martedì 30 luglio 2013

Quando l'erba del vicino è davvero più verde

Attraverso un articolo di Carlotta Clerici pubblicato ieri su Il Corriere della Sera proponiamo questa settimana una discussione che intende guardare con interesse (e, speriamo, spirito di emulazione) alle esperienze virtuosi nel settore di gestione dei rifiuti.

Termovalorizzatori addio: Rimini guida l'onda verde

Il biodigestore anaerobico di nuova generazione che non genera cattivi odori è entrato nei giorni scorsi a pieno regime

«Se l‘Emilia Romagna fosse uno Stato, adesso sarebbe al quinto posto in Europa per la raccolta dei rifiuti.
La differenziata supera il 50%, e di questo il 93,4% riesce a essere riciclato». Sono risultati che si vedono solo nell'olimpo di Paesi virtuosi come Austria, Belgio, Danimarca e Germania, quelli che, commenta con un certo orgoglio Enrico Piraccini, responsabile degli impianti di compostaggio e digestione Herambiente, durante la presentazione del nuovo biodigestore anaerobico di Rimini. Un impianto entrato in questi giorni a pieno regime, dopo una fase di collaudo durata sei mesi e che potrebbe nel giro di poco tempo alzare ancora la posizione dell'Emilia Romagna dentro la classifica europea. Grazie alla tecnologia d'avanguardia, scovata dal gruppo Hera a Monaco di Baviera, che permette di valorizzare al meglio il patrimonio di rifiuti organici. Trasformati non solo in fertilizzante naturale, ma anche convertiti in energia elettrica rinnovabile.

L'IMPIANTO - Il biodigestore anaerobico è ospitato nell'impianto di compostaggio di Ca' Baldacci.
Completamente rinnovato con un investimento sulla struttura da 10 milioni di euro per mettere al centro la nuova tecnologia. «I nuovi processi», spiega il presidente del Gruppo, Filippo Brandolini, «consentono di valorizzare al massimo la frazione organica della raccolta differenziata, permettendoci, senza bruciare nulla, di ottenere ogni anno 8 mila Mwh di energia rinnovabile. E di migliorare la qualità del compost rispetto a quello prodotto con il metodo tradizionale».

BASTA ODORE - Processi classici di compostaggio che ora, grazie alla digestione anaerobica, sembrano archiviati. E con loro anche il problema non da poco dell'odore. «Con i nuovi procedimenti», spiega Piraccini, «abbiamo eliminato completamente le esalazioni puzzolenti. Un punto importante visto gli scontri sul tema con i vari comitati di residenti della zona». Battibecchi che, tra denunce e opposizioni, sono diventati un argomento frequente della cronaca locale. E che potrebbero trovare una tregua ora che il compostaggio viene fatto in maniera diversa.

FERMENTAZIONE A SECCO - Primo, tra i cambiamenti del nuovo modo di fare compostaggio, l'assenza dell'ossigeno. Con un procedimento chiamato fermentazione a secco (batch dry fermentation) che avviene all’interno di celle di cemento armato. Con un processo di trasformazione simile alla
masticazione e alla digestione degli esseri viventi.

DIGESTIONE ANAEROBICA - «I rifiuti», prosegue Piraccini,«vengono prima tritati e poi lasciati fermentare al buio per 30 giorni a 37 gradi. Si tratta, infatti, di un ambiente ideale per la formazione dei batteri». Batteri che assomigliano a quelli presenti nello stomaco delle mucche, in grado di attivare un processo di digestione anaerobica che produce biogas (60% metano).

ENERGIA FERTILE - «Il biogas», conclude Piraccini, «viene trasformato in energia elettrica grazie a motori per la cogenerazione. Un altro risparmio visto che in questo modo alimentiamo anche le celle». Oltre a produrre energia elettrica potenzialmente per il fabbisogno di circa 9 mila persone.

EMILIA OPERATIVA - Ampio, oltre al nuovo biodigestore, il piano di Herambiente per valorizzare i rifiuti della Regione. Con linee di intervento mirate su infrastrutture e impiantistica. E 40 milioni investiti per potenziare la raccolta differenziata e sugli altri biodigestori del gruppo a Cesena e a Voltana Lugo. «In ogni provincia», conclude Bardolini, «installeremo impianti di selezione del secco a lettura ottica nelle piattaforme che selezionano i rifiuti. Un sistema intelligente già attivo a Rimini, Ravenna,Modena, Ferrara. E presto anche a Bologna».

Carlotta Clerici

mercoledì 24 luglio 2013

La Voce del Martedì è morta?

Due amici mi sollecitano in direzioni opposte. L’ uno suggerisce di ampliare l’ orizzonte ecologico del post della scorsa settimana, mi ricorda che tra ‘preservare’ e ‘conservare’ corre grande differenza e mi rimanda agli scritti di dom Salvatore Frigerio a commento del Codice Forestale Camaldolese. Ne trovo alcuni in rete, raccolti in una pubblicazione dal titolo ‘Vivere la montagna, vivere di montagna’. La cultura ambientale di Camaldoli, spiega dom Salvatore, “ha preservato ambienti vitali perché non li ha considerati musei da conservare in base a strani quanto deleteri archeologismi naturalistici, ma perché li ha considerati ‘compagni di viaggio’ esistenzialmente dinamici come dinamica è la storia dell’ uomo loro ‘custode e coltivatore’, […] custode proprio perché coltivatore; custode della vita appunto perché servitore di vita” (p. 69). L’ uomo è dunque chiamato, come nella parabola dei talenti, a una responsabilità maggiore della mera conservazione. Anzi, è chiamato alla responsabilità più alta, in quanto custode-coltivatore dell’ intero creato e custode-servitore della vita. Mi paiono argomenti meritevoli di uno scambio di opinioni. In particolare penso possa essere fecondo riflettere sulle differenze tra la prospettiva di Camaldoli, che rimane comunque antropocentrica, e il modello di Gaia, di un pianeta cioè considerato come un unico superorganismo vivente, del quale l’ uomo è solo una parte, non privilegiata e, a detta di molti, neanche necessaria.

Il secondo amico, invece, è andato giù di sciabola. Parlavamo della politica locale e gli ribadivo la necessità di trasparenza e accessibilità delle informazioni. Mi ha obiettato – sintetizzo ma credo di non tradire il suo pensiero – che si tratta di questioni elitarie e che ben più importante è scegliere quale progetto si vuole per il futuro di Terranuova. Ha poi aggiunto, a corollario, che il nostro blog è sostanzialmente morto. Non ho avuto la prontezza di replicare che un passaggio da ‘La Voce del Martedì’ a ‘La Voce dei morti viventi’ potrebbe essere persino intrigante. Gli ho però detto che vanno garantiti, e di corsa, strumenti di partecipazione alternativi al locale bacio della pantofola, il cerimoniale che vede i cittadini fermare in piazza gli amministratori, omaggiarli e quindi interpellarli con richieste, segnalazioni e quant’ altro. Sarò cocciuto, ma anche di questo ritengo valga la pena dibattere.
Silvio Cazzante

giovedì 18 luglio 2013

da ecologiapolitica.org


Dopo una lunga interruzione, il sito www.ecologiapolitica.org torna in rete e sarà aggiornato periodicamente dandone comunicazione a chi è iscritto alla rete di Ecologia Poltica: (ecologiapolitica@yahoogroups.com). Questo sito è la riproposizione aggiornata di quello avviato negli anni 1990, con la pubblicazione della rivista Capitalismo Natura Socialismo: una rivista “corsara” uscita in Italia negli anni 1990 nel filone teorico della “seconda contraddizione” formulata dall’economista ecomarxista statunitense James O’Connor, fondatore della rivista Capitalism Nature Socialism, in collegamento con altre riviste di ecologia politica in Spagna (con Juan Martinez Alier) e in Francia (con Jean-Paul Deléage). Il sito ha lo stesso titolo del precedente, perché siamo ancora convinti oggi come ieri che l’ecologia politica si deve occupare di come conciliare le scelte politiche e di gestione della polis, della città e della comunità con le leggi della natura. Non si possono infatti adattare le leggi della natura con le scelte della politica: la politica permette spesso di costruire sul greto del fiume, sperando forse che l’acqua vada dalla foce alla sorgente; ma la natura vuole che l’acqua vada dalla sorgente alla foce, scorrendo lungo torrenti, valli e fiumi, e la politica deve pertanto lasciare il greto dei fiumi sgombro da ostacoli, siano essi costruzioni speculative private o strade e ponti pubblici utili, ma costruiti nel posto sbagliato. La natura è la fonte di ogni valore d’uso, e le scelte umane dovrebbero rispettare la natura per soddisfare utilità umane, in modo di ottenere dalla natura le grandi ricchezze che essa nasconde senza alterare i suoi cicli, o alterandoli il meno possibile: non per amore feticistico della natura, ma perché le alterazioni dei cicli naturali si traducono in violenza contro gli esseri umani vicini e lontani, anche nel futuro. Le parole chiave dell’ecologia politica sono quindi conoscenza delle leggi della natura, rispetto delle stesse da parte dei governi e dei cittadini, previsione e prevenzione degli effetti che le azioni umane hanno o possono avere sulla natura, anche in termini di costi monetari oltre che umani.
Il sottotitolo di questo sito, “Ricerche per l’alternativa” è nuovo, e riprende il nome della associazione culturale di CNS, per sottolineare che l’ecologia politica si propone anche di dare visibilità e voce ai movimenti sociali, che in tutto il mondo praticano la cultura della alternativa rifiutando la logica capitalista secondo cui la natura è un insieme di input destinate alla produzione di merci da scambiare sul mercato e non un organismo vivente, dotato di una sua autonomia. La concezione capitalista ha permesso di legittimare il saccheggio e lo spreco di natura e la sua libera appropriazione da parte delle imprese e ai danni delle comunità e delle popolazioni. Le élites hanno così scelto il modello di vita e l’assetto sociale a loro più confacenti, e hanno ottenuto il consenso popolare su queste scelte grazie alla costruzione di alleanze trasversali come quella tra produttori e acquirenti dell’automobile come mezzo di trasporto individuale. Le comunità e le popolazioni locali sono state espropriate delle risorse naturali sulle quali vivevano ed è stato loro impedito di partecipare alla definizione delle scelte che le riguardano. La crisi attuale, caratterizzata dal dominio della finanza e della speculazione finanziaria, viene spiegata in mille modi senza mai chiamare in causa la natura e il mancato rispetto delle sue leggi. Stenta a diventare chiaro che la Terra non si governa con le leggi dell’economia ma con le leggi della natura. Neanche di fronte al cambiamento climatico, la crisi ecologica è diventata una priorità della politica, che continua a presentare la crisi finanziaria come il baratro in cui bisogna evitare di cadere “costi quel che costi”. Viene così spostata l’attenzione delle popolazioni dai problemi stringenti della loro vita concreta alla questione “astratta” della finanza, che è al di fuori del loro controllo. Avere trascurato il vincolo della natura, ha permesso alle imprese di realizzare un modello di produzione e consumo che massimizza il profitto mentre saccheggia la natura e depotenzia i lavoratori, rendendoli sempre più dipendenti dalle loro scelte.
Con la globalizzazione neoliberista, tutto è cambiato ma la natura resta ai margini della discussione pubblica e della cultura mainstream, oggi come ieri. Al centro del discorso di una parte della sinistra, specie in Italia, ci sono ora i beni comuni, soprattutto quelli culturali, quelli sociali e quelli digitali, mentre restano in secondo piano i beni comuni legati alle risorse naturali essenziali alla sopravvivenza. Persino il recente il referendum sull’acqua “pubblica” si è attestato sulla gestione del servizio idrico lasciando sullo sfondo la risorsa acqua dalla cui destinazione dipendono il modello di produzione e quello di consumo. Gli squilibri naturali derivanti dall’oblio della natura vengono pertanto gestiti come emergenze, che riproducono altre emergenze più gravi, in un processo cumulativo che rende “insostenibile” il sistema e porta – passo dopo passo - alla crisi ecologica, economica, sociale e politica. Da questa crisi non si esce rilanciando il modello che ne è la causa: serve un cambiamento radicale di paradigma, che è anche un cambiamento culturale. I beni comuni possono incarnare questo nuovo paradigma perché mettono in discussione il capitalismo da tre angolature: l’economia di mercato, e quindi la mercificazione di cose e persone; la proprietà pubblica e privata, e quindi lo sfruttamento del lavoro e della natura; la delega insista nella democrazia rappresentativa, che nella globalizzazione neoliberista non garantisce la partecipazione e il controllo dei cittadini. Si potrebbe dire, in estrema sintesi, che i beni comuni sono il “limite”, senza il quale si cade veramente nel baratro e si compie la “tragedia dei commons” preconizzata da Garrett Hardin.
Il paradigma dei beni comuni, praticato dai movimenti sociali e ambientali che in tutto il mondo – incluso i paesi del Nord – lottano contro la recinzione/privatizzazione delle risorse e la cancellazione/espropriazione delle comunità che vivono/usano tali risorse, esprime una cultura basata sulla condivisione, sul legame sociale e sulla auto-organizzazione, governata da precise norme scritte o consuetudinarie accettate dalla comunità degli “utilizzatori”. La cultura dei beni comuni esiste anche nella produzione teorica di autori importanti come il giudice costituzionale italiano Paolo Grossi, lo storico inglese Edward Thompson, la statunitense Elinor Ostrom premio Nobel per l’economia nel 2009, la scienziata indiana Vandana Shiva, tanto per citare alcuni dei nomi più noti. Resta tuttavia minoritaria, soprattutto in Occidente: non fa parte del comune sentire ed è marginale nel dibattito pubblico.
Il sito di ecologiapolitica che oggi torna in rete si propone di diffondere la pratica e la cultura dei beni comuni, pubblicando materiali che ne allarghino la conoscenza affinchè l’alternativa trovi consenso da parte della popolazione e possa concretizzarsi. Occorre infatti evitare le scorciatoie che in Italia si presentano quasi sempre come derive politiciste, come fondare un nuovo partito politico ancorato ai beni comuni. Occorre insomma evitare che “tutto cambi affinché niente cambi”.
ecologiapolitica.org
 

mercoledì 3 luglio 2013

Sul post della settimana scorsa...

Dissento da Gramellini e dall’ affermazione che “le crisi economiche […] riducono drasticamente l’ interesse dei cittadini per la cosa pubblica”. Non è così in Brasile, in Spagna e in Grecia. Non lo è stato nell’ Islanda del 2008-2011 e nell’ Argentina del 2001-2002. E si potrebbe tornare indietro fino alla Francia del 1789, dove fu proprio una crisi economica e finanziaria a muovere il terzo stato contro i privilegi di nobiltà e clero.
Obietterà qualcuno che in Italia il disinteresse della popolazione pare reale. Dovrebbe però anche precisare che non di indifferenza verso la res publica si tratta, bensì di indifferenza verso le porcate. Che è una forma mentale diversa, sviluppatasi come graduale assuefazione negli ultimi trentacinque anni. Il mezzo televisivo – ma non solo quello – ci ha mitridatizzato con dosi crescenti di volgarità e disonestà, tanto da far apparire normale quello che una volta sarebbe sembrato intollerabile. Quando Bisignani balbettava in un’ aula di tribunale incalzato da Di Pietro, nessuno avrebbe immaginato di ritrovarlo nel salotto di Mentana a discettare dei consigli (?) sussurrati ai potenti. Le olgettine altro non sono che le eredi delle ninfette dei programmi di Boncompagni e della Bonaccorti. A Montanelli che conversava con Beniamino Placido fa oggi da contrappunto Gramellini che sermoneggia ospite di Fazio. Procedere in retromarcia è la costante: da Olivetti a Marchionne, da Moro a Letta (non importa quale dei due), da Tortora a Bonolis, da Biagi a Floris, da Monicelli a Muccino (non importa quale dei due), da Fellini a niente, da Calvino-Sciascia-Pasolini a meno di niente.
E siccome l’ ontogenesi ricapitola la filogenesi, l’ involuzione la si constata anche nei singoli. Nel 1993 Franco ‘Batman’ Fiorito lanciava monetine a Craxi vestito di una maglietta con la scritta ‘arrendetevi, siete circondati’. Venti anni dopo viene condannato per peculato a tre anni e quattro mesi e all’ interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Rassicura gli italiani: “Mai più in politica, lo giuro. Mi metto a fare il filantropo”. Dieci giorni dopo ci ripensa: “Ad Anagni e in provincia mi amano, la stragrande maggioranza delle persone mi stima. Oggi prenderei più voti di prima. Sono i cittadini che decidono se uno deve fare politica”.
            Terranuova non fa eccezione. Alla fine del 2008 la magistratura accerta i maneggii del duo Casamonti-Montefusco, entrambi voluti nei rispettivi ruoli dal Sindaco. Il quale però tutto fa tranne che riconoscere di aver sbagliato e di essere stato, quanto meno, uno sprovveduto. Dichiarerà anzi a questo blog: “Non c’è qualcosa che, col senno di poi affronterei in maniera diversa”. I suoi si guardano bene dal dirgli di farsi da parte. Si limitano a una consultazione interna al partito, dalla quale il primo cittadino esce con bottino pieno: fiducia e ricandidatura. Nel contempo nessuno dei committenti terranuovesi ritiene opportuna una revoca d’ incarico all’ archistar fiorentina. Qualche mese dopo 3.026 elettori – il 31% dei 9.689 aventi diritto – confermano il Sindaco nel suo mandato. Una scelta che è doveroso rispettare ma anche lecito cercare di spiegare: cittadini disinformati tenuti all’ oscuro dei fatti? cittadini normalizzati che non considerano grave quanto accaduto? cittadini interessati in attesa di qualche posto o incarico? Altre ragioni possono essere proposte, la questione è aperta. Ma per favore, non venga il Gramellini di turno a dire che era colpa della crisi economica.

Silvio Cazzante