Questa settimana vorrei provare a sviluppare una discussione attorno alla misura forse più contestata dell’intera manovra economica estiva: il cosiddetto “contributo di solidarietà”.
A molti, compresa una buona parte della stessa maggioranza,non piace il fatto che ad essere colpiti dall’imposta siano sempre i “soliti noti”: facili (e veloci) da individuare e tassare.
Lo stesso Bel Pietro, direttore di Libero, ha scritto e ribadito a più riprese in Tv, che con la tassa di solidarietà è stato tradito il patto sottoscritto da Berlusconi con gli elettori.
Il suo governo infatti, pur col cuore grondante di sangue, mette “le mani in tasca agli italiani” o meglio, a quel ceto medio*, che in teoria dovrebbe essere l’elettorato di riferimento del suo partito.
Al momento la misura prevede che alle retribuzioni superiori ai 90.000 euro venga prelevata, per i prossimi 3 anni, una somma pari al 5% della quota eccedente i 90.000 euro. Sopra ai 150.000 euro il contributo di solidarietà passerà al 10% della quota eccedente i 150.000 euro.
Il sole24ore lo ha definito un SUPERIRPEF e trattandosi di un contributo e non una tassa, sarà deducibile dalle imposte. Per questo la prima soglia dal 5 per cento verrà effettivamente ridotta al 3-3,5 per cento, mentre la soglia del 10 per cento oscillerà concretamente tra il 6 e il 7 per cento. Per i redditi più alti ci sarà una soglia di sbarramento, così che il prelievo fiscale non possa in alcun modo superare il 48 per cento del reddito.
Secondo i dati del Corriere della Sera a versare il contributo di solidarietà, a conti fatti, saranno appena 511 mila contribuenti e il gettito frutto del superprelievo sarà di 726 milioni di euro nel 2012, di 1,6 miliardi nel 2013 e nel 2014.
Certo, se i 49,8 miliardi di euro per il pareggio di bilancio nel 2013 fossero stati recuperati attraverso un rastrellamento sulle maxi evasioni e i traffici illeciti tutti sarebbero stati più contenti.
Ma l’Europa ha chiesto rapidità e certezze e per il Ministero dell’Economia i conti possono tornare solo se si va a bussare alla porta di chi siamo sicuri di trovare in casa. E quindi eccoci a casa dai “soliti noti”.
Partiamo da un presupposto: la tassazione in Italia è già molto alta, quindi è assolutamente comprensibile che una nuova imposta non venga accolta a braccia aperte.
Meglio tassare chi “possiede di più” (patrimoniale – tassa sul lusso) o “chi guadagna di più” (contributo di solidarietà)? Meglio posticipare da subito l’età della pensione o arrivarci gradualmente? Meglio tagliare i comuni piccoli o gli enti inutili? Meglio abolire tutte le province o stilare una piccola lista nera con parametri interpretabili?
Sicuramente ci sarebbe da discutere. Molte misure alternative sono state ipotizzate da tutte le forze politiche e sociali e ne parleremo in maniera più specifica con un post dedicato la prossima settimana.
Vorrei adesso rimanere sulla questione specifica del contributo di solidarietà e invitarvi a fare due conti per “pesare” realmente l’impatto potenziale di questo superprelievo sulle tasche di chi sarà chiamato a pagarlo.
Non condivido infatti la posizione di alcuni detrattori della misura che si dicono scandalizzati e sembrano manifestare una certa preoccupazione per le difficoltà che i “soliti noti” potrebbero trovare nell’arrivare a fine mese dovendo sostenere il peso della “solidarietà” imposta dal Governo.
Prendiamo il caso di un dirigente che percepisce annualmente 92.000 euro lordi ( che, diviso 13 mensilità, sono circa 4.000 euro netti al mese).
Bene, il nostro dirigente sarà uno di quelli chiamati a versare il contributo di solidarietà, che si calcola prelevando il 5% della parte eccedente i 90.000 euro (92.000 - 90.000 = 2.000)
5% di 2.000 = 100 euro.
Il contributo di solidarietà per l'anno 2012 del nostro dirigente è di 100 euro all’anno. Senza considerare la deducibilità dell’imposta che quasi dimezzerebbe l’ammontare dello stesso.
Forse, messa così, fa meno paura.
Anche se nessuno ne parla e se ne interessa c’è un altro intervento all’interno della stessa manovra che potenzialmente toglie più soldi ai lavoratori: quello sullo slittamento alla domenica delle festività laiche. E' un intervento pensato per aumentare la produttività ma che, messo così com’è, avrà un effetto penalizzante anche a livello economico.
Non sono pochi i lavoratori che in Italia lavoravano durante le festività ricevendo, per le ore prestate durante un giorno di festa nazionale, una retribuzione maggiorata dal 30 al 50%. Oggi, che quelle feste sono accorpate alle domeniche, lavoreranno lo stesso ma non percepiranno quei 30-40 euro in più al giorno. E se le feste laiche abolite saranno tre il contributo del commesso o della guardia giurata (che al mese non prende da 4.000 euro al mese in sù ma al massimo mette insieme mille euro) è proporzionalmente ben più alto di quello pagato dal dirigente dell’esempio riportato sopra.
Esistono poi, da ormai diversi anni, milioni di lavoratori che guadagnano tra i 10.000 e i 15.000 euro all’anno e che pagano mensilmente i loro “contributi di solidarietà” alle agenzie interinali che, per soddisfare le esigenze del mercato flessibile, fanno da tramite tra il datore e il lavoratore.
Ci sono migliaia di persone che non hanno diritto alla malattia, alla maternità e alle ferie (rimettendoci quindi anche parecchi soldi) perché lavorano come gli altri (e a volte anche di più), ma sono di serie B perché in tasca hanno solo un contratto a progetto.
Nessuno però si è mai scandalizzato così tanto per il “contributo di solidarietà” pagato dai precari.
Un mercato del lavoro che crea a monte disparità incolmabili non è più ingiusto e odioso di qualsiasi tassa sui redditi (alti)?
Se il contributo di solidarietà è ingiusto ed iniquo non è sicuramente più ingiusto ed iniquo di altre situazioni che milioni di lavoratori (silenziosi) vivono da anni non essendo, evidentemente, elettorato di riferimento di nessun partito.
Francesco N.
* E’ curioso come in politichese si parli di “ceto-medio” riferendosi a chi percepisce un reddito superiore ai 90.000 euro annui (meno dell’ 1% della popolazione) quando la retribuzione media in Italia(che, a rigor di logica, dovrebbe individuare il ceto-medio) è sotto ai 20.000 euro annui.