martedì 15 aprile 2014

martedì 8 aprile 2014

Il digestore anaerobico di Podere Rota (seconda puntata)

A distanza di un mese torno sull'argomento, peraltro di estrema attualità, perchè sono fortunosamente riuscito ad avere un CD con il progetto del digestore di Podere Rota, documentazione “pubblica” che però non si riesce a scaricare dal sito della Provincia. 
Ho deciso di analizzarlo e di mettere la mia esperienza di ingegnere impiantista al servizio dei valdarnesi.   Ho esaminato solo una parte dell'imponente mole di documenti (13 pagine solo l'indice) ed ho prodotto una relazione sintetica con le osservazioni fino ad oggi, che ho inviato all'amministrazione comunale di Terranuova, ai consiglieri di opposizione, alla SEI Toscana, agli amici, compresa la VdM, e che invierò a chiunque me ne faccia richiesta.

Sulla base di documenti ufficiali si confermano, anzi si rafforzano, le posizioni espresse un mese fa e si può essere più precisi nei numeri, ma soprattutto si possono fare ulteriori clamorose considerazioni.
Rinviando per i dettagli alla relazione e limitandosi agli aspetti più rilevanti, emerge che:

  • L'impianto, progettato per smaltire 30.000 t/a di umido, produrrà a sua volta rifiuti solidi e liquidi per 26.000 t/a
  • Al netto dei consumi interni fornirà meno di 4.000 MWh/anno con un rendimento energetico utile di circa il 3,8% dell'energia dei rifuti in ingresso
  • Il piano finanziario riporta come unico ricavo il conferimento del FORSU a 120 euro/tonn
  • Nel caso di rottura accidentale del mantello del digestore (5800 metri cubi di massa batterica in fermentazione) si rischierebbe un grave inquinamento del bacino dell'Arno a valle di San Giovanni.
In conclusione:

  • Si tratta di un impianto che smaltisce solo il 14% dei rifiuti entranti e produce pochissima energia elettrica.
  • Oltre al pesante impatto paesaggistico ed odorigeno locale, l'impianto porterebbe anche un grave rischio ambientale per la Toscana.
  • Nei dati economici c'è la premessa per un sensibile aumento del costo di conferimento RSU da parte dei comuni interessati (più che doppio).  Altrimenti il costo dell'impianto non avrebbe adeguato ritorno economico. 
Ne conseguirebbe un analogo aumento del costo ai cittadini. Ne vale la pena?

Paolo Dinelli

martedì 1 aprile 2014

lavoce.info: Purtroppo rimarremo provinciali

Il ddl approvato dal Senato non abolisce affatto le province. Si limita a svuotarle senza stabilire a chi andranno le loro funzioni, ripetendo gli errori del federalismo. Difficile superare i 150 milioni di risparmi. E le città metropolitane sono già quindici.
NON ABOLISCE LE PROVINCE
Contrariamente a quanto proclamato da molti titoli di giornali, giovedì non abbiamo affatto dato l’addio alle province. Il disegno di legge approvato col voto di fiducia al Senato (dovrà adesso tornare alla Camera) non abolisce le province. Non poteva essere altrimenti dato che per farlo era necessaria una riforma costituzionale. Vero che la proposta di riforma del Titolo V della Costituzione, presentata assieme alla legge ordinaria a settembre 2013, si è persa nei meandri della Camera e ora è stata assorbita nella nuova proposta di abolizione del Senato. Speriamo di sprovincializzarci prima della fine della legislatura. Nel frattempo il disegno di legge appena approvato si limita a svuotare le province, a renderle più leggere, togliendo loro cariche (e compensi) direttivi. Come sempre nelle riforme incompiute, ilrischio di rimanere a metà del guado, o meglio a mezz’aria, con province più leggere, acefale e svuotate di competenze, ma di fatto immortali, non va sottovalutato.

RISPARMI MODESTI
Per le ragioni di cui sopra, il testo approvato al Senato genera pochi risparmi. Né dipendenti né funzioni delle ex province scompaiono e, di conseguenza, non scompaiono neanche i costi relativi, la stragrande maggioranza delle spese di questo livello di governo. E siccome le province rimangono in vita, anche se la dirigenza politica è ora espressa in modo indiretto, non si riducono neanche le spese di rappresentanza degli altri enti territoriali e del governo presso le province. Quello che si risparmia con certezza è solo il finanziamento degli organi istituzionali (le indennità del presidente, assessori e consiglieri e i vari rimborsi connessi alle loro attività), che vengono aboliti, insieme alle spese delle relative consultazioni elettorali. Il finanziamento degli organi istituzionali è una partita di circa 110 milioni secondo gli ultimi dati disponibili. Non verrà azzerata dati i costi dei nuovi organi delle città metropolitane. Le consultazioni elettorali costano circa 320 milioni e si tengono ogni cinque anni, dunque il risparmio annuale è di circa 60 milioni, in totale i risparmi saranno attorno ai 150 milioni di euro. Meglio che nulla, ma certo non è una cifra particolarmente significativa su una spesa pubblica complessiva di circa 800 miliardi di euro. E non si tiene conto del fatto che la legge aumenta il numero di consiglieri comunali (vedi sotto): il Governo si è impegnato a rendere questa operazione a costo zero, ma è difficile aumentare le cariche senza aumentare le spese.

LE CITTÀ METROPOLITANE
Vengono istituite nove città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria) sulla base di criteri interamente politiciNessun riferimento alla struttura urbana, come dimostra il caso di Reggio Calabria. A queste si aggiungono Roma capitale e le cinque già istituite dalle Regioni a statuto autonomo (Palermo, Messina, Catania, Cagliari e Trieste). Il problema è che la legge, mentre non pone i paletti di criteri oggettivi sulla base dei quali fondare lo status di città metropolitane, apre la possibilità di istituire altre città metropolitane. Gioco facile, ad esempio, per Padova o Verona sostenere che se Venezia è citta metropolitana, loro hanno molte più ragioni per diventarlo. Il rischio è che molte province (non solo i capoluoghi di Regione!) cambino solo denominazione trasformandosi in città metropolitane. Del resto, il territorio e le risorse finanziarie delle nuove città metropolitane coincidono con quelli delle vecchie province. Al contempo, regna grande la confusione su quali saranno le competenze dei nuovi enti locali, dunque forte il rischio di creare nuove sovrapposizioni (o conflitti) di competenze, come quello di dare nuove funzioni senza risorse adeguate. In tutta la legge approvata al Senato non c’è alcun tentativo di definire le funzioni più appropriate da allocare ai vari livelli di governo, e le risorse di cui dotarli, esattamente lo stesso errore compiuto nel costruire il“federalismo” al contrario negli ultimi venti anni.
L’unica nota positiva è che ci sono state risparmiate le città metropolitane “ciambelle” delle versioni precedenti del disegno di legge; non è più possibile per gruppi di comuni, magari strategicamente piazzati nel mezzo dei nuovi territori, decidere di andarsene e tenersi le vecchie province.

LE UNIONI DI COMUNI
Il testo varato dal Senato, infine, istituzionalizza e definisce anche le unioni di comuni (e le convenzioni), con sindaci e consiglieri dei comuni sottostanti che diventano, in parte, presidenti e membri del comitato e del consiglio dell’unione. Una scelta che può essere condivisibile per i comuni di piccoli dimensioni (il 75 per cento degli oltre 8mila comuni italiani ha meno di 5mila abitanti), che non hanno la dimensione sufficiente per offrire in modo efficiente i servizi. Con la riforma, la dimensione minima delle unioni dovrebbe raggiungere i 10mila abitanti (3mila per le comunità montane). Bene, ma perché non si è avuto il coraggio di andare più a fondo? Visto che per i piccoli comuni la gestione di tutti i servizi fondamentali in forma associata diventa obbligatoria, non si capisce bene perché non prevederne direttamente la fusione. Oppure lasciare ai comuni sottostanti meramente una funzione di rappresentanza. Invece, la legge prevede un incremento (rispetto a quanto definito dal Governo Monti) degli assessori, fino a quattro per i comuni dai 1000 fino ai 10mila abitanti, sia pure “senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”. Vedremo quanto sarà vero. Si tratta di circa 25mila cariche in più. Lavoreranno tutti gratis? O gli altri consiglieri si faranno un’autoriduzione dei loro compensi?

UNA LEGGE RINVIO
In sostanza, quella approvata al Senato è una legge rinvio. Rinvia l’abolizione delle province e rinvia il riordino di funzioni e risorse fra i livelli di governo che dovrebbe sostituire i precedenti. Mentre il rinvio sul primo aspetto era inevitabile, non lo è sul secondo. Perché, ad esempio, non si è previsto che, una volta abolite le province sul piano costituzionale, tutte lefunzioni e risorse passassero direttamente all’ente di governo di livello superiore, cioè leRegioni? Queste ultime, a loro volta, avrebbero potuto decidere come delegare funzioni e risorse: a proprie suddivisioni amministrative o alle nuove unioni di comuni previste dalla stessa legge. In attesa della riforma costituzionale, si poteva adottare qualche semplice criterio forfettario deciso dal Governo, basato sul costo storico delle funzioni rimaste alle province, per suddividere le risorse tra provincia e Regione, a cui potevano essere attribuite per default le funzioni non lasciate alle province. Ma il sospetto è che, anche in questo caso, sulla razionalità delle scelte abbia prevalso la fretta di poter esibire qualche trofeo e di giustificare agli occhi della Consulta il blocco delle elezioni dei consigli provinciali.

articolo di Tito Boeri pubblicato il 28.03.2014 su www.lavoce.info

mercoledì 26 marzo 2014

Tre questioni per la Lista civica Terranuova in Comune

La lista, con tanto di simbolo, era stata presentata a fine gennaio, proprio a ridosso delle primarie del Centro sinistra, ma sono stati necessari altri 30 giorni di riflessioni (o “trattative”) per individuare il nome del candidato Sindaco. La sintesi è stata trovata nella figura di Simone Nocentini, medico vicedirettore della centrale operativa del 118 all’ospedale del Valdarno che ha dato avvio alla campagna elettorale presentandosi come “il vero nuovo” (articolo su ValdarnoPost).
Il nome stesso della lista (che cambia di nuovo rispetto a tutte le altre “civiche” puntualmente nate e altrettanto puntualmente morte a cadenza quinquennale) la scelta del colore dominante nel simbolo (rosso acceso, come non era mai stato per nessun’altra lista civica) e quella del candidato, danno già un' idea di quanto Terranuova in Comune voglia provare a differenziarsi anche dalle pregresse esperienze. Non fosse altro per la speranza di sfatare un tabù: quello della vittoria elettorale.

Destra o Sinistra? La questione dell’area politica
Ma è un vantaggio o uno svantaggio essere una lista senza alcun richiamo evidente e diretto ad una forza politica di livello nazionale?
Ci sono diverse scuole di pensiero in merito: da chi pensa che una lista civica possa al massimo aspirare ad una “dignitosa sconfitta”, a chi ritiene che al giorno d’oggi più si prendono le distanze dai partiti e meglio è, fino a chi sostiene che le civiche abbiano enormi vantaggi solo in caso di eventuale ballottaggio, per la ragionevole supposizione di poter rappresentare con maggior probabilità “la meno peggio” tra i gusti degli elettori delle liste rimaste escluse al secondo turno (evento non verificabile a Terranuova in quanto paese con meno di 15.000 abitanti).
 In sintesi, non avere un’area definita di riferimento è un handicap perché disorienta l’elettore e non può beneficiare dei voti degli “aficionados a prescindere” (quelli che votano il proprio partito sempre e comunque)  ma può allo stesso tempo aspirare ad ottenere preferenze da tutti i delusi, da destra a sinistra (e questo può essere un bel jolly).
Tantissimo però dipende dal contesto in cui questa lista si presenta.
Nel caso terranuovese, non presentandosi ai nastri di partenza nessun partito di centro-destra, è ovvio che automaticamente la lista civica TERRANUOVA IN COMUNE diventa il riferimento naturale degli elettori di quell’area. Se poi aggiungiamo che alcuni esponenti di area di centro-destra sono comunque attivi e presenti all’interno della nuova compagine è del tutto evidente che la lista, seppur civica, un’area precisa da cui pescare i voti ce l’ha.
Con ogni probabilità gli elettori terranuovesi di centro destra guarderanno con interesse alla lista civica, anche se quel rosso acceso del simbolo li potrebbe spiazzare (ma allo stesso tempo incuriosire qualcuno dall’altra parte).
Ma la domanda rimane: sarà un vantaggio o uno svantaggio essere una lista senza alcun richiamo evidente e diretto ad una forza politica di livello nazionale?

La questione “tempo”
E’ un parere personale, ma temo che il tempo non giochi a favore della neonata TIC. Una lista che nasce a soli tre mesi dalle elezioni difficilmente può riuscire a far completa chiarezza sulla propria proposta politica.
Non basta avere al proprio interno figure che hanno fatto percorsi politici chiari e convergenti; Terranuova in Comune fino a due mesi fa non esisteva e non ha avuto modo di combattere alcuna battaglia politica come soggetto unitario. Bastano tre mesi di vita per candidarsi a vincere le elezioni?

La questione della “continuità”
Terranuova in Comune non è la prima lista Civica del nostro paese. Prima VIT, poi TerraNuova NuovaTerra, poi Lista Pasquini.
Liste molto diverse tra loro ma tutte accomunate dal fatto di non essere state in grado di dare continuità alla loro esperienza politica. Ogni volta si è disfatto tutto e ricominciato daccapo. In alcuni casi mollando anche un po’ la presa per quanto riguarda l’attività di opposizione in Consiglio comunale, specie nel finire delle legislature.
Insomma, le liste civiche fino ad oggi sembrano andare in difficoltà nel lungo periodo. Terranuova in Comune sarà in grado di durare nel tempo? 


Francesco N.

mercoledì 12 marzo 2014

Un lavapiatti e la nuova legge elettorale

La cronaca mi arriva per lo più attraverso Rainews24, che ascolto – anzi orecchio – mentre lavo le stoviglie (attività scelta, nella ripartizione delle  competenze domestiche, proprio per conservarmi momenti minimi di informazione). Chiedo perciò indulgenza se le domande che suscita in me il cosiddetto Italicum non volano alto ma rimangono al livello, appunto, di un lavapiatti. Un lavapiatti toscano, compagno ideale del bracciante lucano, del pastore abruzzese  e della casalinga di Treviso che già hanno popolato  i sogni di Nanni Moretti.
1) Perché non la chiamano ‘legge doppia truffa’? La sinistra non ha mai perso occasione per definire ‘legge truffa’ la legge elettorale del 1953, voluta da De Gasperi, che prevedeva l’ assegnazione del 65% dei seggi al partito o alla coalizione che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi. Chi otteneva la maggioranza assoluta, cioè, veniva premiato con un bonus che al massimo poteva ammontare al 30% dei voti ricevuti (il 15% di 630 deputati equivale infatti al 30% di 315+1 deputati). Non era poco, ma in fin dei conti si trattava di un riconoscimento a chi aveva già raggiunto la maggioranza assoluta ed era comunque in condizioni di governare. Se oggi gli eredi di quella stessa sinistra scelgono un marchingegno con il quale basta arrivare una maggioranza relativa del 37% per venire catapultati a una maggioranza assoluta del 52%, coerenza vorrebbe che lo chiamassero ‘legge doppia truffa’: in primo luogo perché sarebbe assicurata la maggioranza assoluta a chi non l’ ha raggiunta; in secondo perché il premio cosiddetto di governabilità potrebbe arrivare al 40% dei voti ricevuti (percentuale corrispondente all’ incremento dal 37% al 52% dei seggi).
2) Perché il sistema dovrebbe essere bipolare? I corifei di Renzi e Berlusconi ci dicono che la società italiana si rispecchia in un sistema bipolare. Eppure i risultati delle ultime elezioni li smentiscono. Si sono formati infatti tre poli – centrosinistra, centrodestra e Movimento 5 Stelle –, due dei quali hanno poi trovato un accordo e hanno cominciato a governare.
3) Ma lo sanno che non esiste il vincolo di mandato? Gli stessi corifei, consci di zoppicare sulla questione del bipolarismo, insistono e cavillano: al termine dello spoglio dei voti i cittadini hanno il diritto di sapere chi li governerà. Dimenticano però che deputati e senatori non sono soggetti a vincolo di mandato e possono in ogni momento ritirare o concedere la propria fiducia, prescindendo dai programmi cui hanno aderito. Come del resto negli ultimi anni abbiamo più volte constatato, vuoi al termine di travagliate riflessioni personali, vuoi a seguito di più spicce campagne acquisti.
4) Perché le liste bloccate? Nel referendum del 1991 gli italiani hanno votato per la preferenza unica. Perché allora non mantenerla? O, in seconda battuta: se proprio liste bloccate devono essere, perché non definirle attraverso le primarie, una volta dettate regole per la democrazia interna dei partiti?
5) Perché pensano solo a se stessi? È palese che Renzi, Berlusconi e i nanetti di complemento vogliono definire regole a misura di partiti. Come se questi fossero lo strumento esclusivo per dare rappresentanza ai cittadini in Parlamento. E come se non esistesse una società che sempre più chiede partecipazione, trasparenza, controllo, rendicontazione. Una società di persone divenute consapevoli che servire alla mensa della Caritas non basta, che occorre entrare nelle istituzioni perché l’ impegno per il bene comune possa moltiplicare l’ efficacia e generare processi di solidarietà collettiva. Nel modello di Renzi e Berlusconi queste persone dovrebbero bussare alle porte dei partiti, che le accoglierebbero con grandi lodi e dosi ancor più grandi di anestetico. Una politica vera invece le metterebbe in condizione di presentarsi agli elettori senza handicap di partenza. La domanda da porre, allora, è quale sia il sistema che meglio consenta a un candidato di cercare un rapporto diretto con i cittadini e a questi ultimi di controllare l’ operato degli eletti. Io direi, tutto sommato, il sistema maggioritario uninominale (senza entrare in ulteriori specifiche, che non muterebbero la sostanza del ragionamento). Immagino che renziani e berlusconiani non siano d’ accordo e preferiscano tenersi stretti proporzionale, liste bloccate e collegi plurinominali. Mai non fosse che venissero sfidati da un bracciante lucano, da un pastore abruzzese, da una casalinga di Treviso! Sto pensando male? Ne possiamo discutere, se vogliono. A condizione però che mi aiutino a lavare i piatti.

Silvio Cazzante

martedì 4 marzo 2014

Il digestore anaerobico di Podere Rota

Sono in molti a lamentare la mancata pubblicazione, da parte della Provincia di Arezzo, dei documenti della Valutazione di Impatto Ambientale, dopo 30 giorni dalla approvazione del progetto, già rubati ai 60 concessi per formulare commenti.
Anche io sono curioso di vedere come saranno realizzati i digestori, recipienti da 10.000 a 20.000 metri cubi di massa liquida (Vedi Nota) con i batteri che “mangiano” i rifiuti e producono metano (risparmio il termine scurrile che però renderebe meglio il concetto). Questa “broda” sarebbe a stento contenuta da 5 a 10 piscine olimpioniche.

In attesa dei documenti ufficiali le mie considerazioni sono basate sui soli due numeri certi, ricavati dal sito Internet della Soc. SEI e presentati nell'incontro con la popolazione del 5 febbraio:  l'impianto “digerirà” 30.000 tonnellate/anno di FORSU (Frazione Organica da Rifiuti Solidi Urbani) e produrrà 11.500.000 kWh tra energia elettrica e termica.
Basta fare una divisione per calcolare che da ogni kg di rifiuto si ricavano circa 300 kcal utili. Non conosco il potere calorifico medio del FORSU, sulla VAS (Valutazione Ambientale Strategica) si parla di 2.500 - 3.200 kcal/kg, ne deriva comunque un rendimento energetico complessivo assolutamente modesto.
Si spenderebbero 20 - 25 milioni per realizzare edifici e sebatoi alti 24 metri (come palazzi di 8 piani) sotto le balze di Leonardo, per ottenere risultati energetici di gran lunga peggiori di quelli di un qualunque termovalorizzatore!
La cosa più grave è che nella Valutazione Ambientale Strategica della ATO Toscana Sud il digestore di Terranuova è solo il primo, seguiranno Asciano (SI) e Strillaie(GR).
Con questi rendimenti energetici si tratta anche di un enorme spreco di denaro.

So bene che la soluzione che propongo è “politicamente scorretta”, anche se tecnicamente ed ecologicamente ottimale.
Dobbiamo prendere l'esempio dai paesi del nord-europa che realizzano termovalorizzatori addirittura in città.
Con i soldi previsti si può realizzare un moderno termovalorizzatore, anche con maggiore capacità di smaltimento, sicuro, dotato di efficaci sistemi di abbattimento inquinanti dai fumi, realizzato in zona dove si può riutilizzare anche il calore a bassa temperatura per il teleriscaldamento invernale e per il condizionamento estivo.
Il problema rimarrà nella correttezza di gestione e nella trasparenza. Ma anche in questo si può prendere esempi virtuosi: ricordo che il vecchio termovalorizzatore di Bolzano aveva un grande schermo, si vedeva anche dall'autostrada, con i valori delle emissioni in tempo reale. Glielo aveva imposto una ASL che ho conosciuto bene e che ascoltava le istanze della popolazione!

Paolo Dinelli


NOTA:

30.000 ton/anno di rifiuto sono quasi 100 al giorno; dovendo “digerire” poltiglia liquida (solidi minori del 20-25%) si aggiungerà acqua (per fortuna si ricircola sempre la stessa) raggiungendo circa 500 metri cubi al giorno. La digestione anaerobica dura da 15 a 60 giorni (variabili con la qualità del rifiuto, ed altri parametri).

martedì 18 febbraio 2014

#enricostaisereno... mica tanto!

Partiamo dagli aspetti positivi: un’intera settimana di totoministri e Sanremo; la prima azione buona Matteo Renzi l’ha fatta a favore di mamma Rai. La seconda, invece, è quasi catechetica: se prima si diceva ai ragazzi che unarichiesta di amicizia su “Facebook” non può esaurire il fascino di un legame amicale vivo e autentico, da oggi si potrà aggiungere che anche gli hashtag su “twitter” non sono poi sempre così sinceri, tweet del Segretario docet. Ma la questione è ben più seria. Innanzitutto c’è da riflettere - e seriamente - su un particolare: si dice, talvolta non senza presunzione, che il Pd sia rimasto l’unico soggetto politico in Italia con una struttura, organizzazione, dibattito, idee, partecipazione democratica e poi per questo stesso partito, in un momento così delicato, è sufficiente un click e un’alzata di mano, che è parsa un restyle della pubblicità dei profilattici («È mio! È mio!...»), per far cadere un governo, invertire una piattaforma programmatica e guardare con innata convinzione fino al termine naturale della legislatura. D’accordo, Nardella non sarà Mastella, ma pensare ad un simile obiettivo senza nemmeno avere i numeri per partire è davvero rocambolesco. Allora, se tutto assume la forma (stavolta in senso aristotelico) del buttare là alcuni nomi, così al Ministero del Lavoro ci potrebbe andare G. Epifani o P. Ichino tanto è uguale, alla cultura Boschi o Baricco tanto va bene lo stesso, alla Salute G. Strada oppure B. Lorenzin tanto nessuno se ne accorge, a merenda il lampredotto o i brigidini tanto son buoni tutti e due, per davvero questo marchingegno diventa talmente complicato che subentra un’inevitabile rassegnazione e malcontento. Eppure vie d’uscita ci sarebbero. Per cominciare, visto che ci dovranno giurare sopra, i top players Lupi, Lorenzin, Tinagli, Moretti, Madia e altri potrebbero rileggere la Costituzione, in particolare quella parte riservata al Governo e capire meglio quali siano le funzioni e le responsabilità di un esecutivo in un sistema parlamentare (almeno l’Art. 95). Non esiste - ed è gravissimo che ciò accada - impostare un programma di governo sulle riforme costituzionali. Sarebbe come far fare la lista della spesa ai figli e poi stupirsi se il babbo e la mamma si lamentano perché c’è troppa cioccolata e poca carne e verdura. Ancora, a proposito della legge elettorale, bisogna avere il coraggio di sfatare un mito: una legge elettorale per il Paese non è difficile; difficile è una legge elettorale cucita e ricamata per i fianchi e le smagliature di questi partiti. Lungo questo sentiero si può realmente vedere se stavolta sul crinale della nostra democrazia batta luce nuova oppure permangano ancora le ombre. Comunque, per concludere citando grandi protagonisti della Kermesse canora, l’impressione è che in quel palco, tanto a Sanremo quanto a Roma, continuino ad alternarsi in tanti, ma questa Italia rimanga perennemente… «avvinta come l’edera…» 
Tommaso C.

mercoledì 5 febbraio 2014

La variante di ponte Mocarini alla SR69

Sergio Chienni ha lamentato il mancato finanziamento dalla Regione Toscana del tratto critico di ponte Mocarini della SR69 (15 milioni di euro per circa un chilometro di strada mi è sembrato un pò tanto). La cosa mi ha incuriosito e sono andato a consultare il Regolamento Urbanistico sul sito del Comune; la tavola 21 riporta l'intero tracciato.
Devo dire che la Regione questa volta ha avuto buon senso. A parte il costo, di cui non conosco la giustificazione, l'assurdità del progetto è dimostrata da poche evidenti incongruenze.
Analizziamo per prima la situazione più facilmente risolubile.
Se da Terranuova vorrai andare in Valvigna o a Levane dovrai passare dal casello! Infatti dal ponte Mocarini ci si potrà immettere sul nuovo tracciato solo in direzione nord.
Per fortuna questo problema potrà essere risolto con una rotonda (invece dello svincolo previsto a progetto), senza aggravio di costo, solo con un rallentamento del traffico analogo a quello di S. Giovanni, dopo l'IVV. 
Proseguendo verso nord la nuova strada incontra il casello e deve necessariamente passare il Ciuffenna per rientrare sulla via di Poggilupi. Sono previsti due ponti a senso unico, con uno svincolo molto articolato e la rotonda esistente rimarrebbe circa uguale all'attuale (rotonda per chi viene da ponte Mocarini, svincolo con diritto di precedenza per chi viene dal casello e da San Giovanni).
La astrusità della soluzione proposta è dimostrata dallo "slalom del Ciuffenna": dal casello, verso Terranuova, in un chilometro circa, si oltrepasserebbe il Ciuffenna ben 5 volte.

Verso le ghangherete si passerebbe 8 volte!!!

La logica vorrebbe l'immissione in una grande rotonda al casello, analoga a quelle dei caselli di Arezzo, Valdichiana, Firenze Impruneta solo per citare i più vicini. Qui ormai ci stiamo un pò stretti!
Purtroppo abbiamo demolito il ponte del vecchio casello che ha egregiamente funzionato per 50 anni e per almeno altrettanti non avrebbe costituito diga al fiume (ci sono vari ponti molto più bassi a monte). Senza piangere sul ponte ormai demolito, se ne può realizzare un altro al suo posto, più alto (non come quello del casello dove ci passerebbe il diluvio universale, compreso l'arca di Noè), ma con immissione nella rotonda. Non dispongo né dei dati, né degli strumenti di progetto, ma ho provato a studiare una soluzione alternativa, secondo la logica citata, con una rotonda allungata (e corretta nelle altimetrie) in modo da distanziare le immissioni e le uscite. Si realizzerebbe anche una vera rotonda, finalmente con precedenze certe.
Risulta evidente la fattibilità di un percorso più pratico e sopratutto più economico.
Un suggerimento al probabile futuro sindaco: se non vuole diventare il “sindaco dello slalom”, prima di sollecitare il finanziamento, faccia fare una revisione del progetto con criteri di buon senso; si potrebbe addirittura ricavarne i fondi per una passerella ciclopedonale accanto al ponte dell'Arno, opera altrettanto essenziale per la sicurezza del traffico e per la mobilità dei terranuovesi.
Paolo Dinelli

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Immagine inserita in un secondo momento a supporto della discussione
 

martedì 28 gennaio 2014

Primarie centro sinistra Terranuova (ultima parte)

Pochi giorni fa ho scritto che per analizzare un risultato elettorale si devono osservare diversi fattori: l’entità dell’affluenza,  la percentuale che ottiene il vincitore (ma anche il valore assoluto delle preferenze ricevute)  la distribuzione complessiva dei voti espressi, la misura del distacco tra il primo e il secondo e rispetto a tutti gli altri. Ad urne chiuse aggiungo che quanto ottenuto da Sergio Chienni alle consultazioni di domenica scorsa è stato un grande risultato. Una vittoria netta. Non c’è stato un primo, un secondo, un terzo ed una quarto classificato. C’è stato un “primo” e tre “ultimi” (con Laura Di Loreto che comunque ottiene un risultato molto positivo rispetto alle aspettative). Anche se il 55% non rappresenta, di per sé, un vero e proprio plebiscito, i voti ottenuti sono il triplo rispetto a quelli presi dai suoi avversari, che, in pratica, non sono riusciti ad andare oltre il numero dei propri firmatari. La legittimazione politica c’è tutta insomma. Più di mille voti sono un numero che regala forza ad una candidatura.
Era una competizione insidiosa, perché gli avversari erano accreditati e perché nel corso della campagna elettorale non sono stati risparmiati colpi bassi,che ritengo sia stata vinta soprattutto dalla capacità che ha avuto Sergio di creare intorno a sé una “squadra” forte che gli altri candidati hanno faticato a costruire in pochi mesi.
Francesco N.

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La redazione de La Voce del Martedì fa un grosso in bocca al lupo a Serena Delfi, capolista del Movimento 5 stelle del Comune di Terranuova, vittima di un incidente stradale domenica pomeriggio. Forza Serena! 

martedì 21 gennaio 2014

Primarie: ultimo giro

E’ complicato azzardare previsioni su una competizione assolutamente nuova per il nostro paese (è la prima volta che vengono svolte primarie di coalizione per esprimere il candidato sindaco), voglio però provare ad elencare qualche “riflessione di avvicinamento” all’appuntamento elettorale terranuovese di domenica prossima, frutto di alcuni calcoli matematici e di semplici considerazioni politiche.
1) Immagino un’affluenza molto alta, sopra i 2.500, per una serie di motivi: a) di fatto domenica si decide il probabile Sindaco di Terranuova, essendo l’ampia coalizione del centrosinistra fortemente avvantaggiata su tutti gli altri partiti-coalizioni-liste civiche-movimenti (questo anche in considerazione del fatto che Terranuova è un comune con meno di quindicimila abitanti e per vincere basta arrivare primi anche senza ballottaggio); b) è possibile che a votare vadano anche elettori non di centrosinistra, perché le primarie sono “aperte” e perché in ballo c’è la poltrona di primo cittadino; c) pare siano state raccolte oltre 1.500 firme a sostegno dei diversi candidati e, a meno che non siano state prese con l’inganno, si tratta di un’ampia base sicura di votanti; d) sono elezioni primarie vere e non di facciata, e questo rafforza sempre interesse e partecipazione; e) l’istituto “primarie” (grazie al Partito Democratico) è entrato nel DNA dell’elettore del centrosinistra ed i dati, anche locali, sulla partecipazione a questi appuntamenti sono sempre stati sorprendenti: all’elettore piace esprimersi attraverso le primarie, questo è un dato appurato; f) sebbene non ci siano i media nazionali a tamburellarci il cervello spingendoci alle urne, la campagna elettorale è stata attiva e partecipata: la stragrande maggioranza dei cittadini terranuovesi lo sa benissimo che domenica ci sono le primarie.
2) Credo che la necessità del secondo turno sia un’ ipotesi remota: in una competizione con soli quattro candidati è difficile che neanche uno dei quattro superi lo sbarramento del 40% (vi ricordo che nelle regole delle primarie si va al ballottaggio solo se il candidato più votato sta sotto il 40% e non sotto il 50%). E’ essenzialmente una questione aritmetica, sono solo quattro a spartirsi una torta da 100 (per cui la fetta più piccola possibile da assegnare al primo non può essere meno del 25%, caso in cui sarebbero tutti primi a pari merito). Ci vuole quindi un grandissimo equilibrio per andare al ballottaggio: se i candidati forti fossero solo due non si andrebbe mai al ballottaggio (uno dei due, se non entrambi starebbero sopra allo sbarramento), e potrebbe essere difficile anche con tre candidati forti e uno molto debole. Per il ballottaggio servono tre candidati forti ed il quarto che stia sopra al 12% (punto più, punto meno).
3) Esiste però il rischio di una “vittoria-non vittoria” nel caso in cui uno dei candidati vinca al primo turno senza nessuna esigenza tecnica di ballottaggio, ma non riesca ad ottenere la maggioranza assoluta dei consensi (ad esempio 45%-25%-20%-10%). Sarebbe una vittoria tecnica, ma politicamente andrebbero ricercati all’interno della coalizione degli equilibri che potrebbero risultare articolati e complessi.
Vincere col 41%, col 45% o col 49%, paradossalmente, rischia di indebolire, anziché rafforzare la candidatura. E per  rimanere nel paradosso (ma non poi troppo), a un candidato Sindaco incoronato con meno della metà dei consensi dei suoi elettori potrebbe persino venire in mente di richiedere comunque un ballottaggio, anche se le regole lo escludono, per ricevere una legittimazione più forte.
A queste condizioni comunque, se domenica sera uno dei candidati otterrà più del 60% potremmo solo riconoscergli di aver stracciato tutti e stravinto queste primarie.

Francesco N.

mercoledì 15 gennaio 2014

Terranuova verso le primarie (terza parte): mini-intervista ai candidati

Un blog come La voce del martedì non è luogo adatto per lunghe interviste ma può sicuramente essere utile a fornire una fotografia dei diversi pensieri e delle differenti visioni in campo.
Riteniamo che per consentire agli elettori di scegliere – lo abbiamo già scritto nel post del 15 ottobre –, una competizione come le primarie debba mettere in primo piano le idee e i contenuti. Siete quattro candidati di un'unica coalizione, ma rappresentate diverse sfumature di uno stesso colore, che vorremmo in qualche modo dare la possibilità ai lettori di apprezzare. Abbiamo così pensato a un’unica domanda, che a nostro avviso  rappresenta una buona sintesi di una visione complessiva di governo. Sembra quasi un gioco, ma riteniamo possa rendere bene l’idea delle priorità che ognuno di voi ha in mente di realizzare nel suo prossimo mandato.

Supponiamo allora di avere a disposizione una quantità di "risorse" pari a 100, da utilizzare e investire per il nostro comune di Terranuova. Specifichiamo che per "risorse" intendiamo tutti i tipi di risorse: denaro, ma anche tempo, impegno, persone dedicate, progetti, idee, ecc. Vorremmo sapere come suddividereste queste vostre 100 "risorse" tra i seguenti ambiti d’ intervento:
- politiche sociali;
- attività sportive;
- viabilità;
- attività produttive;
- ambiente;
- politiche della casa;
- cultura;
- scuola;
- frazioni / promozione del territorio.

Per poi commentare le scelte fatte con dieci righe a vostra disposizione.


RISPOSTE
























Tra le 9 opzioni non c'è quella specifica sul lavoro. Quella più vicina è attività produttive. Darei a questa il 52%. Il restante 48% lo dividerei in parti uguali tra le otto rimanenti.             
Il livello di qualità e di solidità sociale di una comunità dipende dalla quantità e qualità del fattore lavoro. Il lavoro e' il risultato della fusione tra idee, risorse finanziarie e potere di decisione; il resto e' assistenza. Penso che almeno la metà del bilancio del comune debba essere impiegato come moltiplicatore di reddito. Per ogni euro speso se ne attivano almeno due. Se riuscissimo ad ottenere questo, sarebbe una " rivoluzione". 
Marco Lapi

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Nella mie proposte (Un governo diverso) ho scritto: “serve un programma di governo concreto, agile, leggibile. Per lavorare su poche priorità ben definite. Coraggio e forza per compiere scelte. E l’autorevolezza per spiegarle ai cittadini”. Da qui il senso della mia suddivisione, con tre priorità evidenti, delle tematiche proposte.
1)La viabilità, in particolare quella di fondovalle e quella a monte del capoluogo. Chiunque sarà sindaco non potrà non affrontate questo nodo purtroppo irrisolto: ne va del futuro del nostro paese.
2)Le attività produttive, perché la forza di Terranuova sta in questo settore che va sostenuto, aiutato a crescere ancora con semplificazioni burocratiche e urbanistiche e con la riduzione di tributi, tasse e oneri. 
3)Il sociale, che funziona e bene, ma con più persone che potrebbero avere bisogno di sostegno sarà impegno non semplice riuscire a mantenere i servizi ai livelli attuali. 
Mi permetto di aggiungere un'ultra priorità, non compresa tra le tematiche proposte, a mio avviso decisiva: Terranuova deve recuperare autonomia e maggior peso nelle dinamiche politiche e amministrative di vallata. Per riuscirci però c'è bisogno di un Sindaco libero da qualsiasi condizionamento.
Massimo Quaoschi

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Il primo obiettivo è il lavoro perché è imprescindibile per l'autonomia e la dignità delle persone. Terranuova è il Comune che sull'occupazione ha tenuto meglio (+19,5% nel periodo 2009-2012, in attesa dei dati relativi al 2013). Lo sviluppo produttivo passa dalla capacità di sostenere le aziende esistenti sul nostro territorio con provvedimenti celeri (es. ampliamento Power One  con variante approvata in 4 mesi a fronte dell'anno necessario di media in Regione Toscana) e di attrarne di nuove creando condizioni favorevoli (es. nuovo stabilimento Bartolini in area Podere Bacchi). Le aree da potenziare sono Valvigna, zona casello, Penna, area Power One ecc.. Tra l'altro dallo sviluppo delle aziende passa la possibilità di realizzare opere pubbliche (es. completamento del campo sportivo della Penna da parte delle ditte che si amplieranno in quella zona) altrimenti bloccate dal patto di stabilità. Infatti è possibile chiedere a scomputo degli oneri di urbanizzazione la realizzazione di specifiche opere. Ed è possibile alienare beni per ottenere il medesimo scopo (es. cessione dell'area ex macelli, con destinazione commerciale, a fronte della realizzazione da parte di chi acquista del nuovo magazzino comunale nell'area sovra strada e interventi di riqualificazione del Parco Pubblico Attrezzato). Se da un lato bisogna creare le condizioni favorevoli al lavoro, dall'altro bisogna supportare il passo di chi è rimasto indietro con idonee politiche sociali che non si limitino all'assistenzialismo ma puntino alla piena inclusione sociale attraverso attività di integrazione e l'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Terranuova è una città solidale dove tante associazioni si adoperano ogni giorno per promuovere la crescita dei nostri figli (attraverso lo sport e la cultura), assistere gli anziani, sostenere chi sta attraversando un momento di difficoltà economica, promuovere il nostro territorio a cominciare dalle frazioni. E' un patrimonio da sostenere e valorizzare, che contribuisce alla qualità della vita di tutti noi. E rappresenta lo spirito giusto col quale operare anche in politica. La scuola è il fondamentale punto di partenza per l'educazione, la crescita, la salute e l'integrazione delle nuove generazioni: per questo dobbiamo continuare a soddisfare tutte le richieste d'iscrizione all'asilo nido, promuovere una filiera corta di qualità alle mense scolastiche, sostenere i progetti educativi e la sicurezza dei plessi scolastici.
Colgo l'occasione per invitarvi all'incontro pubblico che ho organizzato sabato 18 gennaio alle 17,00 in Sala Consiliare, dove sarà possibile condividere e approfondire le idee concrete per Terranuova.
Sergio Chienni
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All'inizio del mandato utilizzerei la quantità necessaria di risorse per rispondere alle esigenze primarie visto che ci sono più di 70 famiglie a Terranuova che non possono permettersi di cenare la sera e famiglie che ancora ,nel 2014,non hanno metano ed acqua potabile a casa.Quindi investirei nella scuola intesa anche come formazione per creare lavoro per i giovani,così come nell'ambiente e nella promozione del territorio sempre per creare nuovi posti di lavoro.Se la viabilità funziona (per fruizione e manutenzione)ne hanno beneficio sia le attività produttive che tutte le altre attività sul territorio

Ecco perchè oltre alle percentuali mi interessa anche la sequenza di intervento

che dovrebbe essere la seguente:


1)politiche sociali 20
2)frazioni/promozione del territorio/ambiente 20
3)scuola/cultura/formazione 20
4)viabilità/attività produttive/attività sportive 20
5)politiche della casa 20

grazie per avermi dato questa possibilità  
Laura Di Loreto


martedì 7 gennaio 2014

Il debito pubblico dell'Italia 2.0

Nemmeno un anno fa il giovane rapper italiano Fabri Fibra scalò le vette delle classifiche discografiche con il geniale singolo Pronti, partenza via!. Il ritmo quasi limaccioso del brano musicale descriveva bene la vita politica italiana, perennemente pronta a iniziare una nuova fase, ma, alle soglie dello slancio, sempre frenata da perspicui ritardi e continuamente arenata nelle secche di un’interminabile congiuntura avversa. Stavolta, quello che è accaduto negli ultimi mesi, in particolare nella vita interna dei principali partiti politici, è qualcosa di più di un naturale restyling generazionale. E’ cambiata l’antropologia politica dei soggetti politici più rappresentativi; così, al di là di qualche rigurgito, sono spariti i pretesti propagandistici che hanno tenuto banco nel dibattito pubblico degli ultimi venti anni. Anche in questa circostanza, dunque, percepiamo l’acquolina in bocca di poterci riposizionare ai nastri di partenza, questa volta realmente fiduciosi che l’ennesimo «nuovo inizio» sia valido; che si possa correre e far correre un Paese da troppo tempo incomprensibilmente fermo. Insomma, c’è la ragionevole sensazione che questa volta si sia fatto davvero sul serio. Per fare un solo esempio, a proposito del Pd, Antonio Polito, commentando la vittoria di Renzi sul «Corriere della Sera», ha parlato di una trasformazione ancor più radicale della Bad Godesberg tedesca. Intanto, i nuovi protagonisti si sono gettati di gran lena e a piè pari sulle questioni ormai pietrificate del confronto civile italiano: riforme, legge elettorale, crescita e sviluppo sono i ritornelli preferiti dall’agone politico; i soliti evergreen di un jukebox rotto.
Eppure, per quanto si possa intensificare ed estendere la prassi della rottamazione, c’è una zavorra, comunque, che rimane e impedisce anche ai fuoriclasse più giovani e simpatici di giocare liberamente: il debito pubblico nazionale. Forse il segnale più incisivo di discontinuità tra la vecchia e la nuova classe dirigente, tra la desueta politica e quella cosiddetta 2.0, al di là dell’orario di convocazione del tavolo di segreteria, dovrebbe essere proprio quello di affrontare il grande tema di come governare il nostro debito. Francuccio Gesualdi nel suo ultimo libro, Le catene del debito (Feltrinelli, 2013), ha ricostruito con magistrale abilità e senso di orientamento quelli che sono i vincoli strutturali della nostra economia pubblica. Sono ormai evidenti a tutti le storture del sistema: aumenta il rigore, si contrae la spesa primaria, si crea avanzo primario eppure il Paese continua a indebitarsi perché non ha risorse a sufficienza per coprire gli interessi.


Nel 2012 gli interessi sono divenuti la terza voce di spesa pubblica, dopo previdenza e sanità, e in men che non si dica si sono divorati l’11,5% del gettito fiscale e il 5,5% del Pil. Insomma, nel frattempo che noi non governiamo il debito, è il debito che governa noi. Il passivo, d’altronde, è un meccanismo di redistribuzione delle ricchezze alla rovescia: prende a tutti per ridare a coloro che già hanno e così giù a tagliare e ridurre i servizi. Ma i creditori che vantano oltre 2000 miliardi di euro nei nostri confronti chi sono? La graduatoria è pressappoco la seguente: 40% banche estere, 24% banche italiane, 21% fondi e assicurazioni italiane, 10% famiglie italiane, 5% la Banca d’Italia. Dentro questo gran calderone, se poi si aggiungono le strategie di speculazione, gli agenti finanziari internazionali e i loro torbidi pagellini, il clima di sfiducia e tutto ciò che ne consegue, ci si accorge drammaticamente che a queste condizioni, la pesantezza del debito non succhia solamente denaro ma erode la sovranità democratica. Che fare, allora? Esiste una sorta di diritto di difesa? La comunità internazionale può dire qualcosa in proposito? Congelamento, autoriduzione, ristrutturazione, riqualificazione del debito sono soluzioni accessibili? La questione è seria e non facile, ma forse la strada meno tortuosa per avviare il discorso è dare sostegno popolare a questa priorità; interpellare la politica e fare in modo che se ne parli per individuare delle percorribili vie di uscita. Solo così il nuovo potrà essere davvero un qualcosa d’inedito.

Tommaso C.