martedì 30 giugno 2009

Il 21 giugno è stato un referendum sul referendum?


Il mancato raggiungimento del quorum ha invalidato l’esito della consultazione referendaria. A ben guardare, al colpo di aver perso un’opportunità per poter sgrassare il ”Porcellum” sembra si stia aggiungendo il contraccolpo che il referendum non abbia più senso. Niente di più sciocco. Ciononostante la legge Calderoli era una porcata e rimane una porcata, tuttavia misconoscere il valore civile e democratico dell’istituto referendario è una perniciosa convinzione che deve esser ribaltata con l’impegno e il chiaro intento di voler adattare l’art. 75 della Costituzione alle nuove esigenze dei tempi, affinché questo strumento di partecipazione possa tornare a navigare acque tranquille e non imbarcare critiche e clamorosi insuccessi ogni qualvolta viene abbandonato in mare aperto. Dopotutto la realtà dei fatti è simile alla concezione leopardiana de “Il Sabato del villaggio”: un eccitante entusiasmo nelle operazioni preliminari (anche questa volta furono raccolte 1 milione di firme), “pien di speme e di gioia, diman tristezza e noia”. Non tornerò nelle cause dell’astensionismo perché Francesco le ha affrontate con acribia e puntualità, ciò nondimeno è opportuno spostare la nostra lente d’ingrandimento su altri sintomi che attestino lo stato comatoso del referendum. Mi permetto di aggiungere alcune brevi considerazioni a quello che è stato brillantemente scritto in questo blog. Il primo referendum si tenne il 12 maggio 1974 e riguardò un tema di grande presa popolare, il divorzio, mentre la sua regolamentazione risale addirittura al 1970 (Governo Colombo-Andreotti). E’ vero che Andreotti e Colombo sono ancora lì, però un po’ di tempo è passato e sopratutto da quando anche l’Italia vola sulle ali della democrazia dell’alternanza, nessun referendum ha superato l’ostacolo del quorum. Questa è la mia analisi. Primo elemento: rivedere questo istituto alla luce del nuovo sistema politico. Secondo punto: ormai l’astensionismo cronico veleggia verso il 40% e l’andamento sembra non aver raggiunto ancora il suo picco pertanto con questi chiari di luna il NO non ha più senso poiché basta spostare poco più di un 10 % degli aventi diritto nella colonna degli astenuti e il gioco è fatto. Terza questione: porcata o non porcata sembra che ormai alcuni partiti appartenenti a famiglie politiche riconosciute a livello europeo e con una tradizione culturale dall’alto spessore storico non riescano più ad accedere alle assemblee della Rappresentanza. Inoltre, a soggetti che escono vi è una nuova germinazione di movimenti che scalpita per partecipare e non perché estranea alla logica dei partiti, debba esser esclusa dal percorso decisionale della politica. E’ un dato che deve far riflettere e poiché se è vero che questo effetto sia il successo di una minore radicalizzazione dei voti, c’è anche da dire che una democrazia come la nostra non può rimanere indifferente al grido di dolore di quelle forze che hanno contribuito alla rinascita civile e democratica di questo Paese. Alla luce di quanto sopra, ho colto con interesse il disegno costituzionale dei senatori ADAMO, CECCANTI…… di cui Atto Senato della Repubblica n. 1092. Con la presente proposta si vorrebbe proporre limiti più rigorosi per l’esercizio del referendum e quindi elevare il numero dei Consigli Regionali o degli elettori che possono fare richiesta. Per i primi si passerebbe da cinque a dieci, mentre per i secondi da cinquecentomila ad un milione. Ad una procedura aggravata per accedere all’istituto corrisponde un adeguamento alla partecipazione attiva per quanto attiene all’individuazione del quorum. Se il Costituente aveva intravisto in una mobilitazione totale la soglia del 50 % + 1 come indiscutibile limite democratico, le esigenze dei tempi debbono far riflettere sul reale numero dei partecipanti, pertanto la soglia proposta sarebbe quella de “la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni”. Per intenderci, il meccanismo ricalcherebbe l’impianto normativo dello statuto regionale toscano in materia referendaria (Art. 74, comma 4). A ciò si aggiunge un altro aggiustamento: la regolamentazione del referendum propositivo. In sostanza, questo ulteriore strumento di partecipazione avrebbe competenza sulle stesse materie dell’abrogativo e questa modifica all’art. 71 della Costituzione prevedrebbe che se ne possa far richiesta ogni qual volta le Camere non approvassero, entro diciotto mesi dalla sua presentazione, un progetto d’iniziativa popolare. In quel caso un milione di elettori potrebbe richiedere che quell’iniziativa popolare fosse sottoposta a referendum propositivo. Anche in questo caso l’esito della consultazione sarebbe recepito dall’ordinamento se la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni si recasse alle urne e ovviamente se i Sì prevalessero sui No. A mio avviso questa cornice teorica potrebbe essere un interessante ripensamento del referendum, in linea con le modifiche che stanno apportando le altre democrazie in materia referendaria (nel 2008 la Francia ha introdotto il referendum propositivo), ma soprattutto un serio tentativo per arginare la falla che rischia seriamente di far affondare la partecipazione diretta in Italia.

Tommaso

2 commenti:

  1. Tommaso scrive: “porcata o non porcata sembra che ormai alcuni partiti appartenenti a famiglie politiche riconosciute a livello europeo e con una tradizione culturale dall’alto spessore storico non riescano più ad accedere alle assemblee della Rappresentanza”.
    Niente di più vero. Ma quello che mi chiedo io è: Sono le regole del gioco (leggi elettorali) a doversi adattare alle caratteristiche dei partiti o sono questi ultimi a dover interpretare al meglio queste regole?
    Perché se è vero che una buona legge elettorale dovrebbe garantire rappresentanza a tutti i cittadini, è vero anche che i partiti dovrebbero essere in grado di aggregare gli interessi dei loro elettori di riferimento e fare di tutto perché questi siano rappresentati nel miglior modo possibile.
    Che la legge elettorale per il Parlamento nazionale sia una porcata siamo praticamente tutti d’accordo e che quella per il Parlamento europeo non sia perfetta anche.
    Ma siamo davvero convinti che i piccoli e litigiosi partiti rimasti fuori dai due parlamenti siano esenti da colpe? Vengono prima l’esasperata difesa di alcune identità o gli interesse di milioni di elettori?

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  2. Esatto.. Basti pensare a come è andata tra Sinistra e Libertà e Rifondazione.. Per andare separati hanno mandato in fumo 7 % di consensi..

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