martedì 29 giugno 2010

ITALIA FUORI DAL MONDIALE…MA A POMIGLIANO DOV’ERAVAMO RIMASTI?


Ci sembra doveroso fare una riflessione su quanto accaduto nei giorni scorsi a Pomigliano in merito alla trattativa che sta interessando migliaia di lavoratori Fiat dello stabilimento del posto (5 mila, che arrivano a 12 mila se si considera l’indotto). Non biasimiamo coloro che hanno votato a favore del referendum sull’accordo trovato tra alcune sigle sindacali e l’azienda.

L’episodio ricorda un po’ la trama del bellissimo film “Billy Elliot”, dove la storia del bambino ballerino prodigio si intreccia con le proteste operaie contro il piano tatcheriano di chiusura delle miniere. E’ una storia che coinvolge la famiglia di Billy, una famiglia cementata da valori veri e unita ancor di più dalla perdita della madre. Il padre e il fratello di Billy sono tra i più accesi contestatori dei provvedimenti governativi, ma quando il padre fa i conti con la situazione economica familiare e con le risorse necessarie affinché Billy coltivi la sua passione per il ballo riprende a lavorare andando incontro alla delusione del figlio maggiore e di molti suoi colleghi.

E’ chiaramente difficile far valere il proprio “diritto al lavoro” se proprio quest’ultimo viene a mancare. Riconosciuto che l’accordo propone un interessante piano di investimenti (700 milioni) - al quale sarebbe difficile rinunciare in qualsiasi momento, figuriamoci a questi ”chiar di luna”, ma che non dovrebbe costituire ricatto – rimane il fatto che esso pone dei grossi interrogativi e minaccia seriamente alcuni importanti principi che, grazie all’impegno di molti (politici, leader sindacali e gli stessi lavoratori), sono stati inseriti nella storia repubblicana. E’ pensabile (e ancor prima responsabile) che tali diritti vengano di fatto sorpassati da un accordo tra un’azienda e i lavoratori della stessa senza che la politica muova “foglia” se non per sprecarsi a dichiararsi d’accordo o meno sull’intesa raggiunta? E’ possibile andare in deroga alla vigente normativa e al CCNL approvato tra le parti e si lasci che di tutto questo se ne assumano la responsabilità i soli lavoratori di Pomigliano, andando a prendere delle decisioni che rischiano di modificare i rapporti di lavoro nel nostro Paese (a tal proposito non ci è sembrato di vedere una Confindustria preoccupata)?

Non si può giustificare la decisione di trasferire la produzione della Panda nell’Est Europa solo per l’assenteismo e la bassa produttività dei lavoratori dello stabilimento campano (che pur sono problemi reali su cui si deve riflettere). E’ davvero questo il motivo? O a fare la differenza tra Napoli e la Polonia è piuttosto il costo del lavoro?

Se davvero la questione fosse l’assenteismo o la scarsa produttività non sarebbe necessario varcare il confine: si potrebbe investire su una miglior organizzazione del lavoro, sui sistemi di incentivazione e sull’implementazione del salario di risultato.

E allora perché in Polonia e non negli Stati Uniti o in Germania? Perché? Poco produttivi anche i tedeschi e gli americani?

Di fatto la globalizzazione rischia di portare ad un livellamento verso il basso dei salari e dei diritti: è una questione delicata che fino ad oggi l’Unione Europea non ha saputo governare. I paesi in via di sviluppo, allettati dagli investimenti in entrata, preferiscono rinunciare a qualche diritto pur di avere lavoro. A Pomigliano si chiede di fare la stessa scelta.

Giusto? Sbagliato? Spalle al muro e decidi.. che Billy Elliot vuole ballare.

Paolo B. e Francesco N.

martedì 22 giugno 2010

Intervista: profit vs non profit, dal capitale finanziario al capitale umano


Il blog pubblica un'intervista a Gabriele Mecheri, attuale presidente (in scadenza di mandato) della cooperativa Beta, cooperativa sociale di tipo b, con sede a Arezzo, impegnata e attiva sul nostro territorio e nel nostro comune con molteplici attività. Buona lettura.

Ciao Gabriele, grazie per aver accettato di intervenire su La voce del martedì, sotto forma di intervista. Qualche settimana fa, ho scritto sul blog riguardo il BetaBar, l'argomento ha risvegliato un certo interesse tra i lettori e credo che il discorso sulla cooperazione, sulla Beta e sul suo impegno nel territorio meriti di essere approfondito. Quindi, veniamo subito al punto: che significa per te essere parte del progetto Beta?

Prima di tutto un saluto ai coordinatori e ai lettori del blog, grazie dell'opportunità. Quindi..

Beta è in qualche modo il proseguo di un percorso personale, cominciato anni fa, che ha visto alcune tappe fondamentali nella mia formazione culturale, sociale e politica. Il servizio civile in Caritas (quando ancora si parlava di obiezione di coscienza), la partecipazione ai progetti di empowerment comunitario (progetto KIM con l’Isola Del Tesoro, la fondazione dell’Associazione Culturale Arcipelago, il progetto Terra Dove Andare con Koinè ecc), il percorso universitario e poi, appunto, Beta. Una cooperativa sociale di integrazione che lavora per creare connessione tra le opportunità e i bisogni delle persone esposte a rischio di esclusione. Sono tra i soci fondatori di Beta, col tempo l’impegno è cresciuto fino a l'attuale carica di presidente (scade adesso il mio terzo mandato). Cosa farò nel futuro? È presto per dirlo, a breve partirà una discussione interna con tutti i soci e decideremo insieme, in maniera serena a responsabile come abbiamo sempre cercato di fare in questi anni; anche perché oggi Beta offre lavoro a circa cento persone e oltre quaranta sono esposte a rischio di esclusione. Il nostro interesse individuale (di ognuno e il mio per primo) viene certamente dopo l’interesse dell’organizzazione.

Il progetto Beta si manifesta nella realtà sociale e economica del nostro territorio in molteplici forme, si esprime in diverse dimensioni: spazi per ragazzi, possibilità per soggetti svantaggiati, occasioni per giovani e adulti che vogliono investire sul capitale umano piuttosto che su quello finanziario. Perché la (tua) scelta del non profit?

La mia scelta nel non profit è stata naturale, scontata e, per niente, eccezionale. C’è chi pensa di fare il medico, chi l’avvocato, chi il meccanico; per me ho sempre pensato a un impegno che potesse trovare applicazione in un’organizzazione come Beta, una “cooperativa vera”, fatta da persone che cercano di mettere al centro le “persone”, scommettendo su di esse, cercando di valorizzarne le abilità. Un’organizzazione, sia chiaro, che di certo non è perfetta, ma che tenta di tessere quotidianamente delle strategie per rispondere ai problemi complessi che si presentano.

Nel ’98 ho avuto la fortuna di conoscere Koinè, la “madre” di Beta, e di iniziare a lavorare all’interno di questa importante organizzazione. Ho trovato un ambiente vivace, fatto di uomini e donne capaci e intelligenti, con la voglia di costruire azioni collettive a servizio delle persone. Con Koinè ho partecipato a percorsi importanti che hanno portato alla nascita di servizi e azioni fondamentali per le comunità locali: il progetto “Isola che non c’è”, con il suo modello di nido flessibile che ha fatto da apripista in Toscana per la riforma dei servizi all’infanzia; “X-job” e “Tate Familiari”, sempre centrati sulle politiche per l’infanzia; “Oltre il giardino”, un progetto di formazione e avvio al lavoro per soggetti esposti al rischio di esclusione nel campo della cura e gestione del verde (il vero avvio della cooperativa sociale Beta). E poi, tanti altri che sarebbe lungo e noioso elencare, facili da trovare trovare sui nostri siti web di riferimento (www.koine.org e www.coopbeta.it).

A Terranuova, sopratutto per i cittadini, cooperativa Beta significa molto BetaBar. Dopo una partenza lenta, oggi l'ambiente e una realtà importante che offre una seconda casa a molti ragazzi. Da poco tempo è nata anche un'associazione. Come giudichi il cammino percorso fino a oggi? Quali sono le prospettive future del progetto BetaBar? E' possibile far comprendere a tutti l'importanza di centri di aggregazione sociale per i giovani?

Credo sia sbagliato, anche a Terranuova, guardare a Beta solo come BetaBar: questo è uno dei tanti impegni che abbiamo sul nostro territorio comunale. Beta offre occupazione a oltre 25 terranuovesi (di cui 12 a rischio di esclusione sociale e lavorativa). È su questa cifra che mi piacerebbe veder valutato il lavoro di Beta, nel tentativo di dare risposte lavorative a persone “deboli”.

Detto questo, il BetaBar è un progetto a cui teniamo molto, io in particolare. In questa fase storica emergono dati “catastrofici”. Da una parte ci concentriamo sui “bamboccioni” e dall’altra l’Istat ci dice che solo un giovane su tre ha un’opportunità di lavoro. Con tutti i difetti del BB, un pregio gli va sicuramente riconosciuto: dare fiducia ai ragazzi che ogni anno si succedono nella gestione non solo del bar, ma anche dei programmi di animazione comunitaria. Per il futuro auspico un impegno meno importante di Beta in questa attività: ciò significherebbe una totale comprensione del progetto da parte dei ragazzi, che diventerebbero i motori di un nuovo passo generazionale. Un passo fondamentale non solo in questa attività, ma nei numerosi e più importanti aspetti della nostra vita pubblica. Non credo che i cittadini non comprendano l’importanza di spazi di aggregazione, di cui il nostro territorio è fortunatamente ricco: penso all’Oratorio, alla Casa del Popolo, al lavoro incredibile che fanno le associazioni sportive del nostro territorio, o ai tanti circoli nelle frazioni del nostro comune che spesso rappresentano l'unico spazio d'incontro tra persone. Per quanto riguarda il BetaBar esistono, a mio avviso, tre problematiche fondamentali: una diffidenza generale per le attività nuove che nascono, l’idea sbagliata secondo la quale un’organizzazione come Beta sia centrata solo su un interesse commerciale e i problemi di disturbo per i cittadini che vivono nelle vicinanze del bar, questione da affrontare con intelligenza da parte di tutti i soggetti in campo.

Progetti futuri?

Progetti “a mollo” ne abbiamo tanti: la strutturazione di un marchio di comunicazione, la gestione dei servizi connessi agli eventi, la gestione di locali nel Pratomagno, la gestione del Parco di Cavriglia, in un tentativo, molto difficile, di riportare il Parco a essere punto di aggregazione per le famiglie del territorio con tutte le opportunità che questo luogo può offrire.

Mi piace guardare Beta nel suo insieme, vivo la cooperativa come un aggregato di persone, dove non esiste un “padrone” ma dove tutti, rischiando del proprio, cercano di muoversi come un soggetto collettivo che lavora sul doppio scambio mutualistico: interno tra i soci, esterno verso la comunità.

Si tende a legare indissolubilmente cooperative e associazioni agli ambienti di sinistra. A volte l'esperienza sembra raccontarci questo, ma siamo sicuri che esista solo l'associazionismo di sinistra? Io ad esempio sono presidente di un'associazione culturale totalmente a-partitica e a-politicizzata. Lottiamo quotidianamente con tutti le problematiche che si presentano sul nostro cammino, soprattutto ci scontriamo con la difficoltà di reperire risorse economiche per portare avanti le nostre attività. Chiedo: è possibile per le associazioni sopravvivere senza schierarsi, da una parte o dall'altra?

Il discorso è molto difficile e lungo da affrontare, mi limito quindi a poche considerazioni. Anni fa uscì un libretto che si chiamava “Critica della ragion Nonprofit. L'economia solidale è una truffa?” di Paola Tubaro, edito da DeriveApprodi, che tra gli altri argomenti si occupava proprio di questo tema. Le associazioni, le cooperative sociali e le altre organizzazioni del mondo non profit sono per definizione delle organizzazioni di “cittadinanza attiva”, tema che nel corso degli anni è un po’ scomparso dalle agende di lavoro di chi fa il nostro mestiere. Cittadini, quindi, che si mettono insieme per cercare di dare una risposta ad alcuni problemi: il bisogno di spazi di aggregazione, la promozione di un’idea di cultura, l’assicurazione di diritti per una categoria di cittadini, la promozione dell’agio per fasce di popolazione, la risposta al problema del lavoro ecc. Tutto questo ha inevitabilmente anche una prospettiva politica, che fa collocare le organizzazioni più o meno vicine a una parte o all'altra. Però non dobbiamo dimenticare che alcuni problemi hanno una valenza trasversale, riguardano l’intera comunità, sia essa di destra, centro o sinistra. Parlando del mondo che conosco meglio, ti rispondo con una domanda: il problema dell’occupazione dei disabili e di assicurare loro dei diritti nella città di Terranuova è un problema delle cooperative sociali di tipo b che hanno capitale sociale sul territorio oppure è una prospettiva che riguarda tutta la comunità? Siamo sicuri che il “puro mercato” sia l’unico e il miglior regolatore per attività ad alto contenuto relazionale? Non voglio spingermi in tecnicismi che ci porterebbero lontani, ma sia il legislatore nazionale che i legislatori regionali (in regioni anche di colori politici opposti) si sono dati risposte differenti, e credo che questo sia un tema degno di attenzione.

Non nego la mia appartenenza a una parte, non l’ho mai fatto. Ma ho sempre cercato di tenere ben distanti i due piani, altrimenti nel corso degli anni avrei fatto scelte personali differenti. Quindi, credo sia possibile sopravvivere sia schierandosi che non, l’importante è sempre che la scelta sia libera, che riguardi l’organizzazione nel suo profondo e non sia solo una scelta di comodo. Io preferisco sempre aver chiaro chi ho davanti, ma mai questo mi ha impedito di parlare, collaborare e lavorare insieme a organizzazioni e amministrazioni che partivano da prospettive differenti.

E.B.


martedì 15 giugno 2010

Momenti di partecipazione democratica: una manifestazione vale meno delle primarie?

Sabato scorso a Sangiovanni si è svolta una manifestazione contro l’ampliamento della discarica di Podere Rota. Una manifestazione proposta dall’ormai famoso “comitato dei cittadini”.
Sebbene la discreta partecipazione registrata alla manifestazione (700-800 persone?) stupisce la bassa considerazione mediatica riconosciuta all’evento.
Una manifestazione di cittadini, quantomeno sui libri di scienza politica, ha una “forza partecipativa" perfino superiore all’espressione di un voto su una scheda elettorale. La partecipazione alla vita democratica, appunto, si manifesta in tanti modi e uno di questi è proprio la partecipazione alle manifestazioni.
Peccato che non sempre gli venga riconosciuto il giusto peso, anche a livello mediatico. Visitando i siti di informazione locale la notizia è sparita piuttosto velocemente, a differenza di quanto ad esempio è stato fatto in passato per momenti democratici di tipo… diciamo più istituzionale.
Senza entrare nel merito delle richieste del comitato e sulle responsabilità della situazione di disagio provocate dalla discarica ci sembra poco corretto non dare la giusta risonanza alla questione. Per questo aprimano questa discussione...

Esiste ancora il fattore K?

Teorizzato da Alberto Ronchey nel 1979, il fattore K (dalla parola Kommunizm in lingua russa) costituiva un’ anomalia di quelle democrazie europee in cui la presenza di un forte partito comunista rendeva impossibile, per evidenti ragioni di equilibri internazionali, un’ alternanza di governo. Si parlava in questo caso di ‘democrazie bloccate’. Più di tutte era bloccata quella italiana, sulla cui scena si muoveva il maggiore partito rosso dell’ occidente.

Emblematiche erano state le elezioni politiche del 1976, quelle dell’ invito di Montanelli a votare DC turandosi il naso. L’ anno prima il PCI aveva ottenuto un grande successo nella tornata amministrativa, conquistando le principali città. Di fronte alla prospettiva del sorpasso e, conseguentemente, della eventualità di vedere i comunisti al governo, i moderati si chiamarono a raccolta e votarono in modo massiccio per la DC, che si confermò il primo partito con il 38,71% alla Camera, davanti al PCI con il 34,37%.

Dopo la caduta del muro di Berlino molti pensavano che gli scenari sarebbero cambiati. Tanto più che nel 1991 il PCI si era trasformato in PDS, un partito che faceva proprie idee e posizioni del socialismo europeo e che, pur a prezzo di una traumatica scissione, si era liberato della zavorra ideologica di coloro che non rinunciavano a professarsi ‘comunisti’. Ciononostante le elezioni politiche del 1992 videro ribadire il primato della DC, che si attestò alla Camera a un ragguardevole 29,66%, mentre il PDS si fermò al 16,11%. Considerato che il Partito Socialista aveva nel frattempo tenuto, risultava palese che il nuovo soggetto politico non era stato capace di attrarre voti né dall’ area della sinistra moderata, né tanto meno da quella di centro. Il fattore K dunque persisteva, se non altro nell’ inconscio degli elettori.

Venne poi tangentopoli, da cui il PDS ritenne baldanzosamente di essere immune, solo perché i finanziamenti illeciti dall’ URSS erano ormai prescritti e perché le tangenti nostrane arrivavano al Bottegone per lo più sotto la forma, penalmente non perseguibile, di lavori affidati alle cooperative rosse.

Due anni dopo, sulle macerie della prima repubblica e in pieno processo Cusani, furono indette nuove elezioni politiche. Il PDS e Occhetto schierarono quella che, con una delle espressioni più infelici della storia politica italiana, definirono ‘una gioiosa macchina da guerra’. Certi che il fattore K fosse finalmente caduto, si preparavano ad andare al governo. Sul fronte opposto le carte vennero sparigliate dall’ ingresso in politica di Berlusconi, che in nome dell’ anticomunismo si appellò a tutti i moderati d’ Italia, cogliendo un successo oltre ogni previsione.

Il resto è storia recente. Il PDS e poi i DS sono riusciti a vincere le elezioni solo nelle due occasioni in cui a guidare la coalizione del centrosinistra è stato Romano Prodi, un ex democristiano. Lasciando così intendere che il fattore K aleggi ancora sulla scena. E inducendo lo stesso Alberto Ronchey a scrivere: “di fatto, nell’ elettorato persiste una considerevole diffidenza come residuo «fattore di proibizione», che i postcomunisti prima o poi dovranno superare con plausibili e adeguate scelte politiche” (Corriere della Sera, 12 maggio 2006).

Queste scelte non sono venute e nel 2008 i DS, diventati nel frattempo PD e guidati da uno dei loro pezzi da novanta – quel Veltroni che Berlusconi ha avuto facile gioco a definire comunista perché tale è veramente stato (checché ne dica lui medesimo) –, sono andati incontro a una vera propria Waterloo. Bissata quest’ anno alle amministrative. Un uno-due pesantissimo, ove si pensi che nel precedente governo Berlusconi le elezioni di mezzo termine erano state favorevoli all’ opposizione e avevano gettato le basi per la successiva vittoria di Prodi. I DS/PD hanno cioè perso anche in quella circostanza – il voto amministrativo – in cui il fattore K dovrebbe pesare meno. I vincitori diranno che questo è dovuto alla grande personalità del Cavaliere e alla sua capacità di aggregare attorno a sé la maggioranza degli italiani. Io ho una sensazione diversa. Che di fronte all’ incapacità dei DS/PD di proporre un progetto politico, di fronte alle loro faide interne, alla loro gerontocrazia, una parte non indifferente degli italiani voti per Berlusconi anche a costo di turarsi il naso. Penso in particolare a quella ampia fascia di moderati che Prodi era riuscito a intercettare e che si sentiva rappresentata più da lui che dalla sua coalizione.

La mancata legge sul conflitto di interessi, il fuoco amico sui propri governi, il tempo perso con la bicamerale, il regalo della Telecom ai cosiddetti capitani coraggiosi, l’ operazione Unipol-Bnl, le polpette avvelenate all’ unico uomo nuovo della sinistra, Vendola, in grado di attrarre consensi trasversali, infine l’ incapacità, quotidianamente dimostrata, di condurre una opposizione degna di questo nome: una catena di autogol che neanche un uomo di satira perfido come Corrado Guzzanti era riuscito a immaginare, quando nel 1997, nei panni di un esilarante Veltroni vincitore delle elezioni, proclamava orgoglioso che finalmente, con la maggioranza dei voti, il PDS avrebbe potuto proporre una opposizione forte ed efficace...

Per ragioni anagrafiche ho fatto in tempo a vedere una sinistra in cui militavano personalità della levatura di Amendola, Pajetta, Rodano, Berlinguer, Nilde Jotti. Guardo oggi D’Alema, Veltroni, Fassino, Bersani, Anna Finocchiaro. Il paragone è oggettivamente impietoso. Quelli erano giganti, questi sono nani. Per i quali parlare di fattore K è forse troppo impegnativo. Basta il fattore I: come inattitudine alla politica.

Silvio Cazzante

martedì 8 giugno 2010

IL CONCETTO DI LIBERTA' E LA POSSIBILITA' DI PERDERLA



Abbiamo ricevuto e pubblichiamo volentieri un articolo inviatoci da Nedo relativo all’art. 50bis del DDL n.733 (Pacchetto Sicurezza).

Di questa modifica, che in realtà non è recentissima ma risale al febbraio dell’anno scorso, si fece un gran parlare e fu ribattezzata “norma anti blogger”. In realtà questa contestata norma pare caduta nel dimenticatoio ma il testo rimane vigente e per completezza espositiva ve lo riportiamo integralmente.

«Art. 50-bis.

(Repressione di attività di apologia o incitamento di associazioni criminose o di attività illecitecompiuta a mezzo internet)

1. Quando si procede per delitti di istigazione a delinquere o a disobbedire alle leggi, ovvero per delitti di apologia di reato, previsti dal codice penale o da altre disposizioni penali, e sussistono concreti elementi che consentano di ritenere che alcuno compia detta attività di apologia o di istigazione in via telematica sulla rete internet, il Ministro dell'interno, in seguito a comunicazione dell'autorità giudiziaria, può disporre con proprio decreto l'interruzione della attività indicata, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine.

2. Il Ministro dell'interno si avvale, per gli accertamenti finalizzati all'adozione del decreto di cui al comma 1, della polizia postale e delle comunicazioni. Avverso il provvedimento di interruzione è ammesso ricorso all'autorità giudiziaria. Il provvedimento di cui al comma 1 è revocato in ogni momento quando vengano meno i presupposti indicati nel medesimo comma.

3. Entro 60 giorni dalla pubblicazione della presente legge il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dell'interno e con quello della pubblica amministrazione e innovazione, individua e definisce, ai fini dell'attuazione del presente articolo, i requisiti tecnici degli strumenti di filtraggio di cui al comma 1, con le relative soluzioni tecnologiche.

4. I fornitori dei servizi di connettività alla rete internet, per l'effetto del decreto di cui al comma 1, devono provvedere ad eseguire l'attività di filtraggio imposta entro il termine di 24 ore. La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000, alla cui irrogazione provvede il Ministero dello sviluppo economico.

5. Al quarto comma dell'articolo 266 del codice penale, il numero 1) è così sostituito: "col mezzo della stampa, in via telematica sulla rete internet, o con altro mezzo di propaganda".».

IL CONCETTO DI LIBERTÀ E LA POSSIBILITÀ DI PERDERLA


“Guai a voi che fate leggi ingiuste per opprimere il mio popolo. Così negate la giustizia ai poveri e li private dei loro diritti; sottraete alle vedove e agli orfani i loro beni.”

Isaia 10,1-2

“La non collaborazione è un tentativo di risvegliare le masse a un senso della loro dignità e potere. Questo può avvenire soltanto attraverso la disobbedienza civile che deve essere scoperta e nonviolenta. Una vera disobbedienza civile è uno stato di ribellione pacifica, l rifiuto di ogni singola legge ingiusta greata dallo stato. E’ certamente più dannosa di una ribellione armata

Ghandi

“L’obbedienza non è più una virtù”

Don Milani

Quando si vanno a toccare temi insopprimibili come la libertà di pensiero, io ritengo che sia un dovere delle persone non attendere passivamente le determinazioni dettate dalle agende dei nostri parlamentari; né quelle in fase di approvazione dalle maggioranze né le risposte delle opposizioni.

Occorre trovare i modi e i mezzi di rappresentare l’angoscia che, come soggetti sociali nati liberi ci attanaglia nel vedere che, chi la detiene, usa l’arma del potere per introdurre, prima gradualmente ma adesso in maniera dirompente, delle gravissimi limitazioni alla libertà individuale.

Questa riflessione non nasce da una strumentale appartenenza politica ma da un bisogno che sento come individuo.

Faccio un appello a tutti affinché si faccia un pensiero comune sull’introduzione normativa di aberrazioni come, in particolare, quella relativa alla proposta (approvata) dell’”Onorevole” D’Alia con l’art. 50 bis del DDL 773. Con tale normativa si vanno a toccare anche “piazze virtuali” come questo blog “La Voce del Martedì”, in quanto sarà impossibile per tutti noi scrivere in dissenso (o in critica?) di leggi emanate e per i responsabili del blog sarà inibito pubblicare ciò. Anche se il linguaggio adottato fosse un civile e rispettoso scambio di opinioni si rischiano il carcere e pesantissime sanzioni. Il Ministro dell’Interno potrà provvedere ad oscurare il sito.

Non facciamo che solo movimenti, come quello di Beppe Grillo, interpretino l’afflizione e il tormento di chi si sente di essere arrivato al limite del dirupo che segna lo spartiacque fra la libertà e l’inizio di un’oppressione subdola nascosta dietro una visione individualistica e privata della comunicazione, della libertà di stampa e di espressione.

Nedo Bronzi

Lo spirito del blog rimane quello di proporre settimanalmente riflessioni e discussioni aperte al confronto e il contributo di tutti rappresenta l’anima di queste pagine.

È chiaramente compito della redazione decidere quali temi di discussione proporre e fino ad oggi abbiamo cercato di equilibrare gli articoli alternando “locale” e “globale”, cercando di tenere una linea editoriale quanto più corretta, rispettosa ed indipendente.

E’ già capitato di ricevere articoli e di prendere la decisione di non pubblicarli per motivi di inappropriatezza o perché ritenuti polemico-propagandistici.

Questa settimana invece crediamo che il tema proposto da Nedo sia meritevole di attenzione e crediamo che la sua pubblicazione possa aprire un confronto costruttivo.

Grazie quindi a Nedo e a tutti quelli che daranno il loro contributo.

martedì 1 giugno 2010

Nel paese delle auto blu



Mi sarebbe piaciuto proporre la discussione di oggi analizzando approfonditamente la manovra economica e finanziaria di cui tanto si parla in questi giorni. Ma non lo faccio. Vista la complessità della materia rischierei solo di scopiazzare quello che si legge su tutti i giornali imbattendomi nell’incapacità di saper leggere e prevedere gli effetti economico-finanziari di una normativa piuttosto corposa. Mi soffermo però su un ragionamento che scaturisce dalle tante informazioni che abbiamo ricevuto da una settimana a questa parte.

Tre dati mi hanno particolarmente impressionato e vorrei che la discussione di questa settimana partisse da qui:

1) L’Italia è in assoluto il paese che spende di più per le auto blu. Letto così, sganciato dai numeri e senza comparare il dato italiano a quello degli altri paesi non scaturisce l’indignazione dovuta. Provo a darvi i numeri: il primo è quello della manovra economica completa: 24 miliardi di euro.

Passiamo a quelli sulle auto blu (dati ripresi dall’Associazione contribuenti italiani): in Italia sono 629.620 (seicentoventinovemilaseicentoventi!) che costano annualmente (ogni anno!) 21 miliardi di euro (VENTUNOMILIARDI!). Come la manovra economica! Solo che la manovra recupererà i 24 miliardi in due anni. La spesa per i macchinoni blù si fa ogni 12 mesi. A prima vista non si crede a questo dato, anche perché non siamo abituati a ragionare sui grandi numeri come migliaia di auto e miliardi di euro. Mi sono detto che ci doveva essere qualche errore. Quindi ho fatto una semplice operazione matematica: 21miliardi diviso il numero delle auto blu. Se provate scoprirete che la quota annua pro-auto è una somma del tutto credibile. In Italia si spendono 21 miliardi di euro per il carburante, i pedaggi autostradali, i noleggi, le auto e gli autisti di Stato, Regioni, Province, Comuni, municipalità, Asl, comunità montane, enti pubblici, enti pubblici non economici, società misto pubblico-private e società per azioni a totale partecipazione pubblica.

Ma negli altri paesi quante sono queste auto blu? Pare che i dati siano questi: 73.000 negli Stati Uniti, 65.000 in Francia, 54.000 in Gran Bretagna (ma il governo ha previsto una riduzione causa crisi), 44.000 in Spagna, 35.000 in Giappone, 23.000 in Portogallo. E pensare che nel 2005 in Italia le auto blu erano 198.596. Sempre uno sproposito in confronto agli altri paesi… ma nonostante questo in quattro anni le abbiamo triplicate ed oggi abbiamo bisogno di una manovra economico-finanziaria per mantenerle. Alè

2) Anche il secondo dato è venuto allo scoperto in questi giorni: il 60% dei proprietari di imbarcazioni di lunghezza superiore ai 10 metri risulta nullatenente. Alé, Alé!

3) Terzo dato: in Italia esistono duemilioni di case sconosciute al fisco. Alé, Alé, Alé!

Ora, se il primo punto riguarda un malcostume direttamente riconducibile alla malapolitica con un abuso di potere sfacciato e schifoso il secondo e il terzo punto non riguarda i “cattivi politici italiani”, riguarda i “cattivi italiani”.

È vero, la politica dovrebbe attivare e incentivare controlli più stringenti affinché i furbi non la facciano franca. Ma i furbi (anzi, i delinquenti) siamo noi! Noi italiani. E nemmeno pochi, visto che il dato del terzo punto riguarda per forza di cose un numero vasto di persone proprietarie di case fantasma.

Ma noi ci passiamo sopra a queste cose…. Berlusconi stesso ha definito l’evasione fiscale un “malcostume italiano”. Più che malcostume credo sia una forma di delinquenza diffusa e in parte comunemente accettata. Il malcostume a cui si riferiva il buon Silvio forse era proprio il fatto che la si accetta? E sebbene dalle menti di alcuni illuminati politici di caratura nazionale sia nata l’idea dello “sciopero fiscale” il buonsenso italiano dovrebbe ritenere quantomeno vergognosa questa ipotesi.

Certamente, preferirei pagare le tasse per la ricerca, la scuola e la sanità piuttosto che per pagare gli autisti ai parenti dei politici ma se si considerare normale (e non delinquenza) chi non paga le tasse è un problema grosso almeno quanto una crisi internazionale.

Insomma, in un paese dove chi delinque è un furbetto di successo, quella politica che spende 21miliardi in autisti e macchinoni diventa una logica e triste conseguenza del nostro modus vivendi.

La domanda da ventiquattromiliardi di euro è: Come ne usciamo?

Francesco



Il Blog de LA VOCE DEL MARTEDI oggi compie un anno.

Quasi 13 mila contatti; 53 discussioni proposte, centinaia di commenti ed idee. Contributi importanti di una piccola comunità virtuale (ma molto attaccata alla realtà locale) che settimanalmente si ritrova sul blog per aprirsi ad un confronto sicuramente positivo e costruttivo. Ringraziamo tutti i lettori e tutti coloro (e in un anno sono stati davvero tanti) che hanno tenuto vivo questo blog con i loro preziosi contributi. Se avete un po’ di tempo è davvero interessante andare a rivedere le vecchie discussioni che trovate nell’ARCHIVIO BLOG cliccando nel menù a destra della HOME PAGE. Che dire: una bella esperienza che, chiaramente, continuerà…

LA REDAZIONE