martedì 27 luglio 2010

RIFIUTI UN CAPITOLO...APERTO


“La salute dei cittadini prima di tutto” sono state queste le parole con le quali il sindaco di Terranuova B.ni, Mauro Amerighi, e il Presidente della Provincia, Roberto Vasai, hanno aperto il Consiglio Comunale Terranuovese sui problemi emersi alla Discarica di Podere Rota. Erano presenti tutti presso la sala consiliare di Terranuova gremita come poche altre volte; c’erano, naturalmente, la Giunta e il Consiglio Comunale, c’era la Provincia di Arezzo con il suo Presidente, l’Assessore all’Ambiente e il Dirigente allo stesso servizio, l’ARPAT e la ASL di Arezzo, la CSA Impianti spa, il Presidente dell’ATO Toscana SUD, il Presidente dell’Osservatorio sulla Discarica e naturalmente molti cittadini che abitano nelle zone limitrofe e non solo.
Al momento, come ha spiegato il Dirigente della Provincia, il procedimento di VIA (Valutazione Impatto Ambientale) per l’ampliamento dell’impianto di Podere Rota richiesto dal gestore, è stato interrotto a causa di alcuni rilievi di ARPAT e ASL. Tali rilievi, che si inseriscono tra i pareri necessari alla Conferenza dei Servizi, organo deputato al VIA, hanno evidenziato l’inquinamento di alcuni pozzi a valle della discarica e questo necessiterà di ulteriori approfondimenti per stabilire eventuali relazioni con l’attività di discarica.

Dopo gli interventi tecnici tesi a chiarire la situazione dal punto di vista procedurale, si sono susseguiti gli interventi dei politici che hanno voluto da un lato, con il Sindaco e la maggioranza, dimostrare la correttezza sul procedimento e sull’operato della maggioranza Terranuovese mentre dall’altro, con le opposizioni, hanno di fatto accusato il Sindaco di inerzia di fronte ad una situazione di cui doveva essere a conoscenza già prima della chiusura della Conferenza dei Servizi ed hanno chiesto lo stato dell’arte sull’attuazione del Piano Provinciale dei Rifiuti.
Con i loro interventi i cittadini hanno evidenziato una situazione che ha già passato il limite ed è andata peggiorando fino a quest’ultimo caso, che si somma al problema dei cattivi odori che ormai da molti mesi arrivano dalla discarica o dall’impianto di selezione e compostaggio.
Chi era presente a Terranuova giovedì sera si è veramente reso conto che ormai la questione di Podere Rota viene percepita come un problema che varca sia i confini comunali che l’interesse di quelle famiglie a diretto contatto con l’impianto. Non sono infatti mancati interventi di amministratori di comuni confinanti con il territorio di discarica, non è mancato l’intervento di cittadini che abitano in altri comuni e nemmeno quello di un ex amministratore terranuovese che ha chiesto scusa ai cittadini per essere stato partecipe della decisione di aprire Podere Rota e che poi ha accusato gli attuali amministratori e quelli che li hanno preceduti per la situazione. Infine, è apparsa sulla scena politica terranuovese la formazione di estrema destra Forza Nuova con il suo ex candidato a Presidente della Regione che oltre a chiedere la chiusura della discarica ha chiesto le dimissioni del Sindaco Amerighi.
Su una cosa molti interlocutori della serata si sono trovati d’accordo: e cioè che Terranuova e il Valdarno si sono assunti per anni l’onere della gestione del Sistema Rifiuti di gran parte della Toscana a causa delle mancate decisioni di altre amministrazioni sugli impianti da realizzarsi nei propri comuni. Da un lato quindi questo onere ha garantito che in Toscana e in provincia di Arezzo non si verificassero i casi Campania e (ma meno pubblicizzata) Sicilia, ma ha anche esasperato la situazione per coloro che si sono visti passare davanti a casa mezzi con rifiuti di molte aree della nostra Regione. Possibile infatti che il comune di Firenze non sia autonomo in tema di rifiuti? O che il Comune di Arezzo ancora si “arrovelli” sulla scelta di raddoppiare l’inceneritore di San Zeno per il quale si prevedono tempi lunghissimi, come diceva qualche giorno fa il competente assessore comunale?
Si sono differenziate le conclusioni che vanno dalla chiusura senza se e senza ma proposta dai cittadini e da alcune forze politiche e chi invece è a favore dell’ampliamento a patto che vengano ridotti i disagi ai cittadini e sussistano le condizioni igienico sanitarie per tale attività.
A Terranuova non si tratta di effetto NIMBY (quell’atteggiamento di chi ritiene giusta un’opera pubblica molto impattante, ma non vuole che venga costruita vicino a casa sua), come sostengono alcuni, ma di una discussione sul fatto che sia giusto o meno che un territorio CONTINUI a sobbarcarsi l’onere della gestione provinciale dei rifiuti per un tempo superiore a quello previsto alla nascita di Podere Rota. Finora la situazione rifiuti nella nostra Provincia è sempre stata gestita in maniera adeguata, ma per il futuro? Podere Rota, come è stato spiegato da tutti, ha una capacità residua che al ritmo attuale sarà di circa un anno e mezzo. E dopo?
Paolo B.

martedì 20 luglio 2010

Cibo e paradossi: "spuntini" per una riflessione


A seguito dell’interessantissima intervista che l’amico Meme ha rivolto al presidente (della cooperativa Beta) Mecheri, si è sviluppato un accenno di dibattito sulla grande distribuzione delle cooperative e sul prezzo al dettaglio di alcuni prodotti alimentari. Pur non entrando nel merito delle cooperative mi piacerebbe ripartire da alcuni spunti particolari per tracciare alcune riflessioni di più ampio respiro. Riparto proprio da quella battuta icastica sul costo delle mele al chilogrammo, poiché penso che proprio in quella concezione risiedano quelle storture sul modo di concepire il cibo e il suo valore. Ciò premesso, debbo aggiungere che la mia tesi di fondo segue il solco di quelle critiche all’attuale modello di sviluppo che in altre sedi e con più interessanti argomentazioni sono state brillantemente esposte, tuttavia ritengo che il capitolo sulle politiche alimentari sia al centro di questo problema e soltanto una visione poco coerente potrebbe considerarlo una semplice nota a margine. Innanzitutto, è bene precisare che ad oggi tutto ciò che ruota intorno al mangiare è attraversato da continui paradossi e le questioni legate alla fame nel mondo e malnutrizioni insieme alle pandemie dell'obesità sono le facce più drammatiche della stessa medaglia che fanno del cibo un alimento di contraddizioni. Il nostro retroterra, che sapeva distinguersi per le sue profonde capacità di vivere in sintonia con la Natura, è stato improvvisamente spazzato via e lo stesso significato del verbo mangiare è stato completamente stravolto, così il cibo è diventato un prodotto non più per essere mangiato, bensì per essere venduto. Oramai anche l'alimento per eccellenza si è trasformato in prodotto di consumo che sapientemente risponde ai due principali assiomi: oggetto di mercato e di spreco. Alcune considerazioni per rassodare il terreno e suscitare un dibattito tra i lettori: è possibile che nel mondo si produca cibo per dodici(!) miliardi di viventi, mentre siamo poco meno di sette miliardi e tra questi più di un miliardo soffre la fame e contemporaneamente oltre un miliardo ha problemi legati alla sovralimentazione? Si può ancora considerare il cibo come prodotto estraneo alle spirali dello spreco se nella sola Italia ogni giorno vengono buttate via quattromila tonnellate di cibo edibile? Del resto questo tassello ben s'incastra con l'unica discriminante necessaria per per scegliere il cibo: basta che costi poco. Di fronte a questa esigenza ha trionfato un'agricoltura centralizzata basata esclusivamente sulle monoculture e sugli allevamenti intensivi tutt'altro che sostenibili. Inoltre, per capire quanto il tema sia saldamente intrecciato alle dinamiche di politiche energetiche, anche la Fao ha ammesso che “l'industria della carne è la seconda causa principale del cambiamento climatico”. Esternalizzando le diseconomie si è accarezzato l'idea che si possa fare agricoltura senza terra e senza contadini, ignorando che per un cibo pagato a poco prezzo oggi, ci sarà qualcuno che domani dovrà versare la differenza. Un esempio di colore è quello legato all'insostenibilità dell'allevamento di salmone: a fronte del calo degli stock di salmo salar, gli allevamenti si sono moltiplicati, con l’exploit vertiginoso del Cile, secondo produttore mondiale dopo la Norvegia. Consumiamo oltre 1,5 milioni di tonnellate di salmone allevato a fronte di meno di 1 milione di selvaggio. Ma a che prezzo? Innanzitutto al prezzo di tutto pesce grasso con cui sono nutriti salmoni, predatori carnivori e voraci: occorrono 5 kg di aringhe o sardine per produrre 1 kg di salmone. Per concludere, ritengo che aver scambiato il prezzo del cibo con il suo reale valore ci abbia distrutto l'anima e pertanto concordo pienamente con Carlin Petrini sulla necessità di passare da un sistema di consumo ad un sistema di co/produzione, unica via per rilocalizzare le economie e tutelare la biodiversità. Insomma, spendere poco o far pagare ad altri non è la stessa cosa...

Tommaso

martedì 13 luglio 2010

VI cediamo la nostra panda Verde


Proveremo ad affrontare nelle prossime settimane gli effetti che il DL 78/2010 avrà sui bilanci e sui servizi dei comuni. Oggi serviamo comunque un gustoso antipasto pubblicando la lettera aperta di Domentico Finiguerra, sindaco di Cassinetta di Lugagnano, indirizzata al Governo (link: http://www.domenicofiniguerra.it:80/?p=1723&sms_ss=facebook)

Cogliamo l’occasione per una precisazione: il 1° giugno pubblicammo un articolo dal titolo “Nel paese delle auto blu” dove indicavamo un numero spropositato (ed errato) delle auto blu presenti in Italia. Premesso che tuttoggi è sconosciuto il numero di suddette auto di servizio il concetto, ripreso anche dalla lettera di Finiguerra, non cambia. Correggeremo il numero delle auto blu quando saranno dissipate le nebbie sull’argomento. Facciamo gli auguri al Ministro Brunetta e al suo staff impegnato, tuttora, nell’opera di conteggio…

Egregi membri del Governo, perdonate questa mia informale lettera, che potrà apparire sarcastica, ma è in realtà molto meno irreale, molto più giusta e concreta e molto più vicina alle regole del buonsenso rispetto alle soluzioni per la crisi che state proponendo al paese.

Avete confezionato una manovra economica da 24 MLD di Euro. Ce lo chiede l’Europa. Ce lo chiede il mercato. Ce lo chiedono le banche.Ce lo chiedono le imprese. Ce lo chiedono tutti. Bene, bene…

Pare che gran parte dei tagli sarà riversata sugli enti locali, Regioni e Comuni. Questi ultimi, ve lo dico per esperienza ormai quasi decennale, sono già quasi al collasso.

Saranno lacrime e sangue. Servizi tagliati. Ticket sanitari. Tariffe in aumento. Blocco del rinnovo dei contratti per infermieri, insegnanti e tutti i dipendenti pubblici.

Nelle famiglie normali, quando si deve decidere cosa tagliare per arrivare a fine mese, per prima cosa si elimina il superfluo, e solo alla fine si arriva a ridurre da 80 a 50 grammi la porzione di pasta per ciascun componente.

Nelle famiglie normali, prima di tirare la cosiddetta cinghia e mettersi a dieta, per trovare 100 euro per una spesa di sopravvivenza, si metterebbe in vendita la seconda auto. E se fosse possibile andare a lavoro a piedi, in bici o con i mezzi pubblici, si metterebbe in vendita anche la prima. E se necessario si metterebbe in vendita pure il box…

Nelle famiglie normali. E in Italia? Nella grande famiglia di cui voi dovreste essere buoni padri di famiglia? I 24 MLD di euro necessari alla manovra, li state cercando tagliando anche le prime, le seconde, le terze…le millesime auto blu? No?

Alcuni giorni fa è circolata una notizia poi rivelatasi, pare, una bufala. Ovvero che l’entità della manovra che avete proposto e che tanto sta facendo dibattere il paese sarebbe stata quasi completamente coperta da un unico taglio: quello delle auto blu. In rete girava la notizia che le auto di rappresentanza sarebbero 629.120 e che ci costerebbero 21 MLD di euro all’anno. Spese dovute ad autisti, carburante, pedaggi autostradali, leasing e noleggio. In realtà, in questo calcolo erano computate tutte le auto di servizio, di tutti gli enti pubblici. Ambulanze e volanti comprese.

Ciononostante, credo che un sacrificio, anche solo simbolico, da parte vostra possa essere un buon modo per dare il classico esempio e dimostrare con i fatti che le facce tanto contrite, che si mostrano e ostentano in conferenza stampa quando si illustrano i tagli che dovranno subire gli italiani, sono sincere ed autentiche e che portano, appunto, anche ad… autolimitazioni.

La scorsa settimana, in occasione di una manifestazione pubblica contro la privatizzazione dell’acqua e la cementificazione del territorio, ho avuto modo di girare a piedi attorno ai palazzi della politica e sono rimasto davvero impressionato dalla quantità (e qualità!) di auto di rappresentanza. Centinaia di metri di carrozzerie lucide e vetri scuri. Centinaia di autisti con occhiali a specchio. E che sgommate!!!

Detto questo, lo confesso! Anche il Comune di Cassinetta di Lugagnano ha la sua Auto Blu. E’ una Panda Verde. La utilizziamo e guidiamo personalmente in tre. Io, il capo dell’ufficio tecnico e il messo comunale.

Però, e quì viene la nostra proposta, abbiamo deciso di metterla a vostra disposizione. Noi andremo in bici, a piedi, con i mezzi pubblici o con i nostri mezzi. Non è un grosso sacrificio. Anzi, le prime tre soluzioni fanno anche bene alla salute fisica o mentale.

Con grande dispiacere, ma vi cediamo la nostra Panda Verde. Per me è come una sorella! Ma ad un patto. Che voi rinunciate ad almeno una Lancia Thema con A/C e Frigobar.

Facciamolo. Un bel patto. Ma per una volta non lo chiamiamo con il nome di una pietanza, come spesso accade quando siglate accordi e alleanze varie di cui vi rendete protagonisti. Potremmo chiamarlo il Patto della Sobrietà. Suggellato da una NON CENA.

Sarà per noi un onore vedere al TG1 la nostra verde ammiraglia da 900cc, con la scritta COMUNE DI CASSINETTA DI LUGAGNANO, giungere a Palazzo Chigi. Fermarsi davanti al portone. Aprire le sue porte anteriori (ci sono solo quelle), ribaltare il sedile lato passeggero e far sgusciare fuori con un gesto sobrio ma elegante un sorridente Ministro del Governo o ancor meglio un supersorridente Presidente del Consiglio.

Sarebbe davvero un onore per tutti i cittadini italiani vedere finalmente i loro rappresentanti nelle istituzioni dare il buon esempio. Con speranza, saluto

Domenico Finiguerra, Sindaco di Cassinetta di Lugagnano

P.S. Se la nostra (vostra) Panda Verde non dovesse partire al primo colpo, basta bisbigliargli all’orecchio sinistro, vicino al cruscotto, due semplici parole: Basta Cemento! Certi vizi ambientalisti sono duri a morire...

martedì 6 luglio 2010

Il futuro rubato


Recitano bene, politici e giornalisti, quando ci fanno credere che il conflitto che lacera la nostra società sia fra destra e sinistra. Ma non riescono a nascondere più di tanto la vera divisione nata in Italia: quella anagrafica fra una generazione di padri che si è messa al sicuro lasciando il deserto dietro di sé, e una generazione di figli che questo deserto dovrebbe attraversare. Scoprendo per di più di avere nello zaino, al posto dei viveri, tre bombe innescate: la bomba della precarietà del lavoro e del sistema previdenziale, la bomba del debito pubblico, la bomba dell’ istruzione negata. Propongo qui alcune considerazioni di ordine generale, lasciando gli approfondimenti a chi vorrà intervenire sul blog.

1) Lavoro e previdenza. Ricordate il dialogo fra il precario e il sindacalista con cui si apre il libro ‘I nullafacenti’ di Pietro Ichino? Chiede il precario: “Senti, mi spieghi perché io, laureato a pieni voti con una tesi sulla riforma della pubblica amministrazione, in questa stessa amministrazione sgobbo a tempo pieno da sei anni come co.co.co, per 800 euro al mese senza tredicesima, se mi ammalo non prendo una lira e rischio che non mi rinnovino il contratto a gennaio, mentre il Fogliazzi, che non sa scrivere una frase in italiano corretto, da vent’ anni sta a casa un giorno su due, quando viene «al lavoro» timbra il cartellino e se ne va per i fatti suoi, ogni estate si fa tre mesi di vacanza al suo paese, tra ferie e malattie connesse, anche se è sano come un pesce, e prende i suoi bravi 1200 euro tredici volte all’ anno?”. Le persone di buon senso risponderebbero ovviamente che il Fogliazzi va licenziato e sostituito con il precario. Il sindacalista argomenta invece che occorre insistere “col Governo perché i precari del settore pubblico vengano tutti stabilizzati”, ma che “per far funzionare meglio l’ amministrazione pubblica occorre ben altro che licenziare qualche fannullone”. La parola ‘licenziare’ non ricorre nel vocabolario del pubblico impiego. Gli scansafatiche mantengono il loro posto. Non solo, maturano anche una lauta pensione. I ventenni increduli possono cercare nell’ archivio del Corriere della Sera l’ articolo che Gian Antonio Stella scrisse sulle ‘baby pensioni’ il 5 luglio 1997. Leggeranno di bidelle andate in pensione a ventinove anni con il 94% dell’ ultimo stipendio. Scopriranno che nel 1973, a crisi petrolifera già esplosa, “la pensione baby per gli statali venne abbassata a 20 anni e addirittura a 14 anni, sei mesi e un giorno per le donne sposate. E tutto, anche se il Pci era d’ accordo, senza il controllo del Parlamento grazie a una delega nella quale non c’ era traccia dell’ elargizione”.

Gli effetti perniciosi di questo Bengodi purtroppo permangono e non sono modificabili, dal momento che la Corte Costituzionale ha più volte sancito che i diritti acquisiti non si toccano. I diritti, vorrei sottolineare, non i privilegi. Che sono uno schiaffo a chi oggi conduce la propria vita lavorativa all’ insegna di una totale incertezza. “Chi difende i giovani?” si chiedeva amareggiato Francesco su questo blog lo scorso anno in un articolo che andrebbe fatto imparare a memoria a chi ci governa e a chi ci amministra. Sia chiaro, nessuno vuole riproporre garanzie impossibili da mantenere. Sarebbe solo demagogia, per esempio, sostenere la necessità di un contratto a tempo indeterminato per tutti, magari anche blindato dal privilegio della non licenziabilità. Ma rispettare la dignità della persona, questo sì. Facendo in modo che la flessibilità richiesta dal moderno mercato del lavoro non diventi precarietà e impossibilità di porsi un progetto di vita.

2) Debito pubblico. Alla fine del 2009 ammontava a 1.761.191.000.000 euro (leggasi millesettecentosessantunomiliardi e centonovantuno milioni di euro), pari a 3.410.141.297.570.000 lire (tremilioniquattrocentodiecimilamiliardi di lire, abbuonando gli ‘spiccioli’). Per dirla con un numero più comprensibile: ogni italiano, anche i neonati, è gravato di un debito di 30.000 euro. E non si riesce a invertire la tendenza: dal 2008 al 2009 il saldo negativo è aumentato di 98 miliardi di euro, vale a dire 268 milioni di euro al giorno, festivi e superfestivi compresi. Un altro dato: nel 2008 il debito pubblico era pari al 105,8% del PIL; nel 2009 ha raggiunto il 115,8%. Dieci punti percentuali in più, un’ enormità. L’ inizio di questa follia risale a circa 30 anni fa. Nel 1980 infatti il debito pubblico ammontava soltanto al 56,9% del PIL. E questo nonostante si fosse in piena seconda crisi energetica internazionale. Seguirono anni oltremodo favorevoli per le economie dell’ occidente, con il prezzo del petrolio in picchiata. Tutti i paesi europei ne approfittarono per rimettere a posto i conti pubblici. Tutti tranne l’ Italia, che, inebriata dalla grandeur craxiana e dall’ illusione di diventare la quinta potenza economica del mondo, visse come una cicala. Nel 1992, anno dell’ esplosione di tangentopoli, il debito pubblico era salito al 105,2% del PIL.

3) Istruzione. Gli studi degli economisti sono concordi nel riconoscere che l’ impulso più forte alla produttività è dato dall’ istruzione e che lo sviluppo di un paese è, in larga misura, lo specchio del suo sistema di formazione della persona. Porto un esempio inusuale ma paradigmatico. I più bravi a costruire gallerie sono gli svizzeri. Ne stanno dando un’ ulteriore dimostrazione con il tunnel di base del San Gottardo, che una volta terminato sarà il più lungo del mondo. Chi visita il cantiere sotterraneo rimane stupito dall’ ordine e commenta: “vabbè, sono svizzeri”. Poi però scopre che gli addetti alla talpa meccanica con la quale viene scavata la roccia sono tutti superspecializzati e che il titolo di studio minimo degli operai è il diploma. Il commento allora diventa: “si vede che questi hanno studiato e sanno come fare”.

In Italia procediamo giulivi nella direzione opposta e smantelliamo il nostro sistema della formazione, a tutti i livelli, con un autolesionismo che è scellerato sia culturalmente che economicamente. Tullio Telmon, presidente della Società di Linguistica Italiana, ha recentemente scritto, con sintesi efficace: “la scuola è diventata un luogo di intrattenimento; l’ università, un compiacente luogo di trasmissione di nozioni elementari di base”. Per dettagli e ulteriori amarezze vi rimando ancora a un fondo di Francesco apparso su questo blog il 2 febbraio scorso con il titolo ‘Nessun aiuto agli studenti: un paese senza futuro’.

Il deserto in cui il Palazzo ha precipitato le giovani generazioni copre l’ intero giro dell’ orizzonte. Uno dei pochi ad avere fatto autocritica è stato Francesco Cossiga, che – ricorda Stella nell’ articolo prima citato – ha confessato un giorno: “In nome della carità e della solidarietà ho sbagliato. Credevo che la politica economica dello Stato dovesse ricalcare le linee della San Vincenzo. Abbiamo scambiato tutti la solidarietà con lo spreco. Il fatto è che pensavamo che i soldi non sarebbero finiti mai”. Cossiga, la quintessenza degli studi universitari applicati all’ esercizio del potere, non ha capito quello che a una massaia sarebbe apparso immediatamente chiaro. Mi sovviene quanto Licio Gelli ha detto dei nostri politici, conoscendoli bene: basterebbe comprarli per quello che valgono e rivenderli per quello che credono di valere e risaneremmo il debito pubblico dell’ Italia.

Silvio Cazzante