martedì 30 marzo 2010

Art. 48. Quando votare era un dovere civico

Nel suo interessante libro, La paura e la Speranza, il Ministro Tremonti scrisse che se un paese come la Moldavia ha un tasso di crescita economica annua pari al 10 % è un miracolo economico, se accade per uno stato come la Cina c'è qualcosa di preoccupante. Politologicamente mi sentirei di mutuare questa considerazione in questi termini: se un partito cresce da una consultazione elettorale all'altra di oltre 5 punti percentuali su tutto il territorio nazionale, indistintamente, è un interessante case study per la scienza politica, se a crescere in quelle proporzioni è l'astensionismo c'è qualcosa di preoccupante. Lo stesso politologo di chiara fama internazionale, Roberto D'Alimonte, ha sottolineato come il dato non sia un allineamento dei comportamenti elettorali agli standard tipici delle democrazie occidentale, ma un elemento sul quale è doveroso riflettere, ancor prima di stabilire chi abbia vinto e chi abbia perso. Indubbiamente nelle prossime settimane ci soffermeremo sull'analisi dei voti validi e su quei numeri che hanno deciso le partite tuttavia, non soltanto perchè ancora le bocce non sono completamente ferme, ci pare significativo soffermare l'attenzione su questa impennata del fenomeno dell'astensione che ha segnato le competizioni di tutte le regioni. Nessuna regione ha tenuto la soglia del 70% dei votanti e in tre province del centro nord (Sondrio, Belluno e Genova), si è scesi per la prima volta sotto il 60 %. Mediamente ogni regione ha subito un calo di partecipazione pari a 9 punti percentuali con espressioni che attestano come questa disaffezione verso le urne sia sempre più marcata al centro-nord. In Toscana si è passati dal 71,3 % del 2005 al 61 % di ieri. Cifra tonda che almeno qui non può esser liquidata con la mancata presentazione di liste, pertanto si può concludere che le cause siano davvero gravi e probabilmente queste vadano oltre le semplici dichiarazioni di cosmesi. Le motivazioni sono plurime e complesse, tuttavia provare a discuterne insieme se non è un modo per abbassare l'astensionismo, è comunque il nostro tentativo per dimostrare un certo rispetto e attaccamento verso la cosa pubblica, indipendentemente dalla partecipazione o meno alla consultazione elettorale.

Tommaso

martedì 23 marzo 2010

Piatto del giorno: Carla Bruni.

Allora.. oggi abbiamo: l'inchiesta di Trani e quella di Bari, il Tar del Lazio e il Csm, il Presidente della Repubblica e quello del Consiglio, Annozero, Porta a Porta, Ballarò e il Tg1 con Santoro, Vespa, Floris e Minzolini. Non volete niente di tutto questo? Beh, meno male che c'è Carla Bruni.. Perché a un certo punto è giusto che anche i nostri lettori possano evadere dalla perdurante tristezza delle vicende nazionali per trovare ristoro nelle (dis)avventure di vip e celebrità all'estero. Simone Cristicchi docet* (http://www.youtube.com/watch?v=bf8garFP8dU). Et voilà..

Carlà (www.carlabruni.com) è la cantautrice, modella italiana naturalizzata francese, attuale moglie del Presidente della Repubblica Francese Nicolas Sarkozy (fresco di tracollo elettorale alle Regionali, ndr). Figlia dell'industriale e compositore Alberto Bruni Tedeschi (anche se tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008, molti mezzi d' informazione hanno dato spazio alle dichiarazioni dell'imprenditore torinese Maurizio Remmert, il quale sostiene di essere il vero padre di Carla) e della pianista e attrice Marisa Borini, sorella dell'attrice Valeria Bruni Tedeschi e cugina di secondo grado della ballerina e attrice Alessandra Martines. Come potete facilmente constatare voi stessi, una famiglia che affonda le proprie radici nell'arte.

Carla cresce tra Torino e Parigi, dopo un periodo di studi presso scuole private in Svizzera ritorna in Francia per iscriversi alla facoltà di architettura alla Sorbona, che però lascia a 19 anni per diventare una modella.

Negli anni '90 diventa una delle dive più famose e pagate al mondo. All'apice del successo come indossatrice esce dal mondo della moda per dedicarsi all'altra sua grande passione: la musica. Inizia la carriera da solista nel 2002 con l'album Quelqu'un m'a dit, che è anche il titolo della canzone dedicata al figlio Raphael (http://www.youtube.com/watch?v=UfCnLTsGgcQ) avuto con il compagno di allora, Raphael Entoven, filosofo. Il disco ottiene un grande successo, soprattutto in Francia. Ne seguono un secondo e un terzo. Il ricavato delle vendite di quest'ultimo è devoluto in beneficenza.

Carla si è impegnata attivamente per impedire l'estradizione dalla Francia all'Italia della brigatista Marina Petrella (http://it.wikipedia.org/wiki/Marina_Petrella), già condannata in Italia all'ergastolo per l'omicidio di un agente di polizia, tentato sequestro e tentato omicidio, sequestro di un magistrato, rapina a mano armata e vari attentati.

Secondo la stampa brasiliana è intervenuta presso il Ministro della Giustizia brasiliano a favore della decisione di concedere asilo politico all'ex-terrorista Cesare Battisti. Ma la notizia è stata pubblicamente smentita durante la trasmissione condotta da Fabio Fazio “Che tempo che fa”, nella puntata del 25 gennaio 2009 (http://www.youtube.com/watch?v=woeHPNdAAOM&feature=fvw).

Il 10 novembre 2008 Carla si dichiara felice di essere francese, in seguito alla battuta del solito italico giullare sul neoeletto Presidente USA: "Obama è giovane, bello e anche abbronzato". Subito le ha replicato il senatore a vita (e anche dopo, forse) Cossiga affermando: ".. Siamo ben lieti che Carla Bruni non sia più italiana..” (http://quotidianonet.ilsole24ore.com/politica/2008/11/09/131337-carla_bruni_obama_abbronzato.shtml). A chi si riferisse con quel “siamo” l'audace Francesco, non s'è ancora capito bene.

Per chi fare il tifo? Per una bella donna che ha fatto la super-modella, una cantautrice che ha venduto dischi, che ha saputo mettere a frutto i propri talenti e la propria bellezza? O per uno “sgualcito” e stagionato (non me ne voglia il caro Francesco, non è una faccenda personale, solo un dato di fatto) senatore a vita (e anche dopo, forse) che consiglia al governo italiano il manganello per “educare” i giovani (http://www.youtube.com/watch?v=Q7WvLwmgqn4)?

Ognuno scelga da che parte stare esprimendo la propria preferenza, nel frattempo se Carlà volesse tornare Carla in cambio di un Cossiga qualunque da regalare alla Francia...

Contando sul fatto che il “piatto” sia stato di vostro gradimento, speriamo di potervi allietare con altre storie alla prima occasione possibile: una nuova legge ad-personam, un politico corrotto, uno scandalo sessuale primaverile, un intrigante intreccio tra mafia e stato..

Quanto prima, come potete immaginare.

NOTA* La verità è come il vetro: è trasparente se non è appannato. E per nascondere quello che c’è dietro basta aprire bocca e dargli fiato..

Emmanuele


martedì 16 marzo 2010

I cattolici in politica: ha da passa’ ‘a nuttata

Diciotto anni dall’ inizio di tangentopoli, un tempo a cavallo fra cronaca e storia. Certamente un tempo che non è stato tenero verso la Democrazia Cristiana di allora. La chiamavano ‘balena bianca’: occupava il centro della vita politica, accoglieva, mediava, distribuiva potere ed era financo capace di conservare a sé quei pochi che si provavano veramente a dare quotidiana testimonianza di vita evangelica. Con la sua scomparsa i cattolici hanno perso il riferimento unitario in politica. Non necessariamente questo era un male, ricordando quanto Paolo VI aveva scritto nella lettera apostolica Octogesima adveniens: “nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi”. Alla perdita di unità è però seguita una perdita di identità. Da soli o in piccoli gruppi i politici cattolici hanno chiesto ospitalità a tutti i partiti che potessero assicurare, se non il potere, almeno un minimo di visibilità, toccando nel loro esodo registri comici, tragici e grotteschi.

Come definire, se non comico, il matrimonio d’ interesse con gli ex comunisti consumato nel Partito Democratico? Davvero qualcuno confidava di amalgamare due visioni del mondo che si sono sempre poste come alternative l’ una all’ altra e che ancora nel 2005 si sono asperrimamente scontrate sul tema della fecondazione artificiale? Davvero qualcuno credeva che i D’Alema, i Fassino, i Veltroni riconoscessero pari dignità ai cattolici nella nuova compagine? L’ esito è stato paradossale: il partito sconfitto dalla caduta del muro e della dittatura sovietica, grazie al parziale imbellettamento della Bolognina, ha fagocitato chi lo aveva vinto. Per di più senza soverchia fatica, vista la prontezza con cui gli eredi di De Gasperi, timorosi di rimanere esclusi da un sistema diventato nel frattempo bipolare, si sono svenduti agli epigoni di Togliatti.
Tragica invece, senza mezzi termini, è la condizione dei cattolici nel Pdl. Prostràti, volenti o nolenti, in adorazione di un vitello d’ oro, sedicente unto del Signore, impegnato a smantellare giorno dopo giorno i fondamenti dello stato di diritto e della democrazia. Nessun segno di disagio nel condividere l’ inginocchiatoio con la crema dei piduisti. Non un gesto, né una parola, in difesa dei valori di solidarietà e di accoglienza proclamati da Nostro Signore.

Grottesca infine è la condizione del terzo polo, rappresentato dall’ Udc. Un partito che, per meglio accreditarsi presso l’ altra sponda del Tevere, si è affrancato dalla tutela di Mr. B. e ha provato a porsi nuovamente al centro, rivendicando una peculiare consonanza con i valori cristiani. Salvo poi riproporre senza vergogna alcuna la politica dei due forni, secondo il vecchio costume del “o Franza, o Spagna, purché se magna”. Una politica che, già ai tempi di Craxi che la praticò con ancora maggiore spregiudicatezza, mi riportava a quanto Procopio di Cesarea scriveva dell’ imperatrice Teodora, la quale, non paga di godere con tre orifizi, “rimproverava alla natura di non avere provveduto il suo seno di un’ apertura più ampia, così da poter escogitare anche in tale sede un’ altra forma di copula”.

Chi legge mi chiederà a questo punto: “Ma cosa avrebbero potuto o dovuto fare i cattolici?”. Molte cose, rispondo, e ne cito tre.

1) Avrebbero potuto seguire l’ invito rivolto loro da Don Dossetti nel 1994 in occasione della commemorazione di Giuseppe Lazzati. L’ invito cioè a “perseguire lealmente - in tanto baccanale dell’ esteriore - l’assoluto primato della interiorità, dell’ uomo interiore”, a “mirare non a una presenza dei cristiani nelle realtà temporali e alla loro consistenza numerica e al loro peso politico, ma a una ricostruzione delle coscienze e del loro peso interiore, che potrà poi, per intima coerenza e adeguato sviluppo creativo, esprimersi con un peso culturale e finalmente sociale e politico”.

2) Certamente avrebbero dovuto rispondere all’ esortazione che il Cardinale Martini lanciò un anno dopo, nel 1995, in occasione del discorso di Sant’ Ambrogio, quando indicò alcuni dei pericoli di fronte ai quali “la Chiesa non deve tacere perché è in gioco la sopravvivenza dell’ ethos politico”. Tra questi: “un atteggiamento che contesta la funzione dello Stato nella tutela dei più deboli e alla fine mette a rischio lo stesso patto sociale che sottostà alla Costituzione, a vantaggio di assetti contrattuali più facili a piegarsi alle convenienze e alle maggioranze del momento”; “una logica decisionistica che non rispetta le esigenze di una paziente maturazione del consenso o che cerca di estorcerlo con il plebiscito generalizzato o si illude di operare col sondaggio dei desideri”; “un liberismo utilitaristico [...] che eleva il profitto e l’ efficienza o la competitività a fine, subordinando ad essa le ragioni della solidarietà”.

3) Se poi qualcuno fosse stato animato in tutto se stesso dalla vocazione a una testimonianza militante, avrebbe potuto eleggere a luogo del suo impegno la realtà comunale. Quella realtà cioè in cui maggiori sono le possibilità di rendere il proprio servizio e ascoltare i cittadini, e per contro minori sono le opportunità di gratificazione economica e di esercizio del potere. Quella realtà in cui vi è ancora spazio per liste civiche non legate ai partiti del palazzo, che altrimenti finirebbero per teleguidare e richiamare alla discpilina i propri soldatini.
Niente di tutto questo è avvenuto. “E compatta ancora sale sul mondo la Notte” (D.M. Turoldo).

Silvio Cazzante

martedì 9 marzo 2010

Decreto "interpretativo"???

Raramente rimaniamo due settimane consecutive sul solito argomento, soprattutto se non si tratta di politica e realtà locali. Ma la questione è interessante e dibattuta. E troppo curiosa per non aggiornare il blog al susseguirsi degli eventi.
Venerdì scorso il governo ha emanato un decreto legge al fine dare un’ interpretazione autentica della normativa e così garantire l'ammissione al voto delle liste escluse dalle elezioni regionali. E’ stato chiamato Decreto Interpretativo: cerchiamo di capire perché questo nome bizzarro e cosa significa.
Mi sono aiutato rispolverando i manuali di diritto costituzionale e navigando un po’ su internet. Ogni contributo è chiaramente ben accetto.
Partiamo dall’ABC: cos’è un Decreto Legge?
Un Decreto Legge è un provvedimento provvisorio avente forza di legge, adottato in casi straordinari di necessità ed urgenza dal Governo, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione.
Si parla di “casi straordinari ed urgenti” perché il potere legislativo, a dispetto di come la pensa qualcuno, appartiene al Parlamento e non al Governo.
Il Decreto Legge è inoltre provvisorio poiché perde efficacia se il Parlamento non lo “converte” in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione.
Fin qui, tutto semplice. Ma cosa succede dopo i sessanta giorni?
Se il Parlamento converte in legge il decreto del governo tutto liscio. Nel caso in cui non fosse convertito in legge dal Parlamento il Decreto perderebbe di efficacia, con effetto retroattivo. In teoria quindi, se il Decreto Legge decade tutto ciò che è stato compiuto a norma dello stesso è come se mancasse di base legale. Paradossale e pericoloso, ma c’è un paracadute: una Legge sanatoria degli effetti del Decreto Legge decaduto. Oppure una serie concatenata di Decreti Legge fotocopia che prorogano gli effetti dello stesso per dare tempo al parlamento di legiferare.
Dai miei studi politologici ricordavo (e ricordavo bene, perché ho ricontrollato) che l’articolo 72 della Costituzione esclude la possibilità che il Governo legiferi attraverso decreti legge su materie elettorali. È forse per questo che è stato chiamato Decreto interpretativo?
Riporto da wikipedia:
Per giustificare il provvedimento, da ambienti governativi e della maggioranza si è fatto riferimento come precedente alla legge 29 marzo 1995, n. 90, che spostava in avanti di due giorni i termini (non ancora scaduti) per la presentazione delle liste, accorciando la campagna elettorale. Tale decreto Dini non fu convertito in legge perché, intervenendo a procedimento già aperto, fu ritenuto incostituzionale da tutti i gruppi parlamentari; venne invece approvata per via parlamentare una leggina di sanatoria, la n. 102/1995. In tale occasione il centrodestra si mostrò compattamente contrario al decreto, nel rispetto intransigente della normativa puntuale.

Casi straordinari, necessità, urgenza… Ma un panino al tonno che urgenza è?

Francesco


martedì 2 marzo 2010

Un polverone per la Polverini

La vicenda dell'esclusione della lista del Pdl nella circoscrizione provinciale di Roma per le prossime elezioni regionali sta suscitando inevitabili polemiche e gli strascichi non si stanno limitando a coinvolgere solamente i dirigenti locali di partito, ma i richiami ad una corretta prassi democratica si sono spinti fino a toccare il Presidente della Repubblica. Indubbiamente la dinamica si è fatta ingarbugliata e senza una precisa e completa ricostruzione dei fatti appare pressoché impossibile intravedere quali saranno gli scenari futuri, tuttavia il presente dibattito ci ripropone ancora una volta il valore delle regole del gioco e quale sia il vero significato della democrazia. Difatti, ci si chiede con enfasi e coinvolgimento, se possano essere democratiche quelle consultazioni che non permettano alla maggiore minoranza di una popolazione elettorale di poter scegliere il proprio partito? Alla stessa maniera si potrebbe obiettare su quali basi democratiche si sorreggerebbero quelle elezioni che nascono da un mancato rispetto della prassi procedurale?

Nonostante questa vicenda non ci tocchi direttamente, ci è sembrato opportuno non voltarsi dall'altra parte, ma proporre un tema che, seppur uscendo dai confini della nostra regione, ci interpella direttamente come cittadini. La burocrazia non uccida la democrazia – dicono da destra, Il rispetto della democrazia passa anche dalla burocrazia – dicono gli altri. Il tema è spinoso e pungente perchè, al di là degli interessi in gioco (che sono tanti), non è una sottigliezza morotea pensare che per garantire la democrazia si debba andare in deroga alla democrazia stessa. Fino a dove arriva la forma? Ma sopratutto, le regole sono sostanza? Indubbiamente le regole elettorali sono poste a garanzia delle “pari opportunità” e un aggiramento di queste rappresenterebbe una lesione non secondaria allo Stato di diritto, eppure una consultazione senza la presenza di una lista del calibro della Pdl sarebbe un vero “vulnus”democratico. Per sgombrare il campo da equivoci, il Capo dello Stato c'entra quanto il cavolo a merenda, perchè in materia elettorale non ha alcuna competenza e coinvolgerlo con l'auspicio che un suo intervento possa essere determinante per il rispetto dei principi costituzionali appare alquanto fuori luogo.

La vicenda è complessa e a mio modesto parere ci potrebbero essere gli estremi per una riammissione della lista solamente se chi di dovere dimostrasse l'esistenza di fatti accaduti al fine di impedire oggettivamente la presentazione della documentazione richiesta dal Tribunale competente. Altri spiragli francamente non li intravedo. Sarà il polverone...

Tommaso