, ecco perché mi sta a cuore il tema della responsabilità dello spettatore.
    Hai ragione anche per quanto riguarda l'abbonamento: ci sono servizi pubblici nel resto del mondo che non usano questa formula ma hanno individuato altre modalità di finanziamento. Si, perché l'autonomia finanziaria, purtroppo, è ancora un elemento imprescindibile.
    Puntualizzo un punto: il servizio pubblico italiano, unico nel panorama europeo, è sempre stato 'spartito' tra i gruppi di potere molto prima dell'arrivo di Silvio Berlusconi. I tre canali nazionali (come si chiamavano all'epoca) erano suddivisi tra le diverse forze politiche. La logica era appunto quella della spartizione.
    Ora mi domando: è ancora questa la nostra concezione del pluralismo dell'informazione?....Spero di no perché il concetto di pluralismo è molto più ampio dell'idea della verità della politica (verità di partito).
    Detto tutto questo, credo che sia un bene che ci sia la RAI, proprio perché grazie a qualche dirigente illuminato (non quelli di oggi!) c'è ancora un rimasuglio di vera pluralità e apertura verso la diversità, che altrove, non si trova.

    F.C.

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  4. Caro Tommaso, sei sempre sottile, ma credo di non essere in grado di rispondere alla tua domanda, anche perché la risposta te la sei data da solo. Ribadisco che non credo che si tratti di una distinzione sottile, e aggiungo che la buona fede, di per sé, non basta a fare bene il giornalista (bada bene non ho detto 'buon giornalismo') però è un suo elemento imprescindibile. Credo che sarebbe fondamentale 1) essere consapevoli delle proprie posizioni di principio (e cioè i valori che ci muovono nella ricerca della 'verità giornalistica' e nella ricostruzione dei fatti; 2) dichiarare i propri presupposti di valore ai propri lettori/ascoltatori, in modo tale che insieme alla ricostruzione dei fatti vengano offerti anche gli 'antidoti' per meglio comprendere cioè che si legge/ascolta....

    Sul commento di Leonardo faccio una sola precisazione: lungi da me attaccare Santoro, non me ne frega granché (detto sinceramente).La mia intenzione era fare emergere una contraddizione e ricordare come gli ascoltatori/lettori siano ancora pensati come una massa di deficienti. Che questo sia vero o meno, questo di pende da noi, ecco perché mi sta a cuore il tema della responsabilità dello spettatore.
    Hai ragione anche per quanto riguarda l'abbonamento: ci sono servizi pubblici nel resto del mondo che non usano questa formula ma hanno individuato altre modalità di finanziamento. Si, perché l'autonomia finanziaria, purtroppo, è ancora un elemento imprescindibile.
    Puntualizzo un punto: il servizio pubblico italiano, unico nel panorama europeo, è sempre stato 'spartito' tra i gruppi di potere molto prima dell'arrivo di Silvio Berlusconi. I tre canali nazionali (come si chiamavano all'epoca) erano suddivisi tra le diverse forze politiche. La logica era appunto quella della spartizione.
    Ora mi domando: è ancora questa la nostra concezione del pluralismo dell'informazione?....Spero di no perché il concetto di pluralismo è molto più ampio dell'idea della verità della politica (verità di partito).
    Detto tutto questo, credo che sia un bene che ci sia la RAI, proprio perché grazie a qualche dirigente illuminato (non quelli di oggi!) c'è ancora un rimasuglio di vera pluralità e apertura verso la diversità, che altrove, non si trova.
    F.C.

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  5. Toglietemi tutto ma non il mio sacrosanto diritto a spengere la TV e andare a letto presto!
    Andrea

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  6. non siamo soliti rinvigorire con post vecchi articoli, ma stamani leggevo questa pagina e mi è sembrata interessante:

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/10/28/santoro-mantiene-vespa/73989/

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