martedì 29 marzo 2011

Ma che ci sono i referendum?



Il 12 e 13 giugno prossimo pare che si svolgeranno i referendum su nucleare, legittimo impedimento e acqua pubblica. E chissenefrega? Nessuno. Oh, perché diciamocelo in tutta franchezza: a noi un-ce-ne-fre-ga-nul-la!
E come sono patetici questi scassa-Maroni che dicono: “il governo e la sua maggioranza, pur di non dare sfogo alla più diretta tra le espressioni democratiche della volontà popolare, hanno bocciato la possibilità di accorpare il referendum al voto amministrativo”.
Intanto, cari saputelli non è vero! Chiacchieroni pettegoli faziosi! E’ stata una decisione condivisa. Perché se non si vota questi cavolo di referendum insieme alle amministrative bisogna dire grazie anche a quei dodici componenti dell’opposizione che non si sono presentati al voto alla camera sull’accorpamento. E certo che dopo li faccio i nomi! Perché quello che è giusto è giusto. Diamo a Cesare quello che è di Cesare, a Piero quello che è di Piero e i meriti a chi se li merita!
Una decisione da democrazia matura: spendiamo circa 300 milioni di euro in più (tanto ci avanzano!) ma in compenso ci si fa due belle nottate in diretta con Pagnoncelli a dirci  gli exitpoll da Vespa. E vai!
E poi non è vero che si va contro l’art. 3 della Costituzione. L’articolo 3 dice che la Repubblica dovrebbe rimuovere gli ostacoli che impediscono la partecipazione di tutti all’organizzazione politica economica e sociale del paese. E chi impedisce? Mica transennano l’ingresso! Cambiano data, si va anche verso la stagione bella. Se uno non va al mare passerà dalle scuole a votare. Che non può votare?
Che poi sui blog come questo non fate altro che lamentarvi dei nostri rappresentati per fingervi un po’ intellettualoidi del martedì ma alla fine hanno ragione loro. Noi non ci si capisce nulla! E’ inutile girarci introno.  Ha ragione Silvio: gli elettori sono come bambini di quinta elementare.
Provate a leggere il milleproroghe. Lo capite? Ma doveeee!!! Lo capiscono solo loro che sono intelligenti. E sarà che fanno decidere a dei cittadini rimbecilliti come noi questioni come il nucleare o l’acqua! Poi l’acqua, il nucleare... Non sono mica cose che ci riguardano! Che ce ne importa a noi delle scorie fra 1000 anni? O quanto volete campare? Meno male, dovremmo dire, me-no-ma-le che ci sono loro, i nostri parlamentari illuminati. Così saggi, competenti, onesti e preparati che sapranno senz’altro decidere per il meglio. Perché mai dovrebbero prendere decisioni i cittadini?  Che poi magari ci fanno votare e sbagliamo pure! Perché oh, il referendum è difficile. Ma che si può fare un intreccìo in quel modo? Devi fare la croce sul sì per dire no e devi stare a casa per dire sì. E’ un casino!
Il legittimo impedimento, tanto, lo vogliono tutti. E’ il primo pensiero della mattina di ognuno di noi. Quindi, avanti! Impediamoci legittimamante e non se ne parli più.
L’altro desiderio latente di ogni italiano ben pulito e dissetato è quello di avere l’acqua gestita da pochi privati speculatori. Così se costa tanto almeno uno si da una mossa quando è al gabinetto.
Ma soprattutto, diciamocela tutta, chi rinuncerebbe mai ad una bella centrale nucleare di quarta generazione dietro casa? Oh, di quarta generazione! Quelle di terza hanno problemi col nocciolo ma quelle di quarta lo sputano in automatico come si fa con l’olive.
In Svezia, lo sanno tutti e lo dice sempre anche Chicco Testa, si mettono a litigare per avere la giacenza dell’uranio impoverito nel fondo! Non li avete mai visti quei biondoni prendersi a pedate per una fusione del nocciolo in giardino?
Non fosse mai che ci fanno un referendum col rischio di non capire e ci perdiamo queste tre “chicchine” dal futuro.
Quindi grazie di cuore a chi è riuscito a spostare il referendum. Perché oh, hanno avuto sfiga forte eh! Alla fine la gente rischiava di cambiare idea. Appena Veronesi ci ha detto che le centrali nucleari di terza generazione erano sicurissime (sì, fa il medico ma ora fa anche l’ingegnere nucleare, perché quando uno è bravo è bravo a ognicosa!)… bum, Fukushima.
Fortuna che noi faremo quelle di quarta generazione! Quelle sputa noccioli!
Silviuccio, mi raccomando! Tanto hai tutti i megasondaggi e sono sicuro che saprai come evitare questo maledetto quorum. Non vedo l’ora di cominciare a leticarmi la centrale con quelli del Casentino.
L’unico rischio, caro Silvio, sono quegli stronzi del PD. Perché loro sono tremendi: sono stati capaci di raccogliere 10milioni di firme contro di te in un mesetto scarso. Anche quella di Zorro e di un certo Uncino Capitan. Capito? Mica facile trovare Uncino Capitan? Se decidono di fare campagna contro il nucleare addio. Siamo finiti..
Menomale che per questa battaglia hai trovato una maggioranza fedele alla linea e degli alleati seri anche all’interno del PD come Fassino, Fedi, Farina, Ciriello, Madia, Samperi, Mastromauro, Gozi, Capano, D’Antona e i due amici IDV Porcino e Cimadoro che hanno capito l’importanza di non fare il referendum con le amministrative e hanno evitato, con la serietà che li contraddistingue, di presentarsi al voto sull’accorpamento  alla Camera.
Siamo fortunati. A volte penso che senza gente così nulla sarebbe come è adesso. Grazie di cuore.
Francesco N.

martedì 22 marzo 2011

Decreto Romani: i perché della protesta dei lavoratori Power-One

Rispondo volentieri alla richiesta della redazione di scrivere qualche riga sulla questione delle energie rinnovabili e sul decreto Romani che intende regolamentare questo settore.
Il tema è particolarmente ampio e complesso poiché investe scelte politiche che avranno ripercussioni sullo sviluppo in Italia delle energie rinnovabili e condizioneranno in maniera importante anche ampi settori lavorativi.
Fino ad oggi lo Stato ha incentivato la produzione di energia solare attraverso un contributo erogato tramite  GSE ( gestore servizi elettrici) pari a circa 0.4€/KWh. Questo “investimento” da parte dello Stato ha contribuito ad accrescere in pochi anni la quota di energia prodotta da fonti cosiddette “pulite” ma ha dato anche una spinta importante ad un intero settore di mercato.
A Terranuova si trova una della maggiori aziende specializzate nella produzione di inverter per fotovoltaico, POWER-ONE, che tra dipendenti diretti e indotto dà lavoro a circa 1.500 persone. In Toscana i lavoratori del settore sono addirittura oltre 20.000.
Il decreto proposto dal governo prevedendo la fine degli incentivi, in alcuni casi anche con forma retroattiva, rischia di sacrificare pesantemente un settore in pieno sviluppo.
La  preoccupazione dei lavoratori e delle aziende del nostro territorio si è manifestata martedì 15 marzo con uno sciopero di 3 ore e con un lungo e partecipato corteo che si è concluso in Piazza della Repubblica a Terranuova.
Erano presenti, oltre a centinaia di lavoratori, tutte le sigle sindacali, in questo caso unite, la RSU di POWER-ONE e i sindaci del Valdarno.
Dalla protesta è scaturita una lettera che le organizzazioni sindacali hanno inviato alla Prefettura di Arezzo, nella quale vengono sottolineate tre questioni fondamentali:
  • L’inammissibilità di una revisione retroattiva del periodo di vigenza degli incentivi;
  • La necessità di privilegiare i piccoli impianti distribuiti di produttori/consumatori, piuttosto che i grandi impianti che concentrano i flussi finanziari in poche mani;
  • L’esigenza di legare gli incentivi al prezzo dell’elettricità e non al valore dei pannelli, in modo tale da abbassare i costi degli impianti.
Questo Decreto mette in crisi non solo le grandi aziende del settore ma anche i cosiddetti “piccoli installatori” (spesso giovani imprenditori di piccole aziende) che hanno creduto in questa nuova forma di energia e che oggi rischiano di vedere i propri investimenti e i propri progetti andare in fumo.
Inutile sottolineare poi il potenziale impatto negativo che il provvedimento avrebbe sul nostro territorio.
Il Valdarno, che trascinato dalla rapida ascesa del fotovoltaico sembrava aver quasi superato la crisi economica, rischia di ricadere in un periodo di forte incertezza.
Indipendentemente dalle disposizioni europee che obbligano l’Italia a raggiungere l’obbiettivo del 17% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020, credere nelle energie rinnovabili non dovrebbe essere considerato un costo per la collettività ma un investimento. Un investimento realizzato per i nostri figli e per le future generazioni.
Andrea Nocentini

martedì 15 marzo 2011

Seduti in quel caffè...


"Questa settimana ospitiamo un contributo a quattro mani di Massimo  Quaoschi ed Ettore Ciancico, un contributo in sintonia con molte discussioni che hanno avuto luogo su LVM. Entrambi con un passato di amministratore, propongono alcuni spunti di riflessione sulla questione  amministrativa terranuovese che, speriamo, non mancheranno di far discutere i frequentatori del Blog. La redazione"

All'inizio solo qualche saluto. Poi ci siamo annusati, cominciando piano piano a scambiarci, in Consiglio Comunale, considerazioni e commenti. Ora ci capita spesso e con piacere di sentirci, di incontraci, a cena, per un caffè o un aperitivo e di fare lunghe chiacchierate di politica.

Perché il comune denominatore che ci ha avvicinato e reso “complici” - nessuno è autorizzato a pensar male o fare dietrologie - è proprio l'interesse, la passione, la fissa per la Politica.

L'ultimo incontro è stato davanti ad un cappuccino qualche giorno fa. Siamo partiti dalla Libia, poi siamo passati al decreto sulle energie rinnovabili, un breve intermezzo con un comune amico, e come sempre si arriva all'argomento centrale: si parla di Terranuova, delle vicende amministrative e politiche del nostro paese, che ovviamente occupano la più parte delle nostre discussioni.

Su alcune cose le nostre opinioni sono divergenti, su altre siamo in sintonia. Su una cosa siamo decisamente d'accordo: c'è bisogno di più confronto e riflessione. E allora abbiamo pensato: perché non allargare virtualmente la nostra “colazione” e non offrire ai frequentatori della Voce del Martedì quelle tre/quattro cose su cui abbiamo discusso, così da suscitare un dibattito che potrà arricchirsi di altre idee, riflessioni e proposte?

Consapevoli quanto incuriositi dalle immaginabili ripercussioni di questa inedita incursione a quattro mani nella “scena politica” terranuovese e nella variopinta comunità di questo blog, ecco alcuni spunti per la discussione che ci paiono importanti ed utili per costruire qualunque progetto per la Terranuova dei prossimi anni.

PIÙ POLITICA, MENO AMMINISTRAZIONE. Da molto tempo a Terranuova la politica ha passato la mano all'amministrazione. Tutto gira intorno alle scelte amministrative, e sull'altare della governabilità - come si sarebbe detto una volta - la politica ha abdicato al proprio compito. E la crisi dei partiti, dovuta da noi alla incapacità dei gruppi dirigenti di innovarsi e includere forze nuove, ha fatto il resto. Eppure occorre recuperare il ruolo primario della politica. Occorre più confronto, più dibattito, più idee, più proposte, più strategia e meno tattica, meno personalismi.

Serve più politica e meno amministrazione perché questa diventi, paradossalmente, migliore amministrazione.

UN COMUNE VIRTUOSO. La crisi sarà lunga, la pubblica amministrazione ne deve tener conto. Quello di un comune virtoso è obiettivo da perseguire, che impone di non tergiversare ma di compiere scelte. Due sono le questioni, se si vuole raggiungere l'obiettivo e si vogliono mantenere gli standard qualitativi che oggettivamente si sono costruiti a Terranuova.

1) Tra i criteri per poter essere virtuoso, un Comune deve rispettare un rapporto preciso tra abitanti e dipendenti pubblici. Ad oggi siamo fuori - e lontani - dal rispettare questo parametro: bisognerebbe scendere a 75/76 dipendenti. Per noi occorre passare dal condizionale all'imperativo. É necessario scendere a 75/76 dipendenti.

2) La revisione dei costi delle gestioni, degli investimenti e degli appalti, utilizzando a parametro le migliori esperienze nazionali, per andare ad una migliore efficienza del bilancio.

Queste due operazioni sono necessarie se non si vogliono perdere risorse e comunque averne per mantenere un livello accettabile di servizi, manutenzioni e investimenti, di capacità di spesa per i cittadini e la comunità.

LE FORNACI E LE PARTECIPATE. Superiamo le visioni di parte, quello che è stato ieri con le colpe ed i meriti di ciascuno. Andiamo al merito. Ha ancora senso e serve continuare con l'esperienza dell'Istituzione le Fornaci? A noi pare, al netto di tante cose positive, di no. Naturalmente stiamo parlando dello strumento, non delle cose da fare. Un piccolo comune nel comune che riproduce burocrazia, con un CDA, nonostante l'impegno delle persone, oggettivamente senza ruolo. Più semplice riportare tutto all'interno dell'amministrazione, anche nella logica dell'obiettivo “comune virtuoso” che dicevamo prima, e ridare più ruolo e potere (che non è una parola negativa) a chi preposto per scelta dei cittadini.

La stessa analisi e la stessa idea di semplificazione può essere ampliata ad altre partecipate, certo da valutare caso per caso con le proprie specificità, ma con un obiettivo chiaro: quanto sono efficaci e quanto effettivamente servono a dare risposte ai cittadini.

Le vicende di CSAI sono significative, dove manca una chiara definizione di ruolo tra Comune azionista e gestori, facendo gravare sull'amministrazione responsabilità che non sono direttamente sue. Con la stessa omogeneità di approccio si potrebbe affrontare la partecipazione in Publiacqua.

IL TERRITORIO. Nella sua crescita economica e sociale Terranuova ha privilegiato un modello di sviluppo “industrialista” che ha prodotto risultati positivi ma che ha fatto perdere attenzione alle politiche di salvaguardia equilibrata del territorio, che occorre invece recuperare. Ad esempio vorremmo sviluppata una politica attiva per l'agricoltura e gli agricoltori (dalla revisione degli strumenti urbanistici alla adesione al GAL). Così come va ridotto, se non sostanzialmente fermato, il “consumo” di territorio privilegiando la riqualificazione e ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente. E le aree naturalmente vocate allo sviluppo industriale - che pure necessitano di una scossa e di una revisione delle regole con l'ottica della sburocratizzazione - devono comunque tener conto della compatibilità ambientale e integrazione con il territorio.

Di queste cose abbiamo discusso, e i cappuccini si son freddati... Abbiamo provato, con atteggiamento costruttivo e con divertimento, a costruire una sorta di elenco della spesa, quasi dei punti prioritari di prossima legislatura, con la consapevolezza che solo guardando avanti e non indietro si può fare una operazione positiva per Terranuova.



Ettore Ciancico e Massimo Quaoschi

martedì 8 marzo 2011

Italia - Libia: non solo baciamano e tende berbere


Le crisi politiche lungo la sponda sud del Mediterraneo rappresentano per l’ Italia un problema più delicato che per gli altri Paesi europei. Non tanto per questioni migratorie o energetiche, quanto per l’ evoluzione degli equilibri geopolitici in un fronte che ci ha storicamente visto in un ruolo di rilievo. Un ruolo per di più che nel dopoguerra, persi i connotati negativi del colonialismo, ci ha guadagnato numerosi apprezzamenti.
Cominciò Enrico Mattei, rivoluzionando le regole della produzione petrolifera e offrendo ai paesi africani fino al 75% dei profitti, in luogo del 50% imposto fino ad allora dalle sette sorelle. Lo stesso Mattei appoggiò la lotta di liberazione degli algerini dai francesi e, dopo la conquista dell’ indipendenza, anche il governo italiano fu prodigo di aiuti verso il nuovo Stato.
Nel 1969 fu la volta della Libia. Mentre il re Idris, un monarca fortemente condizionato dagli inglesi, si trovava in Turchia per le cure termali, un gruppo di colonnelli del suo esercito, guidati da Gheddafi, lo depose. Si seppe anni dopo che il golpe era stato preparato in un albergo di Abano Terme con l’ aiuto dei nostri servizi e che i mezzi fatti sfilare nella parata del vincitore a Tripoli erano per la maggior parte italiani, inviati per l’ occasione. Gheddafi poi non ebbe remore a cacciare i nostri connazionali e confiscare i loro beni, ma sorte peggiore toccò ai britannici e agli americani, che persero le basi militari e una posizione strategica forte, mentre l’ Italia avviava da subito un proficuo rapporto di collaborazione economica con il nuovo regime. Non sono pochi a ritenere che la reazione inglese sia arrivata di lì a poco, il 12 dicembre, con la bomba di Piazza Fontana, anche se questa ipotesi non è stata provata in sede giudiziaria. Certi però sono tre fatti: che i gruppi neofascisti accusati della strage erano legati al principe Borghese, a sua volta in stretto rapporto con l’ intelligence britannica; che la locuzione ‘strategia della tensione’ nacque negli ambienti giornalistici d’ oltremanica proprio nel dicembre del 1969; che lo stesso presidente della Repubblica Saragat, dopo la strage, chiamò apertamente in causa i servizi inglesi.
Non rassegnata alla perdita della propria influenza in Libia e quindi nel Mediterraneo, Londra organizzò due anni dopo un controgolpe, avvalendosi di gruppi di mercenari. Ma la nave che li trasportava fu intercettata a Trieste dai nostri servizi, che avvertirono Gheddafi.
Dopo questi smacchi il governo britannico elaborò una soluzione radicale. Come risulta da documenti recentemente desecretati, nel 1976 progettò un colpo di stato in Italia, che venne impedito da un veto del cancelliere tedesco Helmut Schmidt.
Un decennio più tardi, nel 1987, si aprì lo scenario tunisino. L’ anziano presidente Bourghiba, filofrancese, stava perdendo consensi e molti, nel paese, si chiedevano se avesse ancora la lucidità necessaria a governare una situazione sempre più delicata. Fu l’ affare di una notte: il cardiologo e il neurologo personale di Bourghiba stilarono due referti che ne certificavano la sopravvenuta incapacità e al suo posto si insediò il primo ministro Ben Ali, filoitaliano. Una transizione senza spargimenti di sangue, con quello che un felice ossimoro definì un ‘golpe costituzionale’. E un grande successo dei nostri servizi, che precedettero di sole ventiquattro ore un’ analoga operazione pianificata dai francesi con un loro candidato alla successione.
Appare dunque chiaro come i conflitti di questi giorni chiamino l’ Italia a scelte particolarmente delicate, che portino a un disimpegno da Gheddafi, non più sostenibile dopo le sanguinose repressioni, e nel contempo confermino e rilancino la politica di cooperazione con il popolo libico. Ben sapendo che due paesi europei, Gran Bretagna e Francia, hanno in Libia e Tunisia interessi che divergono radicalmente dai nostri e sono sicuramente già in azione con le loro strutture coperte.
A queste considerazioni segue, inevitabile, una domanda: la nostra attuale classe politica è all’ altezza di un simile compito? Tutto fa pensare, purtroppo, di no. Sul fronte del governo, un leader accorto avrebbe mantenuto il tradizionale understatement nel rapporto di collaborazione con la Libia, senza esibire baciamano, tende berbere, cavallerizze ed emulazioni di bunga bunga. Sul fronte delle opposizioni si sarebbe dovuta evitare, in nome del superiore interesse nazionale, ogni speculazione sulle iniziali indecisioni di Berlusconi e Frattini, indecisioni in cui si sarebbe dibattuto qualunque esecutivo. E invece non si sono lesinati rimbrotti e inviti a conformarsi senza indugio alle altre diplomazie europee. A Londra e Parigi ne hanno preso atto e si sono fregati le mani.
Silvio Cazzante

martedì 1 marzo 2011

Chi non cade nella Rete..?!?

Alcuni degli ultimi interventi dei lettori mi spingono a riflettere sulla natura della comunicazione in Rete e sul peso che i rappresentanti dei cittadini (e più in generale, tutti noi) danno o dovrebbero dare al flusso informativo sul Web. Possiamo senz'altro dire che con le tre W la diffusione delle notizie ha smesso di essere un flusso verticale a piramide, da pochi (i giornalisti) a molti (le persone) e si è trasformato in un fluire continuo di dati da molti (gli utenti della rete) a molti (idem). Il ruolo del giornalista cambia assieme al  giornalismo e al nostro modo di recepire le informazioni. Oggi possiamo esprimere le opinioni postando i nostri commenti e le nostre idee sulle pagine Web, raccontando fatti (siamo tutti reporter?) e confrontandoci con le opinioni degli altri. Ecco che un Social Network, un sito, un blog diventano spazi importanti dove far sentire la propria voce: nuovi luoghi di aggregazione che seppur virtuali mantengono in tutto e per tutto i connotati di una vera e propria “piazza cittadina” dove si parla, si ascolta, si elaborano e si esprimono pareri favorevoli, perplessità, dubbi. Se la televisione è stata il nuovo focolare domestico degli anni '80 e '90, la Rete è la nuova “tavola” dove molti si siedono per parlare di tutto con tutti. Sarebbe un comportamento miope sottovalutare la Rete e le sue incredibili potenzialità. Guai a non prendere in seria considerazione una realtà che è in grado di trascinare milioni di persone a compiere la stessa azione, a “condividere” qualcosa, seppur ognuno agendo dalla scrivania della propria abitazione, del proprio ufficio o dalla tastiera (fisica o virtuale) del proprio BlackBerry, iPhone, iPad. Non si può evitare di scendere nella piazza virtuale della Rete nell'era in cui il negozio di dischi più frequentato al mondo è iTunes, in cui molte famiglie non vanno al cinema ma acquistano un monitor 40 pollici e un'Internet TV, in cui i viaggi li organizzi da solo pagando online con carta di credito.. Se devi rendere pubblica un'informazione oggi scendi nelle vie del tuo paese gridando col megafono per ore o apri il tuo Social Network preferito e in pochi secondi scrivi sulla tua bacheca quello che vuoi dire? Certo, l'amministratore di un piccolo territorio (non tutti, come Obama, devono necessariamente raggiungere persone lontane migliaia di kilometri dal luogo dell'azione politica) non deve mai perdere il contatto umano coi cittadini, non può rinunciare alla strada, alla piazza, alla "bottega". I rappresentanti della gente devono tenere occhi aperti e orecchie tese per essere in grado di sentire tutte le voci, anche quelle più deboli. Ma non possono esimersi dal prendere seriamente in considerazione la realtà affermata, solida e potente del Web. Alcuni dati: per quanto sembri incredibile solo il 70% dell'Italia è connessa alla Rete e poco più del 55% degli Italiani può navigare il Web direttamente da casa. Abbiamo dunque un accesso nazionale alla Rete non di primissimo livello, dato in totale contrasto con quelli di seguito: quasi 20 milioni di italiani hanno un profilo Facebook, nove persone su dieci sanno cosa è un Social Network, ragazze e ragazzi tra i 18 e i 30 anni hanno praticamente tutti una pagina Social (93%) e udite udite.. il 38% degli over 65 frequenta abitualmente i Social Network più in voga degli ultimi anni. Se da una parte scopriamo un Paese che ancora deve fare tanta strada per garantire a tutti i cittadini un servizio tanto utile quanto indispensabile (il collegamento alla Rete), dall'altra abbiamo un popolo intergenerazionale che “naviga”, che ha voglia di conoscere e conoscersi, informare, informarsi e condividere. Se la televisione ha permesso alle grandi multinazionali di entrare nelle nostre case attraverso la pubblicità, la Rete permette a ognuno di noi di far parte della vita di parenti, amici, conoscenti e sconosciuti con un solo clic. Chi non coglie la potenza di questo..
E.B.

N.B. I dati sul numero di utenti della Rete e dei Social Network non possono essere attendibili al 100% per la fisiologica difficoltà di monitorare correttamente un fenomeno in continua evoluzione e rapida crescita. I dati sopra riportati sono il frutto di una media aritmetica ricavata dall'analisi di indagini statistiche effettuate nel 2010 da tre differenti gruppi di ricerca: Nielsen(www.nielsen.com), Gandalf(www.gandalf.it) e Vincos(www.vincos.it).